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— Sono in licenza per motivi di salute. Nessuno mi scoccerà fino a lunedì, il che mi concede ancora qualche giorno per chiarirmi le idee.

— Stai ancora pensando di consegnarmi?

— Dovrei. Ma non posso, e non lo farò.

— Le mie gambe stanno guarendo in fretta — disse lei. — Forse tra un paio di settimane saranno a posto. Allora non dipenderò più da te. Me ne andrò, la mia gente mi porterà via e tu potrai tornare al tuo lavoro.

— Come faranno a trovarti se il comunicatore della tua tuta è rotto?

— Non preoccuparti, Tom. Loro troveranno me o io troverò loro, e in un baleno sarò lontana dalla Terra.

— Diretta dove? A Dirna?

— Probabilmente no. Solo alla nostra base di soccorso per un controllo medico ed un periodo di riposo.

Falkner aggrottò la fronte. — Dove si trova?

— Non te lo dirò, Tom. Ti ho già detto fin troppo.

— Certo — ribatté lui con astioso sarcasmo. — E quando ti avrò strappato tutti i vostri segreti galattici, stilerò un rapporto completo per l’Aeronautica. Credi che ti tenga qui per gioco? Faccio solo finta di tenerti nascosta. In realtà, il SOA sa tutto di te, e questo è il nostro modo ingegnoso di…

— Tom, perché ti detesti tanto?

— Detestare me stesso?

— Si capisce da ogni cosa che dici, dai tuoi gesti, perfino. Sei così pieno di amarezza, di tensione. Il tuo sarcasmo, l’espressione sul tuo volto. Che cosa c’è?

— Pensavo che tu lo sapessi. Io dovevo essere un astronauta, e mi hanno sbattuto fuori, sistemandomi in questo insulso ufficio dove ho passato cinque giorni su sette a consolare i maniaci ed a dare la caccia per tutto il paese a misteriose luci volanti. Non è una buona ragione di amarezza?

— Sì, perché tu non credevi nel tuo lavoro. Ma ora sai che il tuo incarico non era tutto tempo sprecato. C’era veramente qualcosa nel cielo della Terra. Non è meglio così? Non senti adesso che c’era uno scopo, in ciò che facevi?

— No — rispose lui cupamente. — Quello che facevo non valeva un accidente. Ed è tuttora così. — Allungò la mano per prendere una seconda bomboletta. — Glair, Glair, Glair. Io non volevo che fosse vero! Io non volevo trovare una ragazza di un disco volante in mezzo al deserto! Io…

Si interruppe, sentendosi assurdo per quel veemente sfogo verbale.

Glair gli disse, con voce carezzevole: — Preferivi un lavoro inutile e vuoto, perché in tal modo potevi continuare a tormentarti per la tua carriera rovinata. Le cose sono peggiorate parecchio, per te, quando mi hai trovato, non è vero? All’improvviso hai dovuto fare i conti con il fatto che il motivo per auto-torturarti non esisteva più.

— Smettila, Glair. Cambia argomento.

— Guardami, Tom. Perché ti detesti tanto? Perché vuoi continuare a farti del male?

— Glair…

— E continui a cercare nuovi modi per tormentarti. Mi hai detto che era tuo dovere denunciarmi. Non l’hai fatto. Sei l’unico uomo in tutto il SOA che abbia effettivamente trovato un essere extraterrestre, ed invece di fare la cosa più naturale da un punto di vista militare, lo porti in casa tua, ve lo nascondi ed opacizzi le finestre. Perché? Perché così puoi sentirti colpevole come desideri per il modo in cui stai violando i tuoi ordini.

Le mani di Falkner tremavano a tal punto che a stento riuscì ad iniettarsi nelle vene la successiva bomboletta di scotch.

— Una cosa ancora, Tom. Poi ti lascerò in pace. Perché ti tieni alla larga da me, se non per quella tua stessa tendenza autodistruttiva? Tu mi desideri, e lo sappiamo entrambi. Ma tu ti punisci ricoprendo il mio corpo con quest’indumento e dicendoti che sei virtuoso. Nella vostra lingua esiste una parola che definisce questo tipo di personalità. Me lo disse Vorneen, una volta. Un mato… masi…

— Masochista — completò per lei Falkner, mentre il cuore gli martellava nella gabbia toracica.

— Masochista, sì. Non voglio dire che tu ti frusti o che indossi delle scarpe strette. Voglio dire che trovi dei modi per ferire la tua anima.

— Chi è Vorneen? — domandò Falkner.

— Uno dei miei compagni.

— Intendi dire uno dei tuoi compagni d’equipaggio?

— Anche quello. Ma io intendevo un compagno sessuale. Vorneen, Mirtin ed io, eravamo l’equipaggio. Un gruppo sessuale a tre elementi. Due maschi ed io.

— Come poteva funzionare un’unione del genere? A bordo di una nave, due maschi e…

— Funziona. Noi non siamo umani, Tom. E non è detto che dobbiamo avere le stesse emozioni degli esseri umani. Eravamo molto felici insieme. Può darsi che loro siano rimasti uccisi nell’esplosione della nave, non lo so. Io sono stata la prima a saltare. Ma stai sviando dall’argomento, Tom. L’argomento sei tu.

— Dimenticati di me. Non avrei mai immaginato che tu avessi… avessi un gruppo sessuale. Non ci avevo mai pensato. Quindi sei una donna sposata.

— Si può dire così. A meno che non siano morti. Non ho alcun modo di mettermi in comunicazione con loro.

— Ma li amavi entrambi?

Glair aggrottò la fronte. — Li amavo entrambi, sì. E potrei ancora amare qualcun altro. Vieni qui, Tom, e smettila di cercare il modo di renderti infelice.

Falkner mosse qualche passo incerto verso Glair, pensando a due uomini e una donna a bordo di un disco volante, e dicendosi che non erano uomini e lei non era una donna. Fu sorpreso di scoprire quanto fosse forte la gelosia che lo attanagliava; poi si domandò a che cosa sarebbe potuto assomigliare un rapporto sessuale con un’aliena. E fu colto dalle vertigini.

Glair sollevò lo sguardo. I suoi occhi erano freschi ed invitanti.

— Toglimi di dosso questo stupido pezzo di stoffa, Tom. Te ne prego.

Le sfilò la giacca del pigiama da sopra la testa, scompigliandole i capelli dorati. I suoi seni erano sodi ed eretti, e bianchissimi; rivelavano un disprezzo quasi totale per la forza di gravità. Era il tipo di seni che si poteva vedere sulle ragazze-calendario, ma mai su una donna in carne ed ossa: misteriosamente sodi, misteriosamente accostati, misteriosamente prominenti, l’immagine che un ragazzo di sedici anni può avere del seno ideale di una donna. Glair scostò le coperte. Falkner abbassò lo sguardo e si ricordò che tutto il suo corpo era un’imitazione, un rivestimento sintetico esteriore per qualcosa di tremendamente strano. Poteva avere i seni di Afrodite e le cosce di Diana, poteva avere qualsiasi perfezione femminile desiderasse, perché si era fatta costruire quel corpo in base ai propri desideri. La sua carne sembrava proprio carne, e dentro c’erano nervi, ossa e condotti per il sangue, ma nervi, ossa e sangue erano soltanto prodotti di laboratorio dotati di vita artificiale.

All’interno di quella stupenda, irreale creatura… chi avrebbe potuto dire quale orrore si annidava là dentro?

Eppure, si disse Falkner, quale donna umana era bella sotto la pelle? La massa fumante di intestini aggrovigliati, i tubi e i bulbi e i noduli tortuosi, il teschio sogghignante sotto il volto bellissimo… tutti abbiamo i nostri incubi sotto la pelle, ed era stupido stare a sottilizzare su quello di Glair.

I suoi abiti caddero a terra, mentre lei lo traeva a sé.

— Le tue gambe… — fece Falkner.

— Stanno benissimo. Non pensarci e fammi vedere come fanno l’amore i terrestri.

La toccò. — Puoi… cioè, tu sai…

— L’anatomia c’è tutta — lo rassicurò Glair. — Non gli organi interni, ma non dovrebbe avere molta importanza. Stringimi, Tom. Insegnami. Amami.

Con facilità, con più facilità di quanto aveva immaginato che potesse accadere, la abbracciò, e sentì la carnagione fredda e morbida di Glair contro la sua pelle sudata, e l’accarezzò proprio come se fosse reale e non un sogno. Disperatamente la possedette, e la trovò pronta, e con un improvviso, selvaggio sollievo si liberò dei legami che si era imposto ed accettò il dono d’amore che lei gli stava offrendo.