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Don arrivò nel laboratorio verso le nove, e scoprì che insieme a lui erano arrivati, apparentemente, tutti gli esseri umani che si trovavano nella casa di Sir Isaac, e una buona metà della numerosa famiglia di Sir Isaac. Roger Conrad era il responsabile della dimostrazione. Era occupatissimo di fronte al tavolo di comando, un complicato meccanismo che non aveva alcun significato, per un osservatore inesperto. Conrad compì una lunga serie di manovre, controllando i circuiti, regolando gli apparecchi, poi sollevò lo sguardo e disse:

«Tenete gli occhi sulla palla, gente… là, su quel tavolo.» Premette un pulsante.

Al di sopra del tavolo indicato apparve, come scaturita dal nulla, sospesa nell’aria senza alcun sostegno, una sfera d’argento di circa sessanta centimetri. Pareva una sfera perfetta, e un perfetto riflettore e, soprattutto, fece pensare a un ornamento dell’albero di Natale, almeno fu l’idea che più di ogni altra si formò subito nella mente di Don. Conrad fece un sorriso di trionfo: e poi disse:

«Bene, Tony… avanti con l’ascia!»

Tony Vincente, il più muscoloso degli scienziati del laboratorio, sollevò un’ascia dalla grande lama, che aveva tenuto pronta.

«Come la vuoi divisa… dall’alto, o di traverso?»

«Come ti pare.»

Vincente sollevò l’ascia bene al di sopra del suo capo, e la calò con forza e determinazione.

L’ascia rimbalzò.

La sfera non tremò neppure, né apparve alcun graffio su quella superficie perfetta, così simile a una specchio. Il sorriso fanciullesco di Conrad si fece ancor più accentuato.

«Fine del primo atto,» annunciò, e premette un altro bottone. La sfera scomparve, e non ci fu alcun segno a indicare che essa era stata là un momento prima.

Conrad si piegò sui comandi.

«Atto secondo,» annunciò. «Adesso cancelleremo metà della posizione. State lontani dal tavolo.» Dopo qualche istante, sollevò lo sguardo. «Pronti! Mirate! Fuoco!» Un’altra forma apparve, una sfera perfetta come l’altra, solo tagliata in sezione. La superficie esterna curva era rivolta in alto. «Sei pronto, Tony?»

«Un attimo, aspetta che accendo.» Vincente si accese una sigaretta, diede una vigorosa boccata, poi la posò su un portacenere, e lo fece scivolare sotto il mezzo globo. Conrad manovrò di nuovo i suoi comandi; la forma discese, si posò sul tavolo, coprendo la sigaretta accesa nel portacenere. «Qualcuno vuole provare a romperla con l’ascia, o con qualche altro mezzo?» domandò Conrad.

Nessuno pareva particolarmente ansioso di scherzare con l’ignoto. Conrad mosse di nuovo i suoi comandi, e la mezza sfera d’argento si sollevò. La sigaretta bruciava ancora lentamente nel portacenere, intatta.

«Che ne direste,» fece Conrad, «Se ponessimo un coperchio come questo sulla capitale della Federazione, a Bermuda… e lo lasciassimo al suo posto, fino a quando i capi, laggiù, non decidessero di scendere a patti?»

L’idea, evidentemente, incontrò l’approvazione universale. I membri dell’Organizzazione presenti allo spettacolo erano tutti, o quasi tutti, cittadini di Venere, coinvolti a livello emotivo nella rivoluzione, indipendentemente dal lavoro più grande e più complesso che stavano svolgendo. Phipps tagliò corto ai commenti eccitati che si levavano intorno, facendo una domanda:

«Dottor Conrad… vorrebbe fornirci una spiegazione comprensibile di quanto abbiamo visto? Almeno un’idea del funzionamento… perché possiamo renderci conto tutti delle enormi possibilità e delle grandiose implicazioni.»

Il volto di Conrad si fece molto serio.

«Uhm… capo, forse la cosa più chiara sarebbe quella di affermare che i fasarta modulano il barbab in una tale relazione di fase da costringere la trimalina a grodlare… o, mettendo la cosa in un altro modo, basterebbe dire che qualcuno ha liberato dei topi nel bagno. Seriamente, non esiste alcuna maniera per spiegare la cosa, rendendola ‘comprensibile’ nel senso suggerito dal signor Phipps. Se qualcuno fosse disposto a trascorrere cinque anni di duro lavoro con me, brancolando nel buio, probabilmente potrei condurlo allo stesso livello di ignoranza e di confusione che io godo. Alcune delle equazioni comprese per l’elaborazione dei tensori sono, per dirla in termini blandi, assolutamente uniche. Ma le istruzioni erano sufficientemente chiare, e noi siamo riusciti ad applicarle.»

Phipps annuì.

«Grazie… se devo dire così. Lo chiederò a Sir Isaac.»

«Lo faccia, per favore. Mi piacerebbe sentire.»

Malgrado la prova del fatto che gli scienziati erano riusciti a costruire con i loro mezzi di fortuna almeno in parte le apparecchiature descritte dal messaggio contenuto nei due fili metallici, l’inquietudine di Don non diminuì minimamente. Ogni giorno, all’ora di pranzo, i cartelli disposti nella mensa gli ricordavano che il tempo passava… e che lui si stava succhiando il pollice, mentre il tempo diminuiva sempre più. Non pensava più di convincerli a rimandarlo nella zona di guerra; cominciò invece a fare dei piani per arrivarci da solo.

Aveva visto delle mappe del Grande Mare del Sud, e conosceva, approssimativamente, il punto nel quale si trovava ora. A nord si stendeva un territorio disabitato… nel quale non vivevano neppure i draghi, ma che era invece popolato dai loro cugini carnivori. Era considerato invalicabile. Il percorso a sud, intorno all’estremità meridionale del mare, era molto più lungo, ma si trattava di territorio abitato dai draghi, fino alla regione nella quale sorgevano delle fattorie umane. Sapendo parlare la lingua sibilata, e avendo cibo a sufficienza per almeno una settimana di viaggio, avrebbe potuto arrivare alla fattoria di qualche colono, e di là ottenere i mezzi per raggiungere la successiva. In quanto al resto, lui aveva il suo coltello e la sua intelligenza, e si era abituato alle paludi e agli acquitrini molto più di quanto non lo fosse stato all’epoca in cui era sfuggito agli uomini di Bankfield.

Cominciò a sottrarre un po’ di cibo dalla mensa, e a nasconderlo nella sua camera.

Mancavano un giorno e una notte al momento scelto per tentare l’evasione, quando Phipps lo mandò a chiamare. Prese in considerazione la possibilità di non andare da Phipps, ma decise che l’obbedienza avrebbe suscitato meno sospetti.

«Si sieda,» esordì Phipps. «Sigaretta? No… dimenticavo. Che cosa ha fatto negli ultimi tempi? Ha lavorato?»

«Non avevo niente da fare, accidenti.»

«Spiacente. Signor Harvey, ha avuto modo di riflettere sul tipo di mondo che avremo, quando tutto questo sarà finito?»

«Be’, no, non esattamente.» Aveva pensato alle prospettive, ma il frutto delle sue meditazioni era troppo confuso e insoddisfacente, perché ora avesse voglia di illustrarlo a un’altra persona. In quanto a lui, un giorno o l’altro la guerra sarebbe finita… almeno lo supponeva… e allora avrebbe potuto attuare la sua intenzione, così a lungo rimandata, di cercare i suoi genitori. E dopo, be’…

«In quale mondo le piacerebbe vivere?»

«Uh? Be’, non saprei.» Don rifletté. «Temo di non essere quello che si definisce ‘un uomo dalla mentalità politica’. Non m’importa molto di sapere come sia governato il mondo… solo che, be’, dovrebbe esserci un po’ più di… scioltezza per chi vi abita. I fili non dovrebbero essere tesi così rigidamente. Vede… un uomo dovrebbe poter fare quello che vuole, se ne è capace, e non venire spinto di qua e di là, senza potere esprimere la sua opinione.»

Phipps annuì.

«Io e lei abbiamo in comune molto più di quanto lei possa avere pensato. Io non sono un purista, per quanto riguarda la teoria politica; lo ammetto. Qualsiasi governo che diventi troppo grosso e troppo stabile, e abbia troppo successo, diventa inevitabilmente un fattore di disturbo… un fastidio. La Federazione ha seguito la medesima strada… è cominciata in maniera abbastanza pulita, l’idea di base era fondamentalmente buona, e gli inizi sono stati altrettanto buoni… e ora deve essere ridimensionata. In modo che i cittadini possano godere di un po’ di ‘scioltezza’.»