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Non sembrava esservi altra soluzione che spingersi avanti, cercar di raggiungere la rampa di legno nero, e pregare uno dei Lithiani che si trovavano dall’altra parte di cercar di mettersi in comunicazione con Agronski o Michelis. Tutt’al più, si disse, potevano rifiutarsi di aiutarlo; oppure poteva non riuscire ad avere la comunicazione. Trasse un profondo respiro.

In quell’istante, il suo braccio sinistro fu preso nella stretta d’una mano salda a quattro dita, che gli teneva senza difficoltà tutto il braccio, dal gomito alla spalla. Per la sorpresa, emise tutto il respiro che aveva appena accumulato, poi si volse e vide la testa altissima di un Lithiano, china sollecitamente su di lui. Sotto la lunga bocca a forma di tagliola, i bargigli della creatura avevano una tinta acquamarina delicata e curiosa, in contrario con la cresta vestigiale, che era d’uno zaffiro argenteo, percorso da vene fuchsia.

— Voi siete Ruiz-Sanchez — disse il Lithiano nella sua lingua, in cui il nome del Gesuita, a differenza dei suoi compagni, si pronunciava abbastanza facilmente. — Vi ho riconosciuto dalla tonaca.

Ma era stato un puro caso. Ogni terrestre uscito sotto la pioggia con indosso l’impermeabile sarebbe stato preso per Ruiz-Sanchez, perché il sacerdote era l’unico terrestre che dava l’impressione, ai Lithiani, di indossare lo stesso tipo di abito in casa e fuori.

— Infatti, lo sono — rispose Ruiz-Sanchez con una punta d’apprensione.

— Io sono Chtexa, il metallurgista venuto recentemente a consultarvi su problemi di chimica, di medicina, e sulla vostra missione qui, oltre ad altre cose di minor importanza.

— Oh, sì. Sì, naturalmente. Avrei dovuto riconoscervi dalla cresta.

— Troppo onore. Non vi abbiamo mai visto qui, in precedenza. Desiderate parlare con l’Albero?

— Sì — rispose il Gesuita, con gratitudine. — In effetti sono nuovo a queste cose. Potreste dirmi quello che devo fare?

— Volentieri, ma non vi servirebbe a niente — rispose Chtexa, piegando il capo in modo che le sue pupille d’un nero inchiostro si trovassero a fissare direttamente gli occhi di Ruiz-Sanchez. — Occorre avere praticato il rito, che è molto complesso, fino a che non sia diventato un’abitudine. Noi ci siamo cresciuti in mezzo, ai nostri riti, ma io temo che vi manchi la coordinazione necessaria ad eseguirlo al primo tentativo. Se posso, in vece vostra, trasmettere il vostro messaggio…

— Ve ne sarei obbligatissimo. È per i nostri colleghi Agronski e Michelis. Si trovano a Xoredeshch Gton, sul continente nord-orientale, a circa 32 gradi Est, 32 gradi Nord…

— Sì, è il secondo segno di riferimento topografico allo sbocco dei piccoli Laghi, è la città dei vasai, la conosco bene. E che cosa volete comunicare?

— Che devono raggiungerci immediatamente qui, a Xoredeshch Sfath. E che il nostro soggiorno a Lithia è quasi terminato.

— Sebbene sia per me, questa, una notizia spiacevole, la trasmetterò ugualmente — disse Chtexa.

Il Lithiano con un balzo si mescolò al turbine di visitatori, lasciandosi dietro Ruiz-Sanchez, a congratularsi con la sua previdenza che lo aveva indotto a studiare il difficilissimo linguaggio Lithiano. Due dei quattro membri della Commissione avevano rivelato una lamentevole mancanza d’interesse per quella lingua parlata in tutto il pianeta. «Che imparino loro l’inglese» era stato il commento inconsapevolmente classico di Cleaver. Ruiz-Sanchez era stato poco favorevole ad approvare questo punto di vista in quanto la sua lingua materna era lo spagnolo, e in quanto delle cinque lingue straniere che parlava correntemente, l’Alto Tedesco Occidentale era quella che preferiva.

Quanto ad Agronski, il suo atteggiamento era stato sensibilmente più sofisticato. Non che, aveva detto, il Lithiano fosse troppo difficile a pronunciarsi — non era certo più difficile del russo o dell’arabo — ma, in fin dei conti, «è impossibile afferrare i concetti che si nascondono dietro una lingua realmente estranea. Almeno nel poco tempo che dobbiamo passare qui.»

A questi due punti di vista Michelis non aveva mosso nessuna obiezione, ma, con tutta semplicità, s’era messo a studiare la lingua, per imparare almeno a leggerla; e se fosse riuscito poi a parlarla, non ne sarebbe rimasto sorpreso, e tanto meno i suoi colleghi. Era lo stile inconfondibile di Michelis, empirico e nello stesso tempo approfondito. Per quanto riguardava gli altri due modi di affrontare la questione, Ruiz-Sanchez, in cuor suo, pensava che fosse quasi un delitto permettere che degli uomini inviati su un nuovo pianeta per stabilire un primo contatto lasciassero la Terra con degli atteggiamenti mentali così campanilistici. Per comprendere una nuova civiltà, il linguaggio è l’essenziale: se non si comincia dalla lingua, Dio solo sa dove si potrebbe cominciare.

Quanto poi alla predilezione di Cleaver di chiamare i Lithiani «Serpenti», l’opinione che ne aveva Ruiz-Sanchez era tale che l’avrebbe rivelata, e a stento, solo al suo lontano confessore.

Alla luce, poi, di quel che accadeva sotto i suoi occhi in quel salone a forma d’uovo, che poteva pensare Ruiz-Sanchez della condotta di Cleaver nella sua qualità di responsabile delle comunicazioni in seno al Comitato? Egli non aveva potuto certo né trasmettere né ricevere messaggio alcuno tramite l’Albero, come invece aveva dichiarato di aver fatto. Probabilmente non si era mai avvicinato all’Albero più di quanto non si fosse avvicinato, ora, lo stesso Ruiz-Sanchez.

Naturalmente era ovvio che fosse stato in contatto con Agronski e Michelis con qualche mezzo, ma doveva essere stato un mezzo privato: un apparecchio radio trasmittente nascosto nei suoi bagagli, o… ma no, questo non era possibile. Sebbene fosse tutt’altro che un fisico, Ruiz-Sanchez respinse immediatamente questa soluzione; aveva pur sempre un’idea, anche se vaga, delle difficoltà che si sarebbero incontrate utilizzando una radio portatile in un mondo come Lithia, spazzato ininterrottamente su tutte le lunghezze d’onda dalle tremende pulsazioni che l’Albero strappava al massiccio cristallino. Il problema cominciava a preoccuparlo seriamente.

E a un tratto Chtexa fu di ritorno, riconoscibile più che per qualche particolarità anatomica (i suoi bargigli, ora, avevano la stessa tinta scarlatta di quasi tutti gli altri Lithiani della folla) per il fatto che si precipitava sul terrestre.

— Ho inviato il vostro messaggio — disse subito. — È stato registrato a Xoredeshch Gton. Ma gli altri terrestri non ci sono più. Non sono più nella città da parecchi giorni.

Era impossibile. Non più tardi del giorno prima, Cleaver aveva detto di aver parlato con Michelis.

— Ne siete sicuro? — domandò prudentemente.

— Sicurissimo. La casa che abbiamo dato loro è vuota. Le molte cose che essi vi hanno portato non ci sono più. — La grande creatura fece con la mano a quattro dita un gesto come di scusa, prima di soggiungere: — Penso che questa sia una risposta sgradevole per voi. Mi dolgo di dovervela portare. Le parole che mi rivolgeste la prima volta che ci incontrammo erano piene di buone notizie.

— Grazie. Ma non preoccupatevi — disse Ruiz-Sanchez. — Nessuno può tenere responsabile di una risposta il latore della stessa.

— Anche il latore ha le sue responsabilità, almeno, questo è il nostro costume — disse Chtexa. — Nessun atto è interamente libero. E secondo il nostro punto di vista, voi avete perduto qualcosa, a causa della mia comunicazione. Le vostre parole sul ferro si sono rivelate piene d’informazioni preziose. Sarei estremamente lieto di potervi mostrare il modo in cui abbiamo saputo servircene, dato soprattutto che in cambio vi ho portato una cattiva notizia. Se voleste dividere la mia casa questa sera, senza pregiudizio per il vostro lavoro, potrei parlarvi dell’argomento. È possibile?