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«Eri tu, quello che ho sentito abbaiare ieri?» dissi «Ah! Hai preferito cominciare ad ululare da una distanza di sicurezza, cane rosso!»

Dal gruppo che circondava l’Incantatrice si levò una risata; vidi che erano tutte donne, dalla carnagione chiara e dai capelli rossi come quelli di lei, mentre con Tibur c’erano due uomini molto alti. Ma l’Incantatrice non disse nulla: continuava a fissarmi, con una bizzarra perplessità negli occhi.

La faccia di Tibur si oscurò. Uno degli uomini si piegò a bisbigliargli qualcosa. Tibur annuì, e avanzò con aria di sfida. Mi gridò: «Ti sei rammollito durante i tuoi vagabondaggi, Dwayanu? Con l’antica tradizione, con l’antica prova, dobbiamo accertarcene prima di riconoscerti… grande Dwayanu. Stai fermo…»

Abbassò la mano sul martello da guerra appeso al suo fianco. Me lo scagliò contro.

Il martello stava saettando verso di me attraverso l’aria con la rapidità di una pallottola… eppure sembrava avviarsi lentamente. Vidi persino la cinghia che lo teneva fissato al braccio di Tibur srotolarsi poco a poco mentre volava.

Una porta si schiuse nel mio cervello… l’antica prova… Io conoscevo quel gioco… Attesi immoto, come prescriveva l’antica tradizione… ma avrebbero dovuto darmi uno scudo… Non importava… come sembrava arrivare lentamente quel grande martello… e mi parve che la mano da me protesa per afferrarlo si muovesse altrettanto lentamente…

L’afferrai. Pesava non meno di sei chili, eppure l’afferrai esattamente, senza sforzo, per l’impugnatura metallica. Ahi! Ma non conoscevo il trucco?… La porta si apriva più in fretta, ormai… e ne conoscevo un altro. Con l’altra mano strinsi la cinghia che fissava il martello al braccio di Tibur, e gli diedi uno strattone, nella mia direzione.

La risata si gelò sulla faccia di Tibur. Barcollò verso l’orlo spezzato di Nansur. Udii, alle mie spalle, il grido pigolante dei pigmei…

L’Incantatrice sguainò un coltello e recise la cinghia. Strappò Tibur dal ciglio dell’abisso. La rabbia m’invase… quello non faceva parte del gioco… secondo l’antica prova, toccava solo allo sfidante e allo sfidato…

Roteai il grande martello intorno alla mia testa, lo scagliai verso Tibur: l’arma volò fischiando, la cinghia recisa tesa rigida nella sua scia. Tibur si gettò di lato, ma non con rapidità sufficiente. Il martello lo colpì ad una spalla. Fu un colpo di striscio, ma lo abbatté.

E adesso fui io a ridere attraverso quel varco.

L’Incantatrice si sporse avanti: l’incredulità sommerse la perplessità nei suoi occhi. Non era più divertita. No! E Tibur si levò di scatto su un ginocchio, guardandomi minaccioso, le linee incise dalle risate contorte in qualcosa che non era allegria.

Altre porte, porte minuscole, continuarono ad aprirsi nel mio cervello… Non volevano credere che fossi Dwayanu… Gliel’avrei fatta vedere io! Frugai nella tasca della mia cintura. Aprii il sacchetto di pelle. Ne trassi l’anello di Khalk’ru e lo levai alto. La luce verde vi scintillò sopra. La pietra gialla parve espandersi, la piovra nera ingrandirsi…

«Sono Dwayanu? Guarda questo! Sono Dwayanu?»

Udii un urlo di donna… conoscevo quella voce. E udii un uomo chiamarmi, gridando… e conoscevo anche quella voce. Le porte minuscole si richiusero di scatto, i ricordi che ne erano usciti vi rientrarono in fretta…

Ma era Evalie che stava urlando! E Jim che mi gridava qualcosa! Che gli aveva preso? Evalie mi stava davanti, a braccia protese. E negli occhi castani inchiodati su di me c’era incredulità e orrore… e ribrezzo. Fila su fila, i pigmei si stringevano attorno a loro due, impedendomi di raggiungerli. Lance e frecce erano puntate contro di me. Sibilavano come un’orda di serpenti dorati, i visi distorti dall’odio, gli occhi puntati sull’anello di Khalk’ru che ancora reggevo alto sopra la testa.

Poi vidi lo stesso odio riflesso sul viso di Evalie… e il ribrezzo approfondirsi nei suoi occhi.

«Evalie!» gridai. Sarei balzato verso di lei… Le mani dei pigmei si alzarono per sferrare il colpo; le frecce fremettero, incoccate negli archi.

«Non muoverti, Leif! Vengo io!» Jim si lanciò avanti. Subito i pigmei brulicarono attorno a lui, sopra di lui. Jim barcollò e cadde sotto il loro peso.

«Evalie!» gridai ancora.

Vidi il ribrezzo dileguarsi, e la disperazione prenderne il posto. Lei gridò qualche ordine.

Una dozzina di pigmei le schizzarono dal fianco, lasciando cadere archi e lance mentre si avventavano verso di me. Stupidamente, rimasi immobile a guardarli arrivare; e tra loro vidi Sri.

M’investirono come minuscoli arieti viventi. Venni spinto all’indietro. I miei piedi incontrarono soltanto l’aria…

Con i pigmei aggrappati alle gambe e accaniti come terrier, precipitai oltre l’orlo di Nansur.

IL LIBRO DELL’INCANTATRICE

XIII

KARAK

Ebbi abbastanza buon senso da alzare le mani sopra la testa, e così piombai a piedi in avanti. I pigmei che mi stavano abbrancati alle gambe lo resero più facile. Quando toccai l’acqua affondai, affondai. Secondo una credenza comune, quando un uomo sta per annegare tutta la sua vita gli passa davanti in pochi secondi, come un film girato a ritroso. Non so se è vero; ma so che mentre sprofondavo e poi risalivo nelle acque del Nanbu, pensai più rapidamente di quanto avessi mai fatto in vita mia.

Innanzi tutto, mi resi conto che Evalie aveva ordinato di scaraventarmi dal ponte. E questo mi accese di un furore incandescente. Perché non aveva aspettato, perché non mi aveva dato la possibilità di spiegare quell’anello? Poi pensai a tutte le occasioni che avevo avuto… e non ne avevo mai approfittato. Poi pensai che i pigmei non avevano avuto nessuna intenzione di aspettare, e che Evalie aveva fermato le loro lance e le loro frecce e mi aveva offerto una possibilità di salvarmi, per quanto labile. Pensai che era stata una pazzia fare balenare l’anello in quel particolare momento, e non potei biasimare i pigmei, se mi avevano creduto un emissario di Khalk’ru. E rividi la disperazione negli occhi di Evalie, e la mia rabbia svanì in una disperazione quasi altrettanto intensa.

Poi, accademicamente, mi venne l’idea che il gioco di Tibur con il martello spiegava la faccenda dell’antico dio nordico Thor e del suo martello Mjolnir, il Frantumatore, che ritornava sempre nella sua mano quando egli lo scagliava. Per renderla più miracolosa, gli scaldi avevano omesso il particolare pratico della lunga cinghia: quello era un altro nesso tra gli uiguri o Ayjir e gli Asi… Ne avrei parlato a Jim. E poi ricordai che non potevo tornare da Jim a parlargli di quello o di altri argomenti, perché certamente i pigmei mi stavano aspettando, e altrettanto sicuramente mi avrebbero ricacciato tra le sanguisughe, anche se fossi riuscito a raggiungere la sponda del Nanbu dalla loro parte. A quel pensiero mi coprii di sudore freddo, ammesso che questo possa avvenire ad un uomo completamente immerso nell’acqua. Avrei preferito morire ucciso dalle lance e dalle frecce del Piccolo Popolo, persino dal martello di Tibur, piuttosto che essere dissanguato da quelle ventose.

Proprio in quel momento irruppi alla superficie del Nanbu, mi dibattei nell’acqua per un momento, schiarendomi gli occhi, e vidi il dorso rosso e viscido di una sanguisuga scivolare verso di me, a meno di sei metri di distanza. Lanciai intorno uno sguardo disperato. La corrente era rapida e mi aveva trasportato per parecchie centinaia di metri a valle del ponte. E mi trascinava dalla parte di Karak, che sembrava distare circa centocinquanta metri. Mi voltai ad affrontare la sanguisuga. Avanzava lentamente, come se fosse sicura di prendermi. Decisi di immergermi e di passarle sotto, cercando di arrivare a riva… se non ce n’erano altre…

Udii un grido cinguettante. Sri saettò davanti a me. Alzò un braccio e indicò Karak. Evidentemente, cercava di dirmi che dovevo raggiungerla il più presto possibile. M’ero dimenticato di lui: solo un bagliore di collera perché si era unito ai miei aggressori. Adesso compresi che ero stato ingiusto nei suoi confronti. Nuotò diritto verso la grande sanguisuga e le diede una pacca sulla bocca. L’animale si piegò verso di lui, gli diede addirittura una musata. Non aspettai altro: nuotai con tutta la rapidità consentitami dagli stivali in direzione della riva.