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Alla prima esercitazione, Conrad si occupò delle posizioni degli altri, poi ritornò al posto di Don.

«Tu hai capito bene quello che devi fare, Don?»

«Certo. Abbasso questo interruttore, per attivare le bombe, poi resto aggrappato al pulsante del morto.»

«No, no… prima premi il pulsante del morto… poi abbassi l’interruttore di attivazione.»

«Sì, certo. L’ho detto semplicemente alla rovescia.»

«Fa in modo di non farlo alla rovescia! Ricorda semplicemente questo, tenente; se lasci andare quel pulsante, tutto è finito.»

«Va bene. Senti, Rog, questo è il pulsante di esplosione di una bomba atomica… vero?»

«Sbagliato. Non potevamo sprecare tanto denaro. Ma il carico di esplosivo ad alto potenziale è più che sufficiente per uno scafo piccolo come questo, te lo assicuro. Così, per quanto possiamo essere ansiosi di far saltare questo traghetto, piuttosto che farlo cadere in mani nemiche, ti prego di non lasciare andare in alcun caso quel pulsante. Se senti il bisogno di grattarti, cerca di dominarti.» Il capitano Rhodes venne da quella parte, e mandò a prua Conrad, con un cenno del capo. Il comandante parlò a Don in tono sommesso, in modo che le sue parole non raggiungessero gli altri.

«Harvey, è soddisfatto di questo compito? Non le dispiace?»

«No, non mi dispiace,» rispose Don. «So che tutti gli altri hanno un addestramento tecnico superiore al mio. Questo è quanto so fare, e non di più.»

«Non è questo che intendevo dire,» lo corresse il comandante. «Lei potrebbe occupare una qualsiasi di tutte le altre postazioni, a eccezzione della mia e di quella del dottor Conrad. Voglio essere sicuro che lei sia in grado di svolgere questo lavoro.»

«Non vedo perché non dovrei. Devo premere questo pulsante, e poi abbassare questo interruttore… e tenere premuto il pulsante. Non c’è bisogno di essere laureati in alta matematica, per fare una cosa del genere.»

«Non è neppure questo che intendo dire. Io non la conosco, Harvey. Mi dicono che lei ha avuto esperienza di combattimento. Questi altri non l’hanno avuta… ed è per questo che lei è stato scelto per il lavoro. Quelli che la conoscono, pensano che lei sia in grado di svolgerlo. Non mi preoccupo del fatto che lei possa dimenticare di tener premuto il pulsante; quello che voglio sapere è ben altro: se fosse necessario lasciarlo andare, lei lo farebbe?»

Don rispose quasi subito… ma non prima di avere avuto il tempo di pensare a molte cose… al dottor Jefferson, che quasi certamente si era suicidato, non era semplicemente morto… al Vecchio Charlie, con la bocca tremante, ma con la mano che teneva il coltello ferma e sicura… e a una voce immortale, che squillava nella nebbia, gridando, «Venere e Libertà!»

«Penso di sì, se sarà necessario.»

«Bene. Io non sono convinto di esserne capace, se dovessi farlo. Dipendo da lei, signor Harvey, se la situazione volgerà al peggio, affinché la mia nave non venga catturata.» E detto questo, andò a prua.

La tensione aumentò, il nervosismo si fece più acuto. Non avevano alcun modo per sapere con certezza che il punto d’uscita nello spazio normale sarebbe stato vicino alle astronavi della Federazione; quella squadra d’incrociatori da guerra forse aveva usato un’orbita diversa da quella calcolata, forse aveva avuto a disposizione mezzi superiori a quelli immaginati su Venere. Non potevano essere neppure sicuri del fatto che le forze della Federazione già non fossero sbarcate su Marte, e non fossero già padrone della situazione, rendendo così difficile il compito di liberare il pianeta rosso. I miracoli di laboratorio del Little David erano stati realizzati in previsione di un incontro nello spazio sideralè, di una battaglia cosmica, non per una guerra di superficie, sulle rosse sabbie di un pianeta.

Conrad aveva un’altra preoccupazione, che non esprimeva a parole; e cioè che le armi dell’ex traghetto non funzionassero secondo i piani. Più di tutti gli altri, lo scienziato sapeva quanto fosse precario affidarsi alle previsioni teoriche. Sapeva con quale frequenza i calcoli più brillanti venivano annullati da leggi naturali fino a quel momento insospettate, o trascurate, o poco note. Non c’era nulla che potesse sostituire un collaudo… e quelle armi non erano state collaudate. Così lo scienziato perse, per la prima volta, il suo abituale sorriso, e giunse perfino a una rabbiosa discussione con Rhodes, intorno al momento calcolato per l’«uscita».

La differenza di opinioni venne finalmente risolta; mezz’ora più tardi Rhodes disse, con calma e a bassa voce:

«È quasi il momento, signori. Ai posti di combattimento.» Raggiunse il suo posto, assicurò le cinture di sicurezza, e disse, seccamente, «Rapporto!»

«Co-pilota.»

«Radio.»

«Radar!»

«Armi speciali pronte.»

«Morto!» concluse Don.

Ci fu una lunga attesa, mentre i secondi scorrevano lentamente. Rhodes parlò sommessamente in un microfono, avvertendo Malath di prepararsi alla caduta libera, e poi chiamò:

«Pronti!»

Don premette con maggiore forza il pulsante di autodistruzione.

Improvvisamente, si ritrovò senza peso; davanti a lui, e negli oblò che si aprivano sui lati, le stelle sbocciarono, come fiamme colorate. Non riuscì a vedere Marte, e decise che doveva trovarsi «sotto» l’astronave. Il Sole era da qualche parte, a poppa; non gli dava negli occhi. Ma la vista che aveva di quello che si trovava davanti era ottima; il Little David, essendo stato in origine un traghetto alato, aveva un pannello di visione davanti ai sedili di pilotaggio, assai simile alla carlinga di un aereo. La posizione di Don gli permetteva di vedere chiaramente, come Rhodes e il suo co-pilota, e molto meglio degli altri occupanti dell’astronave.

«Radar?» domandò Rhodes.

«Calma, comandante. Anche la velocità della luce è… Oh, oh! Segnali!»

«Coordinate e portata!»

«Teta tre cinque sette virgola due; pi meno zero virgola otto; raggio sei otto zero…»

«Lo sto ricevendo automaticamente,» intervenne Conrad, seccamente.

«Rintracciati?»

«Non ancora.»

«A portata?»

«No. Credo che dovremmo restarcene calmi, e avvicinarci per quanto ci sarà possibile. Forse non ci hanno visti.»

Avevano rallentato in precedenza la loro velocità, per permettere di manovrare con facilità; malgrado ciò si stavano avvicinando ai «segnali» a una velocità di più di novanta miglia al secondo. Don si sforzò, nel tentativo di avvistare gli incrociatori, se i riflessi radar erano gli incrociatori. Era inutile… i suoi occhi di protoplasma non erano all’altezza di quelli elettronici.

Rimasero così, con i nervi tesi e lo stomaco irrigidito, mentre la distanza diminuiva gradualmente, fino a quando non parve che i segnali non fossero gli incrociatori federali… forse si trattava di un gruppo di asteroidi non catalogato nelle mappe siderali… e poi l’allarme radio, che copriva automaticamente tutte le frequenze di trasmissione, non spezzò clamorosamente il silenzio.

«Fermi sul canale!» gridò Rhodes.

«Lo sto prendendo.» Ci fu una breve attesa. «Ci chiedono di identificarci. Sono loro, naturalmente.»

«Passi la comunicazione qui.» Rhodes si rivolse a Conrad. «Che ne dice?»

«Dovrei essere più vicino. Prenda tempo!» Il viso di Conrad era grigiastro, e la fronte era coperta di sudore.

Rhodes sfiorò un tasto, e parlò nel suo microfono.