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— Ehi, no — rispose Charley. — Vorrei che tu rimanessi qui per sempre, che mi parlassi e mi spiegassi tante cose. Ma… ma… tu devi ritornare dalla tua gente. Hai bisogno di un dottore. Ti aggiusterò il comunicatore, Mirtin. Anche se ciò significa che tu te ne andrai.

— Ti ringrazio, Charley, ma non è ancora il momento. Non sono in condizioni tali da sopportare l’accelerazione, comunque. Devo riprendermi ancor più, prima che possano portarmi via. Così avremo altro tempo per parlare. Dopo, magari, potrai aiutarmi ad aggiustare il comunicatore. Va bene?

— Come vuoi tu, Mirtin.

Charley era tornato a guardare gli strumenti. Ne prese un altro, il disgregatore.

— Che cos’è questo?

— Un attrezzo per tagliare e scavare. Emette un raggio luminoso particolarmente potente che brucia qualsiasi cosa entro un certo raggio.

— Come un laser, vuoi dire?

— È un laser — spiegò Mirtin. — Ma molto più potente di qualsiasi laser usato sulla Terra. Con una adeguata apertura può fondere la roccia e tagliare il metallo.

— Dici davvero?

Mirtin rise. — Vuoi provarlo, non è vero? D’accordo, allora. Impugnalo per l’estremità arrotondata. Quella è la leva di comando. Fammi vedere su quale intensità è regolato. Tre metri, va bene. E adesso, puntalo sul pavimento della caverna, ed accertati che i tuoi piedi non siano nel raggio di tiro, poi premi il…

Lo strumento emise un raggio abbagliante, e disintegrò in un attimo un pezzo di terreno largo quindici centimetri e profondo quasi trenta. Charley emise un piccolo grido e spense il disgregatore. Poi lo osservò sbalordito, tenendolo davanti a sé con il braccio proteso.

— Con questo potresti fare qualsiasi cosa! — esclamò.

— Sì, è molto utile.

— Anche… anche uccidere qualcuno!

— Se ne avessi l’intenzione — obbiettò Mirtin. — Sul nostro mondo non ci sono molte uccisioni.

— Ma se fossi costretto a farlo? — insistette Charley. — Voglio dire, lavora bene ed è rapido, e… senti, a me non interessa uccidere nessuno. Perché non mi dici come funziona? Immagino che non potrò aprire nemmeno questo, ma…

Era pieno di domande. Il disgregatore lo aveva eccitato ancor più del generatore, forse perché di quest’ultimo riusciva a comprendere i principi basilari, più o meno, mentre il concetto di disintegrare la materia mediante un sistema ottico era per lui qualcosa di sconcertante. Mirtin fece del suo meglio per spiegarglielo. Si servì di analogie e di immagini, concedendosi anche qualche fantasticheria laddove la tecnologia di quello strumento era al di là della sua stessa comprensione. Charley già conosceva i laser, ma sotto forma di macchinari imponenti che richiedevano un’alimentazione di luce. Ciò che lo lasciava sbalordito, di questo, era per un verso la ridotta grandezza, e per l’altro la sua natura autosufficiente. Da dove proveniva quel raggio luminoso? Quale ne era la fonte? Si trattava di un raggio chimico, o a gas, o che altro?

— Nessuno di questi — rispose Mirtin. — Non funziona in base agli stessi principi dei laser portatili che adesso usa la Terra.

— E allora… che cosa…?

Mirtin rimase in silenzio.

— È qualcosa che noi non dovremmo sapere? Qualcosa che dovremmo scoprire da soli?

— Entro certi limiti, sì.

Charley trasudava curiosità da tutti i pori. Parlarono ancora per un po’; poi Mirtin cominciò ad accusare la stanchezza. Il ragazzo si preparò ad andarsene.

— Ci vediamo domani — promise, e sparì nella notte.

Dopo un po’, Mirtin scoprì che il disgregatore era sparito. Aveva visto Charley rimetterlo accanto agli altri congegni, o almeno così gli sembrava; invece adesso non ce n’era più traccia. Mirtin ne fu vivamente allarmato, ma solo per un attimo. In un certo senso si era aspettato una cosa del genere. Faceva parte del rischio che aveva corso mostrando a Charley la sua attrezzatura.

Charley avrebbe usato il disgregatore come un’arma? Difficile.

L’avrebbe fatto vedere a qualcun altro? Certamente no.

Avrebbe cercato di aprirlo e di studiarne il meccanismo? Piuttosto probabile, riconobbe Mirtin.

Comunque, non riusciva a convincersi che quell’azione potesse costituire una minaccia per qualcuno. Che il ragazzo se lo tenga pure, pensò. Non potrà che trarne beneficio. E in ogni caso ormai non c’era nulla che potesse fare.

CAPITOLO QUATTORDICESIMO

Vorneen aveva cominciato a chiedersi con meraviglia come fosse successo, e quando. Si era innamorato di Kathryn Mason, non potevano esserci più dubbi. Ciò che provava per lei era un sentimento forte come quello che nutriva nei confronti di Mirtin e Glair e, dal momento che li amava, doveva amare anche lei. Ma era possibile? Aveva senso? Come era iniziato?

Aveva desiderato avere una relazione sessuale con lei fin dall’inizio, naturalmente. Ma non era la stessa cosa che esserne innamorato.

Vorneen era per natura un seduttore. Quello era il suo ruolo nel gruppo sessuale: era il predatore, l’aggressore che dava inizio agli accoppiamenti. Mirtin non avrebbe mai assunto un ruolo attivo, mentre Glair stimolava l’attività sessuale soltanto sotto le spoglie tutte femminili della consolatrice, della adulatrice, della purificatrice. Vorneen ricercava la passione per la passione. Ciò era accettabile, ed anche necessario per la continuità del gruppo. All’interno del gruppo lui si eccitava, si galvanizzava. Se a volte riteneva necessario allontanarsi dal gruppo, né Mirtin né Glair protestavano. Perché avrebbero dovuto farlo?

Naturalmente, tutto ciò aveva a che fare con le abitudini Dirnane, e con il tipo di attività sessuale Dirnano in particolare. Vorneen non aveva mai preso in considerazione l’idea di estendere il suo raggio di seduzione ad una femmina terrestre. Come tutti gli osservatori, presumeva che non ci sarebbe mai stata alcuna occasione per lui di entrare in contatto con un terrestre, e di certo non si era mai visto alle prese con circostanze così particolari come quelle venutesi ora a creare con Kathryn Mason. Né gli aveva mai sfiorato il cervello l’idea di poter provare desiderio fisico per una donna della Terra.

Però aveva addosso un corpo terrestre. Dal punto di vista anatomico era perfetto, almeno dall’esterno. I suoi stimoli interni erano puramente Dirnani, o almeno così credeva; il suo corpo poteva ingerire il cibo terrestre, però se avesse mangiato qualcosa che piaceva ai terrestri ma faceva male ai Dirnani, sarebbe stato male. Aveva anche dato per scontato che la natura sessuale dominante del suo corpo esteriore sarebbe rimasta esclusivamente Dirnana. Aveva continuato a provare desiderio per Mirtin e Glair, anche se erano nascosti dietro la carne sintetica dei corpi terrestri. Quando avevano fatto l’amore a bordo della nave, l’avevano fatto alla maniera Dirnana, senza fare uso degli organi sessuali esterni dei terrestri. Perché mai, dunque, avrebbe dovuto aspettarsi che quel suo fittizio involucro esterno provasse un autentico desiderio per una femmina terrestre?

Forse erano solo le sue pulsioni interne, le pulsioni di lui, Vorneen, che premevano per trovare una via d’uscita in un contesto differente?

Doveva essere così, si disse all’inizio. Come seduttore, era portato a sedurre, ed i suoi stimoli erano in relazione con il contesto appropriato. Non avendo alcun Dirnano a portata di mano, si sarebbe dovuto accontentare di quella femmina terrestre.

Poi c’era quel senso di sfida. Sarebbe stato capace di sedurla come aveva fatto con tanti suoi simili? Il suo corpo attuale avrebbe funzionato correttamente? Che risultati ne avrebbe ottenuto? Le avrebbe procurato piacere? E ne avrebbe provato lui stesso?

Un gioco, dunque. Nessun contenuto emotivo. La seduzione per amore della seduzione, la caccia soltanto per scoprire certi aspetti della sua attuale condizione.