«Molto bene… Dwayanu!» disse. Sollevò una panca e l’accostò alla tavola; sedette dove poteva osservare le nostre facce.
«Risponderò alla tua domanda.» Mi rivolsi a Yodin. «Sono venuto qui chiamato da Khalk’ru.»
«È strano,» disse Yodin, «che io, Grande Sacerdote di Khalk’ru, non sapessi niente di questa chiamata.»
«Non ne conosco la ragione,» ribattei, disinvolto. «Chiedilo a colui che servi.»
Yodin rifletté.
«Dwayanu visse molto, molto tempo fa,» disse. «Prima…»
«Prima del Sacrilegio. È vero.» Bevvi un altro sorso di vino. «E tuttavia… sono qui.»
Per la prima volta la sua voce perse fermezza.
«Tu… tu sai del Sacrilegio!» Mi strinse il polso tra le dita. «Uomo, chiunque tu sia… da dove vieni?»
«Io vengo,» risposi, «dalla Madrepatria.»
Le dita si strinsero intorno al mio polso. Le sue parole riecheggiarono quelle di Tibur.
«La Madrepatria è una terra morta. Khalk’ru, nella sua collera, ne ha distrutto la vita. Non vi è vita se non qui, dove Khalk’ru ascolta i suoi servi e permette che la vita esista.»
Non lo credeva: lo capii dall’occhiata involontaria che aveva lanciato all’Incantatrice e al Fabbro. E non lo credevano neppure loro.
«La Madrepatria,» dissi io, «è solo ossa sbiancate. Le sue città giacciono coperte da sudari di sabbia. I suoi fiumi non hanno acque, e tra le loro sponde scorre soltanto la sabbia sospinta da venti aridi. Tuttavia vi è ancora la vita nella Madrepatria, e sebbene l’antico sangue sia contaminato… scorre ancora. E Khalk’ru è ancora adoralo e temuto, nel luogo da cui provengo… e in altre terre la vita si riproduce come ha sempre fatto.»
Versai altro vino. Era un buon vino, quello. Aveva l’effetto di accrescere la mia temerarietà… di rendere più forte Dwayanu… bene, io era in una situazione difficile, quindi facesse pure…
«Mostrami il luogo dal quale sei venuto.» Il Gran Sacerdote parlò in fretta. Mi diede una tavoletta di cera ed uno stilo. Tracciai i contorni dell’Asia settentrionale e dell’Alaska. Indicai il Gobi e, approssimativamente, l’ubicazione dell’oasi, e la posizione della Terra Oscurata.
Tibur si alzò per guardare; le loro tre teste si piegarono sulla mappa. Il sacerdote frugò tra i rotoli, ne scelse uno: lo confrontarono con la tavoletta. Sembrava una mappa: la costa settentrionale, però, era sbagliata. Vi era tracciata una linea che sembrava una strada. Sopra e sotto stavano vari simboli. Mi chiesi se quello era il percorso compiuto dalla Vecchia Razza durante la fuga dal Gobi.
Finalmente rialzarono la testa; negli occhi del sacerdote c’era turbamento, apprensione collerica in quelli di Tibur, ma gli occhi dell’Incantatrice erano sereni e imperturbati… come se lei avesse preso una decisione e sapesse esattamente che cosa avrebbe fatto.
«È la Madrepatria!» esclamò il sacerdote. «Dimmi… viene di lì anche lo straniero dai capelli neri che è fuggito con te attraverso il fiume e che ti ha visto gettare da Nansur?»
C’era troppa malizia in quella domanda: cominciavo a detestare Yodin.
«No,» risposi. «Lui viene da una vecchia terra dei Rrrllya.»
Le mie parole fecero scattare in piedi il sacerdote; Tibur imprecò incredulo. E persino l’Incantatrice fu strappata alla sua serenità.
«Un’altra terra… dei Rrrllya! Ma non è possibile,» bisbigliò Yodin.
«Eppure è così,» dissi io.
Ricadde sul seggio e rifletté a lungo.
«È tuo amico?»
«È mio fratello, per l’antico rito di sangue della sua gente.»
«Potrebbe raggiungerti qui?»
«Verrebbe se lo mandassi a chiamare. Ma non lo farò. Non ancora. Lui sta bene dov’è.»
Mi pentii di averlo detto, nello stesso momento in cui parlai. Perché, non lo sapevo. Ma sarei stato disposto a dare molto, pur di poter ritirare quelle parole.
Il sacerdote continuò a tacere.
«Tu ci hai detto cose molto strane,» fece, alla fine. «E sei venuto a noi in modo strano… per essere Dwayanu. Non ti dispiace se ci consultiamo per un po’?»
Guardai la caraffa. Era ancora semipiena. Mi piaceva quel vino… soprattutto perché attenuava il dolore che provavo per Evalie.
«Parlate pure per quanto volete,» risposi, condiscendente. I tre andarono in un angolo della stanza. Mi versai un altro calice, e poi un altro. Dimenticai Evalie. Cominciavo a pensare che me la sarei spassata. Avrei voluto che ci fosse Jim con me, ma rimpiangevo di aver detto che lui sarebbe venuto se lo avessi fatto chiamare. E poi bevvi un altro calice e dimenticai Jim. Sì, mi stavo divertendo moltissimo… bene, non appena avessi scatenato un po’ di più Dwayanu… mi sarei divertito parecchio… Avevo sonno… Mi chiesi cosa avrebbe detto il vecchio Barr, se avesse potuto essere lì con me…
Mi riscossi con un sussulto. Il Gran Sacerdote era al mio fianco, e parlava. Avevo la vaga idea che mi stesse parlando da un po’, ma non ricordavo cosa avesse detto. Avevo anche l’idea che qualcuno mi avesse toccato il pollice. Era ripiegato ostinatamente contro il palmo della mano, così forte che la pietra aveva illividito la carne. L’effetto del vino era completamente svanito. Mi guardai intorno. Tibur e l’Incantatrice se n’erano andati. Perché non li avevo visti uscire? Avevo dormito? Studiai la faccia di Yodin. Aveva un’espressione tesa, sbigottita; eppure intuivo una soddisfazione profonda. Era un’espressione bizzarramente composita. E non mi piaceva.
«Gli altri sono andati a organizzarti una degna accoglienza,» disse lui. «A prepararti un alloggio ed abiti adeguati.»
«Come Dwayanu?» chiesi.
«Non ancora,» rispose Yodin, urbanamente. «Ma come ospite onorato. L’altra è una questione troppo seria per decidere senza un’ulteriore prova.»
«Quale prova?»
Mi guardò un lungo istante, prima di rispondere.
«Se Khalk’ru apparirà alla tua preghiera!»
A quelle parole mi sentii scuotere da un lieve brivido. Yodin mi scrutava così attentamente che dovette notarlo.
«Frena l’impazienza.» La sua voce era di miele freddo. «Non dovrai attendere a lungo. Fino ad allora, probabilmente, non ti vedrò. Nel frattempo… ho una richiesta da farti.»
«Quale?» domandai.
«Non portare apertamente l’anello di Khalk’ru… se non quando, naturalmente, ti sembrerà necessario.»
Era la stessa cosa che mi aveva chiesto Lur. Eppure dozzine di persone mi avevano visto con l’anello, e molte altre dovevano sapere che l’avevo. Yodin intuì la mia indecisione.
«È un oggetto sacro,» disse. «Non sapevo che ne esistesse un altro, fino a quando mi è stato annunciato che tu l’avevi mostrato sul Nansur. Non è bene sminuire le cose sacre. Io non porto il mio se non quando lo ritengo… necessario.»
Mi chiesi in quali circostanze Yodin lo considerava… necessario. E mi augurai fervidamente di sapere in che occasioni sarebbe stato utile a me. I suoi occhi mi scrutavano, e sperai che non avesse intuito quel pensiero.
«Non vedo ragioni per declinare la tua richiesta,» dissi. Mi sfilai l’anello dal pollice e lo riposi nella tasca della cintura.
«Ne ero sicuro,» mormorò lui.
Un gong suonò, leggermente. Yodin premette un lato del tavolo, e la porta si aprì. Tre giovani abbigliati con i camici dei popolani entrarono e si fermarono umilmente, in attesa.
«Sono i tuoi servitori. Ti condurranno al tuo alloggio,» disse Yodin. Chinò la testa. Io uscii con i tre giovani Ayjir. Alla porta c’era una guardia d’una dozzina di donne, con una giovane capitana dagli occhi arditi. Mi salutarono impeccabilmente. Ci avviammo per il corridoio, poi girammo in un altro. Mi voltai indietro.