I soldati di Karak si stavano riversando giù dalla rampa del ponte.
Spalancai la porta. I morti della fortezza giacevano numerosi alla base della torre e alla testa del ponte.
Varcai la soglia. I soldati mi videro.
«Dwayanu!» risuonò il loro grido.
Dalla fortezza venne il clangore del grande gong… che avvertiva Sirk.
Sirk non dormiva più!
XX
«TSANTAWU, ADDIO!»
Oltre il varco che portava a Sirk vi fu un ronzìo, come di un alveare disturbato. Squilli di trombe e rullo di tamburi. Il clangore di gong di bronzo che rispondevano a quello che batteva dal cuore segreto della fortezza violata. E le guerriere di Karak continuarono a riversarsi dal ponte, fino a quando ebbero riempito lo spazio dietro la fortezza.
Il Fabbro girò il suo stallone, verso di me.
«Per gli Dèi, Tibur! Ben fatto!»
«Non ci saremmo riusciti senza di te, Dwayanu! Tu hai visto, tu hai capito… tu hai fatto. La nostra parte è stata minima.»
Bene, era vero. Ma in quel momento quasi trovai simpatico Tibur! Vita del mio sangue! Non era stato uno scherzo guidare quella carica attraverso il ponte. Il Fabbro era un soldato! Se mi fosse stato fedele soltanto a metà… che Khalk’ru si portasse via l’Incantatrice!
«Ripulisci la fortezza, Fabbro. Non vogliamo ricevere frecce nella schiena.»
«La stiamo ripulendo, Dwayanu.»
Con spada e lancia, con giavellotto e frecce, la fortezza venne ripulita.
Il clamore del gong bronzeo morì su di un colpo non perfettamente centrato.
Il mio stallone mi appoggiò le froge sulla spalla, soffiò delicatamente contro il mio orecchio.
«Non hai dimenticato il mio cavallo! Dammi la mano, Tibur!»
«Guida tu la carica, Dwayanu!»
Balzai in sella allo stallone. Con l’ascia levata, lo feci roteare e galoppai verso il varco. Volai come la punta di una lancia, con Tibur alla sinistra, l’Incantatrice alla destra, i nobili dietro di noi, e poi i soldati.
Ci lanciammo attraverso il portale di Sirk.
E un’ondata viva si sollevò per ributtarci indietro. I martelli volavano, le asce affondavano, i giavellotti e le lance e le frecce piumate grandmavano su di noi. Il mio cavallo barcollò e cadde, urlando, con i garretti posteriori recisi. Sentii una mano sulla spalla, che mi trascinava giù. L’Incantatrice mi sorrise. Troncò con la spada il braccio che mi traeva fra i morti. Con l’ascia e con la spada aprimmo un cerchio attorno a noi. Balzai in sella ad un cavallo grigio dal quale era caduto un nobile, trafitto dalle frecce.
Ci spingemmo avanti, contro quell’onda viva che cedette, inarcandosi attorno a noi.
Avanti e avanti! Spada, taglia; ascia, abbatti! Taglia, squarcia, trafiggi!
L’ondata che ci assaliva venne abbattuta. Superammo il varco. Sirk era davanti a noi.
Tirai le redini del cavallo. Sirk si stendeva davanti a noi… troppo invitante!
La città era annidata in un avvallamento tra nere pareti perpendicolari, lisce, inaccessibili. Il ciglio del varco era più alto dei tetti delle case, che incominciavano alla distanza di un tiro di freccia. Era una bella città. Non c’erano fortini, né cittadella; non c’erano templi né palazzi. Soltanto case di pietra, circa un migliaio, con i tetti piatti, distanti l’una dall’altra, circondate da giardini, con un’ampia strada che si snodava in mezzo, fiancheggiata dagli alberi. C’erano molti vialetti. Oltre la città, campi e campi fertili, e frutteti fiorenti.
E non c’erano file di guerrieri schierati contro di noi. La strada era aperta.
Troppo aperta!
Scorsi lo scintillìo delle armi sui tetti delle case. Vi fu il rumore delle asce, tra gli squilli di tromba e il rullo dei tamburi.
Stavano barricando l’ampia strada servendosi degli alberi, ci preparavano cento imboscate, aspettandosi che noi scendessimo in forze.
Tendevano la rete sotto gli occhi di Dwayanu!
Eppure era una buona tattica. La difesa migliore. L’avevo incontrata in molte guerre contro i barbari. Significava che dovevamo batterci ad ogni passo, casa per casa, mentre le frecce ci cercavano da ogni finestra e da ogni tetto. Avevano un comandante efficiente, lì a Sirk, per preparare una simile accoglienza con un preavviso tanto breve! Provavo rispetto per quel comandante, chiunque fosse. Aveva scelto l’unico sistema che poteva portare alla vittoria… a meno che coloro contro cui combatteva non conoscessero la contromossa.
Ed io la conoscevo: l’avevo imparata a caro prezzo.
Per quanto tempo quel comandante poteva tenere Sirk, entro i suoi mille fortini? Era sempre quello, il pericolo di un simile tipo di difesa. L’impulso travolgente di una città trafitta è avventarsi sugli invasori, come fanno le formiche e le api uscendo dai formicai e dagli alveari. Non sempre c’è un comandante abbastanza forte per impedirlo. Se ogni casa di Sirk poteva rimanere collegata all’altra, se ognuna poteva continuare ad essere una parte attiva del complesso… allora Sirk poteva essere inespugnabile. Ma quando avessero incominciato a venire isolate, una ad una? Tagliate fuori? Quando la volontà del comandante fosse stata isolata?
Allora la disperazione si insinua dovunque! Allora i combattenti vengono trascinati fuori dalla furia e dalla disperazione, come da corde. Escono… per uccidere o per venire uccisi. La muraglia si sgretola, pietra per pietra. La torta viene divorata dagli assalitori, briciola per briciola.
Divisi i nostri soldati, mandai il primo scaglione contro Sirk, in piccole squadre, con l’ordine di spargersi e di approfittare di tutti i ripari. Dovevano prendere le case della fascia più esterna, a tutti i costi, scagliando le frecce in tiri alti e curvi contro i difensori, mentre altri si aprivano la via con i martelli, dentro gli stessi edifici. Altri ancora dovevano attaccare più avanti, ma senza mai allontanarsi troppo dai loro commilitoni né dall’ampia strada che scorreva attraverso la città.
Stavo gettando una rete su Sirk, e non volevo che le sue maglie si spezzassero.
Ormai era giorno fatto.
I soldati avanzarono. Vidi le frecce volare verso l’alto e ricadere, attorcendosi le une alle altre come serpenti… udii le asce battere contro le porte…
Per Luka! Da uno dei tetti garriva una bandiera di Karak! E da un altro!
Il ronzìo di Sirk si fece più alto, più sonoro, con una nota di follìa. Sapevo che non potevano resistere a lungo a quella tattica! E conoscevo quel suono! Presto sarebbe divenuto frenetico. E poi disperato.
Non sarebbe passato molto tempo prima che si lanciassero fuori…
Tibur stava bestemmiando al mio fianco. Guardai Lur, che stava fremendo. Le soldatesse mormoravano, tirando il guinzaglio, ansiose di prendere parte al combattimento. Guardai i loro occhi azzurri, duri e freddi; le facce sotto gli elmi non erano di donne, ma di giovani guerrieri… chi vi avesse cercato la misericordia femminile avrebbe avuto un brutto risveglio!
«Per Zarda! Ma il combattimento finirà prima che noi possiamo usare le spade!»
Io risi.
«Pazienza, Tibur! La pazienza è la nostra arma più forte. E lo sarebbe anche per Sirk… se loro lo sapessero. Lascia che siano loro a perdere per primi quell’arma.»
Il tumulto crebbe. Sulla strada apparve una cinquantina di soldati di Karak, che lottavano contro un numero superiore di avversari, continuamente accresciuto da altri combattenti di Sirk che uscivano dalle stradette laterali, balzavano dai tetti e dalle finestre delle case assediate.
Era quello il momento che avevo atteso!
Impartii l’ordine. Lanciai il mio grido di battaglia. Ci avventammo su di loro. I nostri, impegnati nella scaramuccia, si fecero da parte per lasciarci passare, si confusero tra le file urlanti che ci seguivano. Squarciammo la linea dei difensori di Sirk. Quelli caddero, ma combattevano anche mentre cadevano, e molte selle dei nobili erano vuote, e molti destrieri vennero perduti prima che arrivassimo vittoriosi alla prima barricata.