Выбрать главу

Levai il maglio e frantumai l’anello di Yodin sull’incudine.

Dal tempio salì un grido tonante…

«Dwayanu!»

XVIII

I LUPI DI LUR

Attraversavo a cavallo la foresta insieme all’Incantatrice. Il falcone bianco le stava appollaiato sul polso inguantato e mi perseguitava con i fissi occhi clorati. Non mi amava… il falcone di Lur. Una dozzina delle sue donne cavalcava dietro di noi. Una dozzina di mie seguaci mi difendeva le spalle. Ci seguivano da vicino. Così era nei tempi andati. Mi piaceva avere il dorso coperto. Era la mia parte più vulnerabile, sia con gli amici che con i nemici.

Gli armaiuoli mi avevano forgiato una cotta di leggera maglia metallica. L’avevo indosso; ne indossava anche Lur e la nostra scorta: eravamo tutti armati con le due spade, il lungo pugnale ed il martello. Stavamo andando a compiere una ricognizione a Sirk.

Per cinque giorni ero rimasto sul trono del Gran Sacerdote, governando Karak con l’Incantatrice e Tibur. Lur era venuta a me… pentita in quel suo modo fiero. Tibur, perduta ogni arroganza ed insolenza, aveva piegato il ginocchio, giurandomi fedeltà, protestando, ragionevolmente, che i suoi dubbi erano stati naturali. Accettai il suo impegno, con qualche riserva. Prima o poi avrei dovuto uccidere Tibur… anche se non avessi promesso la sua morte a Lur. Ma perché ucciderlo prima che cessasse di essere utile? Era uno strumento tagliente? Ebbene, se mi tagliava mentre lo maneggiavo, era esclusivamente colpa mia. Meglio un coltello affilato ed infido che uno fido e smussato.

In quanto a Lur… era dolce carne di femmina, e tenera. Ma aveva molta importanza? Non molta… per ora. C’era in me una specie di letargia, un rilassamento, mentre cavalcavo accanto a lei attraverso la foresta fragrante.

Eppure avevo ricevuto da Karak omaggi e acclamazioni, quanti bastavano per placare un orgoglio ferito. Ero l’idolo dei soldati. Quando passavo a cavallo per le strade la gente gridava di esultanza e le madri sollevavano i bambini perché mi vedessero. Ma c’erano molti che restavano in silenzio al mio passaggio, e distoglievano il capo o mi sogguardavano di sbieco, con gli occhi ombreggiati dall’odio furtivo e dalla paura.

Dara, la capitana dagli occhi arditi che mi aveva messo in guardia contro Tibur, e Naral, la fanciulla che mi aveva dato il medaglione, le avevo scelte come ufficiali della mia guardia personale. Mi erano devote, e mi divertivano. Solo quel mattino avevo parlato a Dara di coloro che mi guardavano di traverso, e le avevo chiesto il perché.

«Vuoi una risposta sincera, Signore?»

«Sempre, Dara.»

Lei disse, francamente: «Sono coloro che attendevano un Liberatore. Uno che spezzasse le catene, spalancasse le porte, portasse la libertà. Dicono che Dwayanu è solo un altro che sfama Khalk’ru. Il suo macellaio. Come Yodin. Forse non peggiore. Certamente non migliore.»

Pensai alla strana speranza che avevo visto soffocata negli occhi delle vittime del sacrificio. Anche loro avevano sperato che io fossi il Liberatore, anziché…

«Tu che ne pensi, Dara?»

«Io penso quel che pensi tu, Signore,» rispose lei. «Ma… non mi si spezzerebbe il cuore, se vedessi infrante le cinture d’oro.»

Ed io stavo pensando a quello, mentre cavalcavo a fianco di Lur, mentre il suo falcone mi odiava con quel suo sguardo implacabile. Che cos’era… Khalk’ru? Molto spesso, tanto e tanto, tanto tempo fa, me l’ero domandato. L’infinito poteva modellarsi in una forma come quella che compariva al richiamo del portatore dell’anello? O meglio… l’avrebbe fatto? Il mio impero era stato immenso… sotto il Sole e la Luna e le stelle. Eppure era una particella di polvere in un raggio di luce, in confronto all’impero dello Spirito del Vuoto. Possibile che un essere tanto grande accettasse di ridursi ad una particella?

Non c’era dubbio che il Nemico della Vita esistesse! Ma cos’era, ciò che appariva al richiamo dell’anello… il Nemico della Vita? E se non lo era… allora quel culto tenebroso valeva il suo prezzo?

Un lupo ululò. L’Incantatrice rovesciò all’indietro la testa e rispose. Il falcone spiegò le ali, stridendo. Passammo dalla foresta ad una radura aperta, pavimentata di muschio. Lur si fermò e lanciò di nuovo dalla gola il grido del lupo.

Improvvisamente, intorno a noi vi fu un cerchio di animali. Lupi bianchi, i cui ardenti occhi verdi erano fissi su Lur. Ci accerchiavano, con le rosse lingue penzolanti, le zanne lucenti. Un fruscio di zampe, e all’improvviso il cerchio di lupi raddoppiò. E altri ancora scivolarono tra gli alberi fino a quando il cerchio fu triplo, quadruplo… fino a quando vi fu un’ampia fascia di candore vivo, chiazzato dalle fiamme scarlatte delle lingue, costellato dagli smeraldi scintillanti degli occhi…

Il mio stallone tremò: sentii l’odore del suo sudore.

Lur premette le ginocchia contro i fianchi della sua cavalcatura e si spinse avanti. Lentamente, girò all’interno del cerchio di lupi bianchi. Alzò la mano; disse qualcosa. Un grande lupo si alzò e venne verso di lei. Come un cane, posò le zampe sulla sella. Lur si chinò, gli prese le ganasce tra le mani. Gli bisbigliò qualcosa. Il lupo parve ascoltarla. Tornò nel cerchio e si accosciò, fissandola. Io risi.

«Sei una donna… o un lupo, Lur?»

Lei disse: «Anch’io ho i miei seguaci, Dwayanu. Non ti sarebbe facile portarmeli via.»

Qualcosa, nel suo tono, m’indusse a fissarla intento. Era la prima volta che dimostrava risentimento, o almeno rincrescimento, per la mia popolarità. Lei evitò il mio sguardo.

Il grosso lupo alzò la testa e ululò. Il cerchio s’infranse. I lupi si dispersero, zampettando rapidi davanti a noi, come esploratori, si dileguarono nelle ombre verdi.

La foresta si diradò. Le felci giganti presero il posto degli alberi. Cominciai a udire un bizzarro sibilo. Inoltre, il clima divenne considerevolmente più caldo, e l’aria si saturò di umidità, e vapori nebbiosi aleggiarono sopra le felci. Io non vedevo piste né sentieri, ma Lur avanzava sicura, come se seguisse una strada tracciata nettamente.

Arrivammo ad un enorme gruppo di felci. Lur scese da cavallo.

«Di qui proseguiamo a piedi, Dwayanu. Non è molto lontano.»

L’imitai. La nostra truppa si fermò, senza smontare. L’Incantatrice ed io ci insinuammo tra le felci per una dozzina di passi. Il lupo procedeva guardingo proprio davanti a lei. Lur scostò le fronde. Davanti a me stava Sirk.

A destra si levava un bastione di roccia, perpendicolare, sgocciolante d’umidità, quasi del tutto privo di vegetazione, salvo piccole felci aggrappate a precari appigli. A sinistra, alla distanza di quattro tiri di frecce, c’era un bastione simile, che si levava alto nella foschia. Tra i due c’era una piattaforma pianeggiante di roccia nera. Le fondamenta lisce e scintillanti sprofondavano in un fossato ampio due tiri di giavellotto. La piattaforma era incurvata verso l’interno, e da una parete di roccia all’altra era orlata da un’unica ininterrotta fortezza.

Quello era un fossato! Alla base della parete di destra sgorgava un torrente. Sibilava e gorgogliava nello scaturire, ed il vapore che saliva ondeggiava sulla parete come un grande velo e ricadeva su di noi in una finissima pioggia di goccioline calde. L’acqua correva ribollendo lungo la base della fortezza, e se ne levavano getti di vapore e bolle immense che scoppiavano, spargendo piogge di pulviscolo scottante.

La fortezza, in sé, non era alta. Era tozza, solida: la facciata era interrotta soltanto da feritoie, verso la cima. In alto c’era un parapetto. Sopra questo, potei scorgere lo scintillare delle lance e le teste delle sentinelle. Da una parte sola c’erano delle torri: erano vicino al centro, dove il fossato bollente era più stretto. Di fronte, sull’altra sponda, c’era un molo per un ponte levatoio. Vidi il ponte, molto stretto, sollevato, sporgente tra le due torri come una lingua.