Выбрать главу

La luce esce a fiotti, una luce giallastra sfumata di rosso che è una creazione del nonno. Guardare la convessa porta ovale è come guardare nel cristallino del globo oculare di un pazzo. Il Nonno è in mezzo alla stanza; ha una barba bianca che gli scende a metà coscia e capelli bianchi che gli ricadono come una cascata un po’ al di sotto delle ginocchia. Benché barba e chioma nascondano la sua nudità, e lui sia solo nella stanza, indossa un paio di calzoncini. Il Nonno è piuttosto all’antica, una cosa perdonabile in un uomo che ha raggiunto ormai un’età di dodici dec… adenze.

Come Rex Luscus, ha un occhio solo. Sorridendo, mostra denti suoi, cresciuti da germogli trapiantati trent’anni prima. Un grosso sigaro verde sporge da un angolo della bocca rossa e carnosa. Il naso è schiacciato, come se il tempo l’avesse calpestato con piede pesante.

La fronte e le guance sono larghe, forse grazie a una goccia di sangue Ojibway nelle vene, sebbene sia nato Finnegan e perfino il suo sudore sia celtico, perché ha l’odore del whisky. Tiene la testa alta, e l’occhio grigio-azzurro è come un piccolo specchio d’acqua in fondo a una marmitta dei giganti antidiluviani, residuo della liquefazione di un ghiacciaio.

In tutto e per tutto, la faccia del Nonno è quella di Odino che ritorna dal Pozzo di Mimir chiedendosi se il prezzo da lui pagato non sia troppo alto. Oppure è la faccia della Sfinge di Gizah, consumata dal vento e dalla sabbia.

— Quaranta secoli di isteria ti guardano, per parafrasare Napoleone — dice il Nonno. — La testa di ponte dei secoli. “Dunque, che cos’è l’Uomo?” chiede la nuova Sfinge, dato che Edipo ha sciolto l’enigma della vecchia Sfinge e non ha risolto niente, perché lei ne ha già scodellato un altro, una furbacchiona con un enigma che nessuno sa ancora svelare. E forse è meglio così.

— Parli in modo strano — dice Chib. — Ma mi piace. Sorride al Nonno, gli vuole bene.

— Tu scivoli qui dentro tutti i giorni, non tanto per amor mio quanto per acquisire virtute e conoscenza. Io ho visto tutto, udito tutto, e ho pensato non poco. Ho viaggiato molto, prima di venire a rifugiarmi in questa stanza, un quarto di secolo fa. Eppure l’isolamento qui dentro è stato la più grande di tutte le mie odissee.

IL VECCHIO MARINATORE

È così che mi definisco. Una marinata di sapienza immersa nella salamoia di un cinismo troppo salato e di una vita troppo lunga.

— Quando sorridi così, devi esserti appena fatto qualcuna delle tue amichette — lo punzecchia Chib.

— No, ragazzo mio. Ho perso la tensione della verga trent’anni fa. E ne ringrazio Dio, poiché mi sottrae alla tentazione di fornicare, nonché di masturbarmi. Tuttavia, mi restano altre energie e quindi la possibilità di altri peccati, ben più gravi.

“A parte il peccato sessualmente commesso, che curiosamente comporta il peccato del seme emesso, anziché, come verrebbe di dire, omesso, avevo altre ragioni per non chiedere alla magia nera degli scienziati qualche iniezione per inamidarmi di nuovo. Ero troppo vecchio perché le ragazze si sentissero attratte da me per motivi diversi dal denaro. Ed ero troppo poeta, troppo-innamorato della bellezza per accontentarmi delle vecchie grinzose della mia generazione o di quelle ancor precedenti.

“Quindi vedi, figliolo. Il mio battaglio dondola liberamente entro la campana del mio sesso. Din-don, dindon. Tanto don, ma poco din.”

Il Nonno fa una risata profonda: un ruggito da leone con un pizzico di colomba.

— Non sono altro che il portavoce degli antichi, un finto avvocato che fa le sue perorazioni per conto di clienti morti da molto tempo. Non sono qui per seppellire ma per elogiare, e sono costretto dal mio senso di equità ad ammettere anche le colpe del passato. Sono un vecchio bizzarro e rattrappito, chiuso come Merlino nel tronco del suo albero. Samolxis, il dio-orso dei traci, in ibernazione nella sua grotta. L’ultimo dei Sette Dormienti.

Il Nonno si avvicina al sottile tubo di plastica che pende dal soffitto e abbassa le maniglie pieghevoli dell’oculare.

— Accipiter se ne sta appollaiato davanti a casa nostra. Fiuta del marcio a Beverly Hills, livello 14. Possibile che Winnegan Riwincita non sia morto? Lo Zio Sam è come un diplodoco che si è beccato un calcio nel sedere. Ci sono voluti venticinque anni perché il segnale arrivasse al cervello.

Gli occhi di Chib si riempiono di lacrime. Dice: — Oh, Dio, Nonno, non voglio che ti succeda niente di male.

— Che cosa può succedere a un vecchio di centovent’anni, a parte un’insufficienza cerebrale o renale?

— Con tutto il dovuto rispetto, Nonno — dice Chib — tu parli a vanvera.

— Chiamami il mulino dell’Es — dice il Nonno. — La farina che macino viene cotta nello strano forno del mio Io… o viene scotta, se preferisci.

Chib ride e piange insieme e dice: — A scuola mi hanno insegnato che i giochi di parole sono banali e volgari.

— Quello che andava bene per Omero, Aristofane, Rabelais e Shakespeare va bene anche per me. A proposito di banalità e volgarità, ieri sera ho incontrato tua madre nel corridoio, prima che cominciasse la partita a poker. Stavo uscendo dalla cucina con una bottiglia di liquore. Per poco non è svenuta. Ma si è ripresa subito e ha fatto finta di non vedermi. Forse si è convinta d’aver visto un fantasma, ma ne dubito. L’avrebbe raccontato a tutta la città.

— Può averlo riferito al suo dottore — dice Chib. — Ti ha visto diverse settimane fa, ricordi? Forse ne ha parlato mentre si lagnava delle sue cosiddette vertigini e allucinazioni.

— E quel vecchio segaossa, conoscendo la storia della famiglia, ha chiamato l’UID. Può darsi.

Chib guarda nell’oculare del periscopio. Lo fa ruotare e gira le manopole per alzare e abbassare il ciclope posto all’estremità del tubo esterno.

Accipiter sta ora camminando attorno all’aggregato delle sette uova, ciascuna posta in fondo a una passerella ampia, sottile, curva come un ramo, che sporge dal piedistallo centrale. Accipiter sale i gradini di un ramo, va alla porta della signora Applebaum. La porta si apre.

— Deve averla trovata per caso lontana dal fornixatore — dice Chib. — E deve sentirsi molto sola: non gli parla attraverso il fideo. Mio Dio, è più grassa di Mamma!

— Perché no? — dice il Nonno. — Il signore e la signora Qualunque se ne stanno seduti come allocchi tutto il santo giorno, bevono, mangiano e guardano il fideo, e i loro cervelli se ne vanno in pappa, i loro corpi in ciccia. Cesare non faticherebbe a circondarsi di amici grassi, di questi tempi. Anche tu mangi, Bruto, figlio mio?

Comunque, era strano che il commento del Nonno valesse anche per la signora Applebaum. Lei aveva un buco in testa, e la gente dedita alla fornixazione ingrassava di rado. Stava seduta o sdraiata tutto il giorno e parte della notte, con un ago infilato nell’area del fornice, nel cervello, che le impartiva una serie di minutissime scosse elettriche. A ogni impulso, un’estasi indescrivibile inondava i loro corpi, un piacere superiore a quelli del cibo, delle bevande e del sesso. Era vietato, ma il governo non dava mai noie a un utente, a meno che volesse incastrarlo per qualche altra ragione, dato che un fornixatore raramente aveva figli. Il venti per cento degli abitanti di Los Angeles aveva un buco di trapano nella testa e la minuscola presa per l’ago. Il cinque per cento era costituito da ago-dipendenti incurabili: deperivano, non mangiavano quasi mai, e le loro vesciche gonfie riversavano veleni nel sangue.

Chib dice: — Mio fratello e mia sorella debbono averti visto, qualche volta, quando esci di soppiatto per andare a messa. Potrebbero essere stati loro…?

— Mi credono uno spettro. Di questi tempi! Comunque, forse è buon segno che possano credere in qualcosa, anche in un fantasma.

— Dovresti piantarla di uscire per andare in chiesa.