Inoltre c’era da considerare Charley. Mirtin vedeva il ragazzo crescere e maturare da una sera all’altra. La materia prima era buona: una mente sveglia e curiosa, una natura assetata di conoscenza e di esperienza. L’ambiente aveva ostacolato Charley collocandolo in un «enclave» dove venivano conservate delle caratteristiche volutamente primitive. Mirtin aveva l’impressione che l’universo dovesse a Charley Estancia qualcosa di un pochino più grande del suo villaggio di fango. Se, come era accaduto, l’universo aveva scelto Mirtin di Dirna come strumento di riscatto del ragazzo, Mirtin non poteva che accettare quel fatto, senza preoccuparsi troppo dei regolamenti di sicurezza. A volte il mero patriottismo doveva cedere il passo di fronte a necessità più elevate.
Charley se ne stava accucciato accanto a lui, e giocherellava con gli strumenti rilucenti che Mirtin gli aveva permesso di estrarre dalla tuta.
— A che serve questo? — domandò il ragazzo.
— Quello è… be’, noi lo usiamo come generatore portatile. Produce elettricità.
— Ma io posso tenerlo in mano. C’è dentro un piccolo magnete, da qualche parte? Come funziona?
— Attinge al campo magnetico del pianeta — spiegò Mirtin. — Tu sai che ogni pianeta è come una grande calamita?
— Già, sì, certo che lo so.
— Questo strumento crea linee di forza che si dirigono in senso contrario al campo magnetico del pianeta. Tu spingi quella leva ed esso attraversa le linee magnetiche, inducendo una corrente. Noi lo chiamiamo il «borsaiolo», Charley, perché sembra rubare energia dall’aria rarefatta. Naturalmente non la ruba, la prende solo in prestito.
— Posso provarlo?
— Fai pure. Ma in che modo?
Il ragazzo indicò la borraccia. — Hai lasciato un po’ d’acqua. Se davvero questo strumento crea corrente, dovrei riuscire a scinderla, no? In idrogeno e ossigeno. Com’è il termine? Elettro… elettri…
— Elettrolisi — concluse Mirtin. — Sì, funzionerà. Ma sii prudente.
— Ci puoi scommettere.
Mirtin mostrò al ragazzo come si estraevano gli elettrodi. Con grande precisione Charley preparò lo strumento per l’uso ed infilò gli elettrodi nell’acqua. Poi attivò il generatore. Entrambi osservarono divertiti la corrente che frantumava le molecole d’acqua secondo le previsioni.
— Ehi, funziona! — esclamò Charley. — Senti, posso aprirlo? Voglio vedere che cosa c’è lì dentro che crea la corrente.
— No — rispose deciso Mirtin.
— Non vuoi proprio? Lo rimetterò a posto subito, così come è adesso. Non farò nessun danno.
— Ti prego, Charley. Non cercare di aprirlo. Tu… tu lo romperesti. È predisposto per bruciarsi nel momento in cui qualcuno toglie il sigillo.
Era una menzogna, e Mirtin non era bravo a raccontare bugie a Charley. Cercò di non incontrare gli occhi neri e scintillanti del ragazzo.
— Così — disse Charley — se un terrestre dovesse casualmente impossessarsene, non riuscirebbe ad aprirlo e ad imparare come funziona per costruirne un altro?
— S… sì.
— Non ce n’è un altro nella mia attrezzatura — rispose Mirtin. — E anche se ci fosse, non te lo farei aprire.
— Forse ne hai un altro? Potrei aprire l’altro e dare almeno un’occhiata prima che si bruci.
— Hai paura che apprenda troppe cose? Che venga a conoscenza di qualcosa che il popolo della Terra non dovrebbe conoscere?
— Già — ammise Mirtin. — Non dovrei nemmeno fartele vedere, queste cose. Sto infrangendo una regola, comportandomi così. Ma proprio non posso permetterti di guardare dentro. Non capisci, Charley, non serve a niente che noi veniamo semplicemente qui, vi diamo questi strumenti e lasciamo che voi li studiate e li imitiate. Ci sono delle cose che un pianeta deve scoprire da solo. Se la scoperta non viene dal di dentro, non serve a nulla. Ho visto delle civiltà andare in rovina per non aver sviluppato una propria tecnologia. Non qui, su altri pianeti. Prendevano a prestito, rubavano… e ciò ha significato la loro distruzione.
— Allora non posso guardare dentro?
— No. Cercare di immaginare che cosa c’è, sì, ma guardare, no.
— Tu non puoi muovere né le braccia né le gambe — disse Charley. — Non potresti fermarmi se lo aprissi.
— Giusto — replicò con calma Mirtin. — Non potrei fermarti affatto. L’unico che potrebbe fermarti saresti tu stesso, Charley.
Tutto ad un tratto nella caverna si era creato un grande silenzio. Charley fece scorrere la mano sull’impugnatura levigata del generatore, e rivolse due o tre occhiate fugaci in direzione di Mirtin. Poi, con riluttanza, posò lo strumento accanto agli altri.
— Vuoi una tortilla?
— Sì, grazie.
Charley scartò il pacchetto e ne tirò fuori un’altra tortilla. Come al solito, la tenne davanti alla bocca di Mirtin mentre il Dirnano, sdraiato sulla schiena, la mangiava a grosse boccate. Ad un certo punto Mirtin diede un morso ma il pezzo di tortilla gli sfuggì e scivolò dal mento verso terra. Automaticamente cercò di sollevare la mano destra per afferrare il pezzetto di tortilla mentre cadeva. Non riuscì ad afferrarlo, ma aveva mosso il braccio.
— Ehi! — esclamò Charley. — Hai sollevato la mano!
— Solo di qualche centimetro.
— Ma l’hai sollevata! Puoi muoverti di nuovo! Quando hai incominciato?
— È successo, poco per volta. Me ne sono accorto ieri. Sto riacquistando l’uso degli arti.
— Ma hai la schiena rotta.
— La colonna vertebrale è quasi guarita. I nervi stanno incominciando a rigenerarsi. È un processo rapido.
— Accidenti se lo è. Ma avevo dimenticato che tu non sei umano. Questo corpo che ti hanno messo addosso è artificiale. Meglio delle ossa umane, eh? La mia schiena si aggiusterebbe se me la rompessi?
— Non certo in questo modo.
— Non lo metto in dubbio. Quanto ci vorrà prima che tu possa camminare di nuovo, Mirtin?
— Ancora un po’. Ieri un paio di dita, oggi l’intera mano… ma ancora ce ne vuole perché possa drizzare il corpo.
— È ugualmente una cosa straordinaria. Tu stai guarendo. — All’improvviso l’umore di Charley mutò. — Quando potrai camminare di nuovo, ritornerai a Dirna, vero?
— Se riescono a recuperarmi. Non posso mettermi a sbattere le ali e decollare, lo sai. Devo attirare l’attenzione di una squadra di soccorso.
— E come farai? Con una segnalazione luminosa, o qualcosa del genere?
— Nella mia tuta c’è un dispositivo comunicatore. Trasmette un segnale che loro dovrebbero riuscire a captare.
Non c’era alcun modo di eludere l’intelligenza e la prontezza di Charley. — Se davvero hai un sistema per chiedere soccorso, come mai non te ne sei ancora servito per far venire qualcuno?
— Ho bisogno della mano per attivare il comunicatore, e la mia mano è paralizzata, giusto? Non sono in grado nemmeno di raggiungerlo.
— Be’, allora… — Charley deglutì, indeciso. — Potrei farlo io per te, no?
— L’hai già fatto — replicò Mirtin.
— Che cosa?
— Mentre esaminavi l’attrezzatura della mia tuta, hai toccato parecchie volte il comunicatore. Quel segnale viene trasmesso da giorni e giorni. Evidentemente il comunicatore non funziona bene, altrimenti mi avrebbero già trovato, a questo punto. Cioè, se mi stanno cercando.
— Non me lo hai detto.
— Tu non me l’hai chiesto.
— Saresti capace di aggiustare il comunicatore, Mirtin?
— Forse. Non lo saprò finché non riavrò l’uso completo del mio corpo.
— Potrei aggiustarlo io per te?
— Se tu ci riuscissi, e venissero a prendermi, tu non mi vedresti mai più. Vuoi che me ne vada via così presto?