Poi vidi gli arcieri piazzati sui bordi dell’anfiteatro, gli archi pronti, le frecce puntate, le corde in linea verso di me.
Era opera di Tibur? O del Sacerdote… perché non tentassi la fuga? Non mi piaceva, ma non potevo far nulla. Luka, Amabile Dea… gira la tua ruota afinché nessuna freccia venga scagliata prima che io inizi il rituale!
Mi voltai a cercare il mistico schermo che era la porta sul Vuoto di Khalk’ru. Era a cento passi da me, tanto era ampia e profonda la piattaforma di roccia. Là, la caverna era stata modellata a forma d’imbuto. Lo schermo mistico era un disco gigantesco, alto una dozzina di volte la statura di un uomo. Non era il quadrato giallolucente attraverso il quale, nei templi della Madrepatria, Khalk’ru si era reso corporeo. Per la prima volta ebbi un dubbio… questo Essere era lo stesso? Vi erano altre giustificazioni per la maligna sicurezza del Gran Sacerdote, oltre all’incredulità nei miei confronti?
Ma là, sulla superficie gialla, galleggiava il simbolo di Colui che era più Grande degli Dèi: l’enorme corpo nero pareva sospeso in un oceano sferico di spazio giallo: i suoi tentacoli si allargavano come raggi mostruosi di stelle nere, i suoi occhi spaventosi covavano il tempio, quasi che, come sempre, vedessero tutto e non vedessero nulla. Il simbolo era immutato. La marea del potere tenebroso e cosciente nel mio cervello, frenata per quell’istante, riprese a salire.
Poi vidi, tra me e lo schermo, un semicerchio di donne. Erano giovani, fiorite da poco… e già in frutto. Ne contai dodici: ciascuna era ritta nella conca poco profonda del sacrificio, cinte alla vita dai cerchi d’oro. Sulle spalle candide, sui giovani seni ricadevano i veli dei capelli color ruggine, e attraverso quei veli mi guardavano con gli occhi azzurri in cui si annidava l’orrore. Eppure, benché non potessero nascondere l’orrore nei loro occhi a me che ero così vicino, lo nascondevano a coloro che ci guardavano. Stavano entro le conche, erette, orgogliose, in atteggiamento di sfida. Erano coraggiose, quelle donne di Karak! Provai per loro la pietà di un tempo: ed il fremito dell’antica ribellione.
Al centro del semicerchio di donne pendeva una tredicesima cintura, sorretta da forti catene d’oro che pendevano dalla volta del tempio. Era vuota: i ganci erano aperti…
Il tredicesimo cerchio! Il Cerchio del Sacrificio del Guerriero! Aperto… per me!
Guardai Yodin. Stava accanto ai suoi sacerdoti, accovacciati davanti ai tamburi. Mi fissava. Tibur era sul ciglio della piattaforma, accanto all’incudine di Tubalka: stringeva nelle mani il grande martello, ed il suo volto rifletteva la stessa gioia malvagia del Gran Sacerdote. Non riuscii a scorgere l’Incantatrice.
Il Gran Sacerdote venne avanti. Parlò, nell’oscura immensità del tempio, dove stava la congregazione dei nobili.
«Ecco a voi uno che è venuto dicendo di chiamarsi… Dwayanu. Se egli è Dwayanu, allora Colui che è più Grande degli Dèi, il possente Khalk’ru, ascolterà la sua preghiera ed accetterà i Sacrifici. Ma se Khalk’ru non l’ascolterà… sarà la prova che egli ha mentito. E Khalk’ru non sarà sordo alle mie preghiere, perché l’ho sempre servito fedelmente. E allora questo impostore e mentitore penderà dal Cerchio del Guerriero perché Khalk’ru lo punisca come vorrà. Udite! È giusto? Rispondete!»
Dalle profondità del tempio giunsero le voci dei testimoni.
«Udiamo! È giusto!»
Il Gran Sacerdote si girò verso di me, come per dire qualcosa. Ma se anche ne aveva avuto l’intenzione, cambiò idea. Per tre volte levò il bastone dai campanelli d’oro e lo scosse. Per tre volte Tibur alzò il martello e percosse l’incudine di Tubalka.
Dalle profondità del tempio venne l’antico canto, l’antica supplica che Khalk’ru aveva insegnato ai nostri antenati quando ci aveva eletti tra tutti i popoli della Terra, e da allora erano trascorse molte epoche dimenticate. Lo ascoltai come se fosse una filastrocca per bambini. E gli occhi di Tibur non mi abbandonavano mai, con la mano sul martello, pronto a scagliarmelo contro per storpiarmi se avessi cercato di fuggire; e neppure lo sguardo di Yodin mi lasciava.
Il canto terminò.
Levai in fretta le mani nell’antico segno, e feci con l’anello ciò che prescriveva l’antico rituale… e nel tempio alitò quel primo soffio freddo che era il presagio della venuta di Khalk’ru!
Le facce di Yodin e di Tibur quando sentirono quel soffio! Oh, se avessi potuto guardarle! Ridi adesso, Tibur! Ma adesso non potevano fermarmi! Neppure il Fabbro avrebbe osato scagliare il martello e levare la mano per far scatenare su di me una tempesta di frecce! Neppure Yodin avrebbe ardito fermarmi…
Dimenticai tutto. Dimenticai Yodin e Tibur. Dimenticai, come dimenticavo sempre, le vittime del Sacrificio, nella tenebrosa esultanza del rituale.
La pietra gialla fremette, venne percorsa da tremiti. Divenne sottile come l’aria. Svanì.
E là dove era stata, con i neri tentacoli vibranti, il nero corpo librato che svaniva nello spazio incommensurabile, c’era Khalk’ru!
Più rapidi, più forte, rullarono i tamburi.
I tentacoli neri si contorsero, avanzando. Le donne non li vedevano. I loro occhi erano inchiodati su me… come se… come se io rappresentassi per loro una speranza che divampava nella loro disperazione! Io… che avevo evocato il loro distruttore…
I tentacoli le sfiorarono. Vidi la speranza oscurarsi e morire. I tentacoli si avvinghiarono attorno alle loro spalle, scivolarono sui loro seni. Le abbracciarono. Scesero lungo le cosce e toccarono i piedi. I tamburi incominciarono la rapida fuga verso l’alto, nel crescendo del culmine del Sacrificio.
Le grida delle donne erano stridule, sopra quel rullo. I loro corpi bianchi divennero nebbia grigia. Divennero ombre. Scomparvero… scomparvero prima che le loro grida si spegnessero. Le cinture d’oro caddero tintinnando sulla roccia…
Che succedeva? Il rituale era finito. Il Sacrificio era stato accettato. Eppure Khalk’ru era ancora librato lassù!
Ed il freddo senza vita mi avvolgeva, sorgeva intorno a me…
Un tentacolo ondeggiò, serpeggiò in avanti. Lentamente, lentamente, superò il Cerchio del Guerriero… venne più vicino… più vicino…
Si tendeva verso di me!
Sentii una voce che intonava, intonava parole più antiche di quante io ne conoscessi. Parole? Non erano parole! Erano suoni le cui radici risalivano ad un tempo in cui l’uomo non esisteva ancora.
Era Yodin… Yodin che parlava in una lingua che poteva essere stata quella dello stesso Khalk’ru, prima che esistesse la Vita!
E se ne serviva per attirare Khalk’ru su di me! Per mandarmi lungo la via percorsa dalle vittime del Sacrificio!
Balzai addosso a Yodin. L’afferrai tra le braccia e lo spinsi tra me e l’avido tentacolo. Lo sollevai e lo scagliai verso Khalk’ru. Volò attraverso il tentacolo come se fosse stata una nuvola. Urtò le catene che reggevano il Cerchio del Guerriero. Rimase aggrovigliato, penzoloni, e scivolò sopra la cintura d’oro.
Con le mani levate, mi udii gridare a Khalk’ru le stesse sillabe inumane. Allora non conoscevo il loro significato, né lo conosco adesso… né so da dove mi giungessero…
So che erano suoni quali la gola e le labbra degli uomini non erano stati destinati a profferire!
Ma Khalk’ru udì… e ascoltò. Esitò. I suoi occhi mi fissarono, imperscrutabili… fissarono me e attraverso me.
E poi il tentacolo si ripiegò all’indietro. Circondò Yodin. Un sottile stridìo… e Yodin sparì.
Il Khalk’ru vivente s’era dileguato. Giallolucente, l’oceano sferico brillò dove era stato… la figura nera vi galleggiava inerte.
Udii un tintinnio sulla roccia: l’anello di Yodin che rotolava nella conca. Balzai in avanti e lo raccolsi.
Tibur, con il martello levato a mezzo, mi fissava ritto, accanto all’incudine. Gli strappai il maglio dalla mano, gli diedi un colpo che lo fece barcollare.