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Mi voltai verso l’Incantatrice. Era immobile, lo sguardo lontano. Negli occhi aveva lo stesso fuoco verde dei suoi lupi. E all’improvviso, al di sopra del sibilo del torrente, udii l’ululato delle sue belve… lontano, lontano.

Lur si rilassò; abbassò la testa; mi sorrise…

«Sì… so veramente parlare ai miei lupi, Dwayanu!»

Mi accostai alla scala, ne provai la resistenza. Era forte, sicura.

«Vado io per primo, Lur. Che nessuno mi segua fino a quando non sarò dall’altra parte. Poi venite tu, Dara e Naral, per guardarmi alle spalle.»

Gli occhi di Lur lampeggiarono.

«Io ti seguo. Le tue capitane verranno dopo di me.»

Riflettei. Ebbene… facesse pure.

«Come vuoi, Lur. Ma non seguirmi fino a quando non sarò dall’altra parte. Poi di’ a Ouarda di mandare le soldatesse. Ouarda… la scala non può reggerne più di dieci per volta. Lega dei pezzi di stoffa sulle loro bocche e sulle narici, prima che partano. Conta fino a trenta, lentamente, così, prima di mandare un gruppo dietro all’altro. Legami l’ascia e la spada sulla schiena, Lur. Assicurati che tutte portino nello stesso modo le loro armi. Stai a vedere, ora, come mi servo delle mani e dei piedi.»

Saltai sulla scala, con le braccia e le gambe aperte. Cominciai ad arrampicarmi. Come un ragno. Lentamente, in modo che imparassero. La scala ondeggiava poco: l’angolazione era buona.

Poi fui sopra le felci. Poi sul ciglio del torrente. Sopra il torrente. Il vapore turbinò attorno a me. Mi nascose. L’alito caldo del geyser m’investì. Non riuscivo a vedere la scala, solo i gradini sotto di me…

Fossero rese grazie a Luka! Se ciò che mi stava davanti mi era nascosto… anch’io ero nascosto da ciò che stava davanti a me!

Attraversai il vapore. Avevo superato la parete rocciosa. Ero sopra il parapetto. Mi lasciai cadere dalla scala, tra le rocce… invisibile. Scossi la scala. Vi fu una risposta tremula. Vi era sopra un peso, adesso… un altro… e un altro…

Slacciai l’ascia e la spada…

«Dwayanu…»

Mi voltai. Erano le tre ragazze. Cominciai ad elogiarle… reprimendo il riso. Il verde e il nero si erano sciolti nel bagno di vapore, combinandosi in motivi grotteschi.

«Voi siete nobili, fanciulle! Da questo momento! Verde e nero saranno i vostri colori. Ciò che avete fatto questa notte rimarrà leggendario a lungo, in Karak.»

Guardai verso i bastioni. Tra quelli e noi c’era un pavimento liscio di roccia e di sabbia, ampio meno della metà d’un tiro di freccia. Una dozzina di soldati stava intorno al fuoco. Ce n’era un gruppo più numeroso sul parapetto, vicino alle torri del ponte. E un altro ancora, dall’altra parte del parapetto. Guardavano i lupi.

Le torri del ponte levatoio scendevano fino al pavimento di roccia. Quella di sinistra non aveva aperture, quella di destra un’ampia porta. E la porta era spalancata, non sorvegliata, a meno che i soldati raccolti intorno al fuoco fossero la sua guardia. Tra le torri scendeva una larga rampa, l’accesso alla testa del ponte.

Mi sentii toccare il braccio. Lur era accanto a me. E subito dopo sopraggiunsero le mie due capitane. Poi, una ad una, le soldatesse. Ordinai loro di tendere gli archi e di incoccare le frecce. Una ad una uscirono dall’oscurità verde, mi scivolarono accanto. Si prepararono nell’ombra delle rocce.

Una dozzina… due dozzine… un urlo tagliò come una freccia il sibilo del torrente! La scala tremò. Sussultò… s’inclinò… Ancora il grido disperato… la scala ricadde, allentata!

«Dwayanu… la scala si è spezzata? Ouarda…»

«Zitta, Lur! Può darsi che abbiano udito l’urlo. La scala non si poteva rompere…»

«Ritirala, Dwayanu… ritirala!»

Tirammo, insieme. Era pesante. La ritirammo come una rete, in fretta. E all’improvviso, non ebbe più peso. Precipitò tra le nostre mani…

Le estremità erano recise, da un colpo di coltello o d’ascia.

«Tradimento!» dissi.

«Ma tradimento… come… se Ouarda era di guardia?»

Strisciai, carponi, dietro l’ombra delle rocce.

«Dara… disperdi le soldatesse. Di’ a Naral di portarsi all’estremità più lontana. Al segnale, che scaglino le frecce. Tre sole volte. La prima, contro quelli attorno al fuoco. La seconda e la terza, contro quelli sulle mura, più vicino alle torri. Poi seguitemi. Hai capito?»

«Ho capito, Signore.»

L’ordine passò di bocca in bocca; sentii frusciare le corde degli archi.

«Siamo meno di quanto sperassi, Lur… eppure non possiamo far altro che andare sino in fondo. Ormai, non possiamo uscire da Sirk se non aprendoci un varco con la spada.»

«Lo so. È a Ouarda che sto pensando…» Le tremava la voce.

«È al sicuro. Se il tradimento fosse stato generale, avremmo sentito i rumori di un combattimento. Inutile parlare ancora, Lur. Dobbiamo muoverci in fretta. Dopo il terzo lancio di frecce, precipitiamoci alla porta della torre.»

Diedi il segnale. Le arciere si alzarono. Le loro saette volarono verso coloro che erano raccolti attorno al fuoco. Ne lasciarono vivi ben pochi. Immediatamente, su quelli che stavano intorno alle torri del ponte fischiò un secondo nugolo di frecce.

Avevano una buona mira! Quelli cadevano! Ancora…

Il fischio delle saette piumate! Il canto delle corde degli archi! Per gli Dèi… quello era vivere!

Balzai giù tra le rocce: Lur era accanto a me. Le soldatesse ci seguirono. Corremmo verso la porta della torre. L’avevamo quasi raggiunta prima che quanti stavano sul lungo parapetto si svegliassero.

Risuonarono delle grida. Squillarono le trombe, l’aria fremette del clangore di un grande gong che urlava l’allarme a Sirk addormentata. Continuammo a correre. I giavellotti piovvero su di noi, sibilarono le frecce. Dalle altre porte, lungo le mura interne, cominciarono ad uscire altre sentinelle che correvano a intercettarci.

Arrivammo alla porta della torre… e la varcammo!

Ma non tutti. Un terzo delle nostre guerriere erano cadute trafitte da giavellotti e frecce. Spingemmo la porta massiccia, la chiudemmo. Abbassammo le grosse sbarre che la bloccavano. Appena in tempo. Sulla porta cominciarono a battere i martelli delle guardie.

La camera era di pietra, enorme e spoglia. Non c’erano aperture, tranne la porta da cui eravamo entrati. Ne compresi la ragione: Sirk non aveva mai previsto di venire attaccata dall’interno. C’erano delle feritoie, in alto, che davano sopra il fossato, e piattaforme per gli arcieri. Da una parte c’erano le ruote dentate e le leve che manovravano il ponte.

Notai tutto, con una rapida occhiata. Balzai sulle leve, cominciai a smuoverle. Le ruote girarono.

Il ponte si stava abbassando!

L’Incantatrice corse sulla piattaforma degli arcieri, guardò fuori: si portò il corno alle labbra; lanciò un lungo richiamo attraverso la feritoia… il segnale per Tibur e il suo esercito.

Il martellare contro la porta era cessato. I colpi erano più forti, più regolari… ritmati. Colpi d’ariete. Il legno massiccio tremava; le sbarre scricchiolarono.

Lur mi gridò: «Il ponte è calato, Dwayanu! Tibur lo sta attraversando. Si sta facendo più chiaro. Spunta l’alba. Hanno portato i cavalli!»

Imprecai.

«Luka, mandagli abbastanza buon senso perché non attraversi il ponte a cavallo!»

«È quel che sta facendo… lui e Rascha e un pugno d’altri, soltanto… gli altri smontano… Li stanno bersagliando dalle feritoie… i giavellotti piovono su di loro. Sirk esige il suo prezzo…»

Uno scroscio tonante contro la porta. Il legno si spaccò…

Un tumulto ruggente. Urla e grida di battaglia. Un cerchio di spade contro spade ed il sibilo delle frecce. E sopra tutto quel frastuono, la risata di Tibur.

L’ariete non batteva più contro la porta.

Alzai le sbarre, con l’ascia levata, aprii il grande battente di pochissimo, sbirciai fuori.