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Silenzio totale. Poi la donna del Sud America disse con voce esitante: — E vero, abbiamo saputo che molte navette precedentemente dislocate in Venezuela erano state trasferite per qualche scopo. Pensavamo che l’obiettivo fosse Hyperion.

— Hyperion — sbuffò quello della RussCorp. — Una sola navetta basta per Hyperion.

Haseldyne disse seccamente: — Non fatevi prendere dal panico per quello che dice questo balordo. Sono sicuro che sta esagerando. Gli imbroglioni sono una tigre di carta. Se facciamo il nostro lavoro, non avranno neanche il tempo per occuparsi di Venere. Saranno troppo occupati a leccarsi le ferite, e a chiedersi cosa è successo alla Terra.

— Sono felice — disse cupamente quello della RussCorp, — che voi siate così sicuro. Io ho dubbi. Sentito molte voci, tutte riferite a questo concilio… e tutte trascurate. Erroneamente, penso ora.

— Io personalmente suggerirei… — cominciò la tedesca, ma Haseldyne la interruppe.

— Ne parleremo in privato — disse minacciosamente Haseldyne, lanciandomi un’occhiata cupa. — Voi! Fuori! Vi richiameremo quando avremo bisogno di voi!

Rivolsi loro un’alzata di spalle e un sorriso, e uscii per la porta apertami dal rappresentante dell’Indiastries. Scoprii senza sorpresa che dava su una corta scala, ai piedi della quale c’era una porta ora chiusa. Mi sedetti sui gradini, e aspettai.

Quando finalmente la porta si aprì, e Haseldyne mi chiamò, non cercai neppure di decifrare la sua espressione. Gli passai a fianco e presi posto sulla sedia vuota. Lui non la prese bene: diventò rosso in faccia, e aveva un’espressione omicida, ma non disse niente. Non ne aveva il diritto. Non era lui a dirigere i lavori.

Chi dirigeva, adesso, era il Vecchio in persona. Alzò gli occhi a fissarmi, e la sua faccia era quella di sempre: rosea, grassoccia, incorniciata dai capelli bianchi, solo che non era per niente benevola. La sua espressione era gelida. E contrariamente all’abitudine del Vecchio che avevo conosciuto, non si perse in convenevoli. Per un lungo momento non disse niente, si limitò a guardarmi, poi guardò lo schermo montato nel tavolo davanti a lui, mentre le sue dita erano occupate a comporre nuove domande, e lui a ricevere cattive notizie. Dalle scale avevo sentito un gran vociare: brontolii bassi, concitati, e squittii perentori. Ma adesso erano tutti silenziosi. L’aroma soffocante del vero tabacco arrivava dall’uomo della RussCorp, che stava silenziosamente fumando la pipa. La donna del Sud America stava accarezzando qualcosa che teneva in grembo… qualche animaletto, forse un gattino.

Il vecchio batté sulla tastiera per liberare lo schermo e disse stancamente: — Tarb, non portate buone notizie. Ma dobbiamo pensare che siano vere.

— Sì, signore — dissi automaticamente.

— Dobbiamo agire con rapidità, per rispondere a questo pericolo — dichiarò. La sua pomposità non se n’era andata insieme al suo buon umore. — Capirete, naturalmente, che non possiamo comunicarvi i nostri piani…

— Certamente no, signore!

— … e capirete anche che non possiamo ancora fidarci completamente, anche se Mitzi Ku garantisce per voi — continuò, mentre il suo sguardo freddo passava sul tavolo per fissarsi su di lei. Mitzi si stava guardando la punta delle dita, e non alzò gli occhi. — Provvisoriamente, accettiamo la sua garanzia. — A quelle parole Mitzi ebbe una smorfia, ed io intuii quali potevano essere state le alternative discusse.

— Capisco — dissi. — Cosa volete che faccia?

— Vi si ordina di continuare con il vostro lavoro. Questo è il nostro progetto principale, e non può essere interrotto. Mitzi e il resto di noi dovremo fare… altre cose. Per cui agirete autonomamente, in un certa misura. Che questo non vi renda trascurato.

Annuii, aspettando se c’era dell’altro. Non c’era. Des Haseldyne mi condusse alla porta, e mi scortò fin dall’altra parte. Mitzi non aveva detto una parola. Ai piedi della scala, Haseldyne mi spinse in un altro compartimento antiladri. Prima di chiudere la porta, disse secco: — Aspettate i ringraziamenti? Dimenticatevene! Vi abbiamo ringraziato abbastanza lasciandovi vivo.

Mentre aspettava che la porta esterna si aprisse, sentii i brontolii e gli squittii infuriati, mentre ricominciavano a discutere fra di loro. Quello che Haseldyne aveva detto era vero: mi avevano lasciato vivo. Ma era altrettanto vero che potevano rovesciare la decisione m qualsiasi momento. Potevo prevenirlo? Sì, decisi, ma in un solo modo: facendo un lavoro talmente buono da rendermi indispensabile… o più esattamente, da far loro pensare che fossi indispensabile.

Poi la porta si aprì.

Doveva esserci Des Haseldyne ai controlli. La sbarra della porta interna mi spinse fuori con tale forza che inciampai e caddi, finendo fra le gambe dei pedoni frettolosi. — Tutto bene, signore? — chiese un vecchio consumatore, guardandomi allarmato.

— Sto benissimo — dissi, rimettendomi in piedi. Non credo di aver mai detto una bugia più grossa in tutta la mia vita.

2

È una brutta faccenda, e faticosa, essersi alleati con una banda di criminali candidati alla lobotomia. Ed è ancor peggio accorgersi che sono degli inetti. Quella congrega di spie e sabotatori venusiani, messi tutti assieme, avrebbero forse avuto l’abilità e la perversità sufficienti a passare i controlli di un supermercato con dei buoni-sconto falsificati. Ma quanto a salvare il loro mondo contro la potenza della Terra, non erano semplicemente all’altezza.

Dixmeister fu fortunato quel pomeriggio. Quando tornai zoppicante nel mio ufficio, gli sbraitai di farsi i suoi affari e di lasciarmi solo fino a nuovo ordine. Poi mi chiusi a chiave, e cominciai a pensare.

Senza Mokie e pillole verdi dietro cui nascondersi, quello che vedevo quando aprivo gli occhi era la nuda realtà. Non era una vista attraente, perché era piena di problemi… tre in particolare.

Primo: se non riuscivo a convincere i Venusiani che avevano bisogno di me, e che potevano anche fidarsi, il buon vecchio Haseldyne avrebbe saputo cosa fare. Dopo di che non avrei avuto altre preoccupazioni.

Secondo: se facevo quello che mi dicevano, il futuro si prospettava nero. Non ero stato consultato nella pianificazione della loro campagna strategica, ma più ci pensavo, meno mi sentivo sicuro che avrebbe funzionato.

Terzo, e peggio di tutto: se non funzionava eravamo tutti quanti fritti. Avremmo passato il resto della nostra vita a rotolarci per terra, con addosso pannolini, imboccati da inservienti a cui stavamo antipatici, ricevendo i nostri principali stimoli mentali dalle lucette che si accendevano e spegnevano. Tutti noi. Non solo io. Anche la donna che amavo.

Non volevo che Mitzi Ku fosse lobotomizzata.

Non volevo neanche che fosse lobotomizzato Tennison Tarb. La limpidezza di pensiero che avevo acquisito di recente mi indicava che almeno per quest’ultima parte c’era una via di uscita. Dovevo solo prendere il telefono, chiamare la Commissione per la Moralità Commerciale, e denunciare i Venusiani; me la sarei cavata probabilmente con la Colonia Penale Polare, forse anche solo con la riduzione allo stato di consumatore. Ma questo non avrebbe salvato Mitzi…

Poco prima dell’ora di chiusura, Mitz: e Des convocarono una riunione di tutti i dirigenti. Mitzi non aprì bocca, e non mi guardò neppure. Parlò solo Haseldyne: Disse che c’erano delle inattese possibilità di espansione, e che lui e Mitzi sarebbero stati via qualche tempo per investigarle. Nel frattempo, era stato reclutato Val Dambois dalla T.G.&S., che sarebbe subentrato come direttore generale protempore; il Dipartimento Intangibili sarebbe stato diretto autonomamente da Tennison Tarb, cioè io, e lui, Des Haseldyne, era sicuro che avremmo proseguito il nostro lavoro in perfetta efficienza.