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I tamburi del Piccolo Popolo mi scossero dal letargo, mi ridestarono completamente. All’inizio scrosciarono come un tuono sopra il fiume bianco. Poi scesero ad un ritmo lento, misurato, carico di minacce implacabili. Sembrava che la Morte fosse ritta sulle tombe vuote e le calpestasse prima di mettersi in marcia.

Al primo scroscio Evalie si raddrizzò, poi ascoltò con tutti i nervi tesi. Trattenni il mio cavallo, e vidi che anche l’Incantatrice si era fermata e stava ascoltando con la stessa intensità di Evalie. C’era qualcosa d’inspiegabilmente inquietante in quel tambureggiare monotono. Qualcosa che andava al di là ed al di fuori dell’esperienza umana… o che non la raggiungeva. Era come se migliaia di cuori messi a nudo battessero all’unisono, in un unico ritmo inalterabile, che non sarebbe cessato fino a quando anche i cuori non si fossero fermati… inesorabile… crescente in un’area sempre più vasta… e si diffondeva, si diffondeva… fino a battere su tutta la terra al di là del bianco Nanbu.

Parlai a Lur.

«Sto pensando che questa è l’ultima delle mie promesse, Incantatrice. Ho ucciso Yodin, ti ho dato Sirk, ho ucciso Tibur… ed ecco la tua guerra con i Rrrllya.»

Non avevo pensato a quel che avrebbe provato Evalie! Si voltò e mi lanciò un lungo, fermo sguardo di sarcasmo; poi disse all’Incantatrice, freddamente, in un uiguro zoppicante: «È la guerra. Non te l’aspettavi, quando hai osato catturarmi? Ci sarà guerra fino a quando il mio popolo non mi riavrà. È meglio che tu stia attenta a come ti servi di me.»

L’autocontrollo dell’Incantatrice si spezzò a quelle parole, e i fuochi a lungo repressi della sua collera esplosero.

«Bene! Ora spazzeremo via una volta per tutti i tuoi cani gialli. E tu verrai scuoiata, o immersa nel calderone… o data a Khalk’ru. Che vincano o perdano… ai tuoi cani resterà ben poco di te. Tu verrai usata come vorrò io.»

«No,» dissi. «Come vorrò io, Lur.»

Gli occhi azzurri divamparono. E gli occhi castani incontrarono i miei, sardonici come prima.

«Dammi un cavallo. Non mi piace il tuo contatto… Dwayanu.»

«Nonostante questo dovrai cavalcare con me, Evalie.»

Entrammo in Karak. I tamburi rullavano, ora forte, ora sommessi. Ma sempre con quel ritmo immutabile, inesorabile. Ora forte, ora piano, forte e piano. Come se la Morte calpestasse le tombe cave… ora rabbiosamente ed ora con leggerezza.

C’era molta gente per le strade. Guardavano tutti Evalie, e bisbigliavano. Non vi furono acclamazioni né grida di benvenuto. Sembravano incupiti, spaventati. Poi capii che erano così intenti ad ascoltare i tamburi da avvedersi appena del nostro passaggio. I tamburi erano più vicini. Li sentivo parlare di postazione in postazione lungo la sponda opposta del fiume. Le lingue dei tamburi parlanti risuonavano più forti delle altre. E continuavano a ripetere: «E-vah-li! Evah-li!»

Attraversammo lo spiazzo aperto, verso la porta della cittadella nera. Mi fermai.

«Tregua, Lur.»

Lei lanciò un’occhiata beffarda ad Evalie.

«Tregua! Che bisogno c’è d’una tregua tra me e te, Dwayanu?»

Io dissi, calmo: «Sono stanco di massacri. Tra i prigionieri vi sono alcuni Rrrllya. Portiamoli dove possono parlare con Evalie e con noi due. Poi ne libereremo una parte, li manderemo oltre il Nanbu, a portare l’annuncio che non intendiamo fare alcun male ad Evalie. Che invitiamo i Rrrllya a inviarci domani un’ambasceria autorizzata a concludere una pace duratura. E che quando la pace sarà conclusa, potranno ricondurre Evalie con loro, e illesa.»

Lur disse, sorridendo: «Dunque… Dwayanu ha paura dei nani!»

Io ripetei: «Sono stanco di massacri.»

«Ahimé,» sospirò lei. «Eppure non una volta sola ho sentito Dwayanu vantarsi che egli mantiene sempre le sue promesse… e mi sono lasciata indurre a pagare in anticipo! Ahimé, Dwayanu è cambiato!»

Mi aveva punto sul vivo: ma riuscii a dominare la mia collera. Dissi: «Se non vuoi accettare, Lur, allora darò gli ordini personalmente. Ma allora la nostra città sarà divisa, e facile preda per il nemico.»

Lur rifletté.

«Quindi non vuoi la guerra contro i piccoli cani gialli? E sei persuaso che se la ragazza verrà loro restituita, la guerra non ci sarà? E allora cosa aspetti? Perché non la rimandi subito insieme ai prigionieri? Portali al Nansur, parlamenta con i nani che sono là. Il dialogo fra i tamburi potrebbe sistemare tutto in poco tempo… se tu hai ragione. E allora questa notte potremo dormire senza che i tamburi ci disturbino.»

Era vero: ma intuivo la malizia delle sue parole. La verità era che non volevo rimandare subito Evalie. Altrimenti non avrei avuto mai più una occasione per giustificarmi con lei, lo sapevo, per vincere la sua diffidenza… per indurla ad accettarmi ancora come il Leif che lei aveva amato. Ma se avessi avuto un po’ di tempo… forse ci sarei riuscito. E l’Incantatrice lo sapeva.

«Non possiamo farlo troppo in fretta, Lur,» obiettai, soavemente. «Penserebbero che abbiamo paura di loro… come la mia proposta ti ha indotto a pensare che io li temessi. Per concludere un trattato del genere abbiamo bisogno di ben altro che un’affrettata conversazione fra tamburi. No: terremo la ragazza come ostaggio fino a quando avremo fissato le nostre condizioni.»

Lur piegò il capo, riflettendo, poi mi guardò con gli occhi limpidi e sorrise.

«Hai ragione, Dwayanu. Manderò a prendere i prigionieri non appena mi sarò ripulita della sporcizia di Sirk. Verranno condotti nella tua camera. E nel frattempo non farò altro. Ordinerò d’informare i Rrrllya di Nansur che presto i loro compagni catturati torneranno tra loro con un messaggio. In questo modo, almeno, acquisteremo tempo. E abbiamo bisogno di tempo, Dwayanu… Tutti e due.»

La guardai, attento. Lei rise e spronò il cavallo. La seguii oltre la porta, nella grande piazza cintata. Era affollata di soldati e di prigionieri. Lì il rullo dei tamburi era più intenso. Sembrava provenire dalla stessa piazza, da tamburi invisibili percossi da suonatori invisibili. I soldati erano chiaramente a disagio, i prigionieri eccitati, tesi in un curioso atteggiamento di sfida.

Entrato nella cittadella chiamai vari ufficiali che non avevano preso parte all’attacco contro Sirk: ordinai che la guarnigione delle mura di fronte al Ponte Nansur venisse rafforzata. Inoltre, comandai di suonare un allarme per far rientrare i soldati e la gente dagli avamposti e dalle fattorie. Ordinai di rafforzare anche la guardia sulle mura dalla parte del fiume e di avvertire la popolazione della città che quanti desideravano rifugiarsi nella rocca potevano farlo, ma prima del crepuscolo. Mancava un’ora scarsa al cader della notte. Non ci sarebbero stati problemi per provvedere a loro in quella piazza immensa. Feci tutto questo nell’eventualità che il messaggio non sortisse alcun effetto. In quest’ultimo caso, non volevo causare un massacro a Karak, che poteva resistere ad un assedio fino a quando io fossi riuscito a convincere il Piccolo Popolo della mia buona fede. O convincerne Evalie, e indurla a concludere la pace.

Poi condussi Evalie nelle mie stanze: non era l’appartamento del Gran Sacerdote, dove la Piovra Nera incombeva sui tre seggi, ma un complesso di comode stanze in un’altra parte della cittadella. Il drappello che mi aveva seguito durante il sacco di Sirk e più tardi, venne con noi. Affidai Evalie a Dara. Mi feci lavare, medicare e fasciare le ferite, poi mi vestii. Le finestre guardavano sul fiume, e i tamburi rullavano da impazzire. Ordinai di portare cibo e vino, e chiamai Evalie. Me la portò Dara. Era stata ben trattata, ma non volle mangiare con me. Mi disse: «Temo che il mio popolo avrà ben poca fiducia nei messaggi che tu invierai, Dwayanu.»

«Più tardi parleremo dell’altro messaggio, Evalie. Non sono stato io a inviarlo. E Tsantawu, che è morto tra le mie braccia, mi ha creduto quando gli ho detto che non ero stato io.»