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«Nella stanza accanto a questa, Signore.»

«Sarebbe bene che tu e le altre dormiste qui, Dara. C’è una mezza dozzina di stanze a vostra disposizione. Fatevi portare cibi e vino… in abbondanza.»

Dara rise.

«Ti aspetti un assedio, Dwayanu?»

«Non si sa mai.»

«Non ti fidi molto di Lur, Signore?»

«Non me ne fido affatto, Dara.»

Lei annuì e si voltò per andarsene. D’impulso, le dissi: «Dara, tu e le tue compagne dormireste meglio, questa notte, e scegliereste meglio le sentinelle, se ti dicessi che non ci saranno più sacrifici a Khalk’ru finché io avrò vita?»

Trasalì: il suo volto s’illuminò, si addolcì. Mi tese la mano.

«Dwayanu… Io avevo una sorella che è stata data a Khalk’ru. Intendi davvero fare ciò che hai detto?»

«Per la vita del mio sangue! Per tutti gli Dèi viventi! Intendo farlo veramente!»

«Dormi bene, Signore!» La sua voce era soffocata. Passò tra le tende; ma ebbi il tempo di scorgere le lacrime sulle sue guance.

Bene, una donna aveva il diritto di piangere… anche se era un soldato. Anch’io avevo pianto, quel giorno.

Mi versai del vino e sedetti riflettendo, mentre bevevo. I miei pensieri erano incentrati soprattutto sull’enigma di Khalk’ru. E c’era una buona ragione.

Che cos’era Khalk’ru?

Mi sfilai la catena che portavo al collo, aprii il medaglione e studiai l’anello. Poi lo richiusi e lo gettai sulla tavola. Sentivo che era meglio tenerlo lì, anziché sul mio cuore, mentre riflettevo.

Dwayanu aveva dubitato che quella Cosa terribile fosse lo Spirito del Vuoto ed io, che adesso ero Leif Langdon ed un passivo Dwayanu, mi sentivo sicuro che non lo era. Eppure non potevo accettare la teoria di Barr sull’ipnosi collettiva… e potevo escludere con assoluta certezza che si trattasse di un trucco.

Qualunque cosa fosse Khalk’ru, come aveva detto l’Incantatrice, Khalk’ru era. O almeno quella Forma che diventava materiale grazie al rito, all’anello ed allo schermo… era.

Pensai che avrei potuto attribuire ad un’allucinazione l’esperienza nel tempio dell’oasi se non si fosse ripetuta lì, nella Terra Oscurata. Ma non potevo dubitare della realtà dei Sacrifici che io avevo compiuto; non potevo dubitare della distruzione… dell’assorbimento, della dissoluzione delle dodici ragazze. Né della fede di Yodin nel potere del tentacolo nero che avrebbe dovuto eliminarmi, né del suo completo annientamento. E pensai che se le vittime dei sacrifici e Yodin erano nascosti tra le quinte a ridere di me, come aveva detto Barr… allora erano fra le quinte di un teatro in un altro mondo. E c’era l’orrore profondo del Piccolo Popolo, l’orrore di tanti Ayjir… e c’era stata la rivolta nell’antica terra degli Ayjir, nata dallo stesso orrore, che aveva distrutto la Madrepatria con la guerra civile.

No, quale che fosse la Cosa, anche se alla scienza ripugnava ammettere la sua realtà… c’era ancora l’atavismo, la superstizione, come l’avrebbe chiamata Barr: io sapevo che la Cosa era reale. Non di questa terra… no, certamente non di questa terra. E neppure sovrannaturale; o meglio, sovrannaturale solo in quanto poteva uscire da un’altra dimensione, o addirittura da un altro mondo che i nostri cinque sensi non sapevano rivelare.

Pensai che la scienza e la religione sono sorelle, ed è soprattutto per questo che si odiano tanto; che scienziati e religiosi sono eguali in fatto di dogmatismo, d’intolleranza; è per questo che ogni lotta religiosa per l’interpretazione di un credo o di un culto ha il suo parallelo nelle controversie della scienza per un osso o per una pietra.

Eppure, come nelle chiese vi sono uomini la cui mentalità non si è fossilizzata religiosamente, così vi sono uomini nei laboratori le cui menti non si sono fossilizzate scientificamente… Einstein che aveva osato sfidare tutte le concezioni dello spazio e del tempo con il suo spazio quadridimensionale in cui il tempo stesso era una dimensione, e provava l’esistenza dello spazio a cinque dimensioni, al posto delle nostre quattro, le sole percepibili dai nostri sensi, che le percepiscono nel modo sbagliato… la possibilità che una dozzina di mondi roteassero intrecciati con questo… nello stesso spazio… l’energia che noi chiamiamo materia potrebbe essere sintonizzata, in quelli, su altre vibrazioni, ed ognuno di essi potrebbe essere assolutamente ignaro dell’altro… sovvertendo completamente il vecchio assioma secondo il quale due corpi non possono occupare lo stesso spazio nello stesso tempo.

E pensai… cosa sarebbe accaduto se in un tempo molto lontano uno scienziato degli Ayjir avesse scoperto tutto ciò! Se avesse scoperto la quinta dimensione, oltre alla lunghezza, la larghezza, lo spessore ed il tempo. O se avesse scoperto uno dei mondi intrecciati, la cui materia filtra tra gli interstizi della materia del nostro. E se, dopo aver scoperto quella dimensione o quel mondo, avesse trovato la via di rendere manifesti gli abitanti di quella dimensione o di quel mondo agli abitanti del nostro. Con il suono e con il gesto, con l’anello e con lo schermo, aveva aperto una porta attraverso la quale quegli abitanti potevano venire… o almeno apparire! E allora, di quale arma aveva potuto disporre lo scopritore! Di quale arma avrebbe potuto disporre l’inevitabile sacerdote della Cosa! Ed era accaduto così in un tempo lontanissimo, così come accadeva lì a Karak.

In quel caso, era un solo abitatore, oppure molti, quelli che stavano in agguato sulla porta per bere la vita? I ricordi lasciatimi da Dwayanu mi dicevano che c’erano stati altri templi nella terra degli Ayjir, oltre a quello dell’oasi. Era lo stesso Essere che compariva in ciascuno? La Forma uscita dalla pietra infranta dell’oasi era la stessa che si era nutrita nel tempio del miraggio? Oppure ve n’erano molti… abitatori di un’altra dimensione o di un altro mondo… che rispondevano avidi alla chiamata? Non era necessario che nel loro ambiente tali Cose avessero la forma del Kraken. Quella poteva essere la forma che le leggi naturali imponevano loro per passare nel nostro mondo.

Riflettei molto a lungo. Mi sembrava che fosse la migliore spiegazione di Khalk’ru. In tal caso, allora il modo per liberarsi di Khalk’ru consisteva nel distruggere le sue vie d’accesso. E quello, riflettei, era stato il motivo del dissidio tra gli antichi Ayjir.

Ma non bastava a spiegare perché soltanto coloro che appartenevano al sangue antico potevano compiere l’evocazione…

Udii una voce sommessa, alla porta. Mi accostai in punta di piedi, ascoltai. Aprii l’uscio: c’era Lur, che parlava alle mie guardie.

«Cosa cerchi, Lur?»

«Voglio parlare con te. Ti porterò via soltanto pochissimo tempo, Dwayanu.»

Studiai l’Incantatrice. Era ritta, taciturna, e nei suoi occhi non c’era sfida, né risentimento, né calcoli sottili… solo una supplica. Le trecce rosse le ricadevano sulle spalle candide: non aveva armi né ornamenti. Sembrava più giovane di quanto l’avessi mai vista, e desolata. Non provai l’impulso di beffarmi di lei, né di respingerla. Provai invece un fremito di profonda pietà.

«Entra, Lur… e dimmi tutto ciò che hai da dire.»

Chiusi la porta dietro di lei. Si avvicinò alla finestra, guardò la notte semibuia, scintillante di verde. Mi avvicinai.

«Parla sottovoce, Lur. La ragazza dorme nella camera accanto. Lasciala riposare.»

Lei parlò con voce atona.

«Vorrei che tu non fossi mai venuto qui, Capelli Gialli.»

Io pensai a Jim e risposi.

«Lo vorrei anch’io, Incantatrice. Ma sono qui.»

«Perché mi odii tanto?»

«Non ti odio, Lur. Non provo più odio… se non per una cosa.»

«Quale?»

Involontariamente guardai la tavola. Vi ardeva una candela, e la sua luce cadeva sul medaglione che conteneva l’anello. Lo sguardo di Lur seguì il mio.