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Oltre cento giornalisti in poco meno di due settimane. D'improvviso la piazza della droga d'Europa inizia a esistere. Gli stessi poliziotti si trovano assediati da richieste, tutti vogliono partecipare a operazioni, vedere almeno uno spacciatore arrestato, una casa perquisita. Tutti vogliono ficcare nei quindici minuti di servizio qualche immagine di manette e qualche mitra sequestrato. Molti ufficiali cominciano a liquidare i vari reporter e neogiornalisti d'inchiesta facendogli fotografare poliziotti in borghese che si fingono pusher. Un modo per dargli quello che vogliono senza perdere troppo tempo. Il peggio possibile nel minor tempo possibile. Il peggio del peggio, l'orrore dell'orrore, trasmettere la tragedia, il sangue, le budella, i colpi di mitra, i crani sfondati, le carni bruciate. Il peggio che raccontano è solo lo scarto del peggio. A Secondigliano molti cronisti credono di trovare il ghetto d'Europa, la miseria assoluta. Se riuscissero a non scappare, si accorgerebbero di avere dinanzi i pilastri dell'economia, la miniera nascosta, la tenebra da dove trova energia il cuore pulsante del mercato.

Ricevevo dai giornalisti televisivi le proposte più incredibili. Alcuni mi chiesero di mettermi sull'orecchio una microtelecamera e girare per le strade "che conoscevo io", seguendo persone "che sapevo io". Sognavano di far derivare da Scampia una puntata di un reality dove poter riprendere un omicidio e lo spaccio di droga. Uno sceneggiatore mi diede un dattiloscritto che raccontava una storia di sangue e morte, dove il diavolo del Secolo Nuovo veniva concepito nel rione Terzo Mondo. Per un mese mangiai gratis tutte le sere, venivo invitato dalle troupe televisive per sottopormi a assurde iniziative, per cercare di ricevere informazioni. A Secondigliano e Scampia durante il periodo della faida si creò un vero e proprio indotto di accompagnatori, spiegatori ufficiali, confidenti, guide indiane nella riserva di camorra. Moltissimi ragazzi avevano una tecnica. Gironzolavano vicino alle postazioni dei giornalisti, fingendo di star spacciando o fingendo di essere dei pali, appena qualcuno trovava il coraggio di avvicinarli subito si dichiaravano disponibili a raccontare, spiegare, farsi riprendere. Subito dichiaravano le tariffe. Cinquanta euro per la testimonianza, cento euro per un giro attraverso le piazze di spaccio, duecento per entrare nella casa di qualche spacciatore che abitava alle Vele.

Per comprendere il ciclo dell'oro non si può solo fissare la pepita e la miniera. Si doveva partire da Secondigliano e poi seguire la traccia degli imperi dei clan. Le guerre di camorra mettono i paesi dominati dalle famiglie sulla cartina geografica, l'entroterra campano, le terre dell'osso, territori che qualcuno chiama il Far West d'Italia, che una violenta leggenda vuole più ricchi di mitra che di forchette. Ma al di là della violenza che nasce in fasi particolari, qui si foggia una ricchezza esponenziale di cui queste terre non vedono che bagliori lontani. Ma nulla di questo venne raccontato, le tv, gli inviati, i loro lavori, tutto venne riempito dall'estetica della suburra napoletana.

H 29 gennaio viene ammazzato Vincenzo De Gennaro. Il 31 gennaio uccidono Vittorio Bevilacqua in una salumeria. Il 1° febbraio Giovanni Orabona, Giuseppe Pizzone e Antonio Patrizio vengono massacrati. Li ammazzano con uno stratagemma antiquato ma sempre efficace, i killer fingono di essere poliziotti. Giovanni Orabona era il ventitreenne attaccante del Real Casavatore. Stavano camminando quando un'auto li fermò. Aveva una sirena sul tetto. Scesero due uomini con i tesserini della polizia. I ragazzi non tentarono di fuggire né di fare resistenza. Sapevano come dovevano comportarsi, si lasciarono ammanettare e caricare in auto. L'auto poi d'improvviso si fermò e li fece scendere. I tre forse non capirono subito, ma quando videro le pistole tutto fu chiaro. Era un'imboscata. Non erano poliziotti, ma gli Spagnoli. Il gruppo ribelle. Due, inginocchiati e sparati alla testa, furono finiti subito, il terzo, dalle tracce ritrovate sul luogo, aveva tentato di scappare, con le mani legate dietro la schiena e la testa come unico perno d'equilibrio. Cadde. Si rialzò. Ricadde. Lo raggiunsero, gli puntarono un'automatica in bocca. Il cadavere aveva i denti rotti, il ragazzo aveva tentato di mordere la canna della pistola, per istinto, come per spezzarla.

Il 27 febbraio da Barcellona arrivò la notizia dell'arresto di Raffaele Amato. Stava giocando in un casinò al black jack, cercava di alleggerirsi di liquidi. I Di Lauro erano riusciti a colpire solo suo cugino Rosario bruciandogli la casa. Amato, secondo le accuse della magistratura napoletana, era il capo carismatico degli Spagnoli. Era cresciuto proprio in via Cupa dell'Arco, la strada di Paolo Di Lauro e della sua famiglia. Amato era diventato un dirigente di spessore da quando mediava sui traffici di droga e gestiva le puntate d'investimento. Secondo le accuse dei pentiti e le indagini dell'Antimafia, godeva di un credito illimitato presso i trafficanti internazionali, e riusciva a importare quintali di cocaina. Prima che i poliziotti in passamontagna lo sbattessero con la faccia per terra, Raffaele Amato aveva già avuto una battuta d'arresto: quando venne arrestato in un hotel a Casandrino insieme a un altro luogotenente del gruppo e a un grosso trafficante albanese, che si faceva aiutare negli affari da un interprete d'eccellenza, il nipote di un ministro di Tirana.

Il 5 febbraio è il turno di Angelo Romano. Il 3 marzo Davide Chiarolanza viene ammazzato a Melito. Aveva riconosciuto i killer, forse gli avevano dato persino appuntamento. È stato finito mentre tentava di scappare verso la sua macchina. Ma non è la magistratura, né la polizia e i carabinieri che riescono a bloccare la faida. Le forze dell'ordine tamponano, sottraggono braccia, ma non sembrano riuscire a fermare l'emorragia militare. Mentre la stampa insegue la cronaca nera inciampando su interpretazioni e valutazioni, un quotidiano partenopeo riesce a raggiungere la notizia di un patto tra gli Spagnoli e i Di Lauro, un patto di pace momentanea, siglato con la mediazione del clan Licciardi. Un patto voluto dagli altri clan secondiglianesi e forse anche dagli altri cartelli camorristici, i quali temevano che il silenzio decennale sul loro potere potesse essere interrotto dal conflitto. Bisognava nuovamente permettere allo spazio legale di ignorare i territori di accumulazione criminale. Il patto non è stato trascritto da qualche carismatico boss in una notte in cella. Non è stato diffuso di nascosto, ma pubblicato su un giornale, un quotidiano. In edicola, il 27 giugno 2005 è stato possibile leggerlo, comprenderlo, capirlo. Ecco i punti d'accordo pubblicati:

1) Gli scissionisti hanno preteso la restituzione degli alloggi sgomberati tra novembre e gennaio a Scampia e Secondi-gliano. Circa ottocento persone costrette dal gruppo di fuoco di Di Lauro a lasciare le case.

2) Il monopolio dei Di Lauro sul mercato della droga è spezzato. Non si torna indietro. Il territorio dovrà essere diviso in maniera equa. La provincia agli scissionisti, Napoli ai Di Lauro.