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Il Nonno, che è ancora al periscopio, dice: — Ecco Maryam bint Yusuf, l’egiziana delle retrovie di cui mi parlavi. Il tuo Saturno: altera, regale, fredda, e con uno di quei cappelli sospesi rotanti e multicolori che vanno tanto di moda. Gli anelli di Saturno? Oppure un’aureola?

— È bellissima, e sarebbe una madre meravigliosa per i miei figli — dice Chib.

— La fica d’Arabia. Il tuo Saturno ha due lune, madre e zia. Non la mollano un momento. Tu dici che sarebbe una buona madre. Che buona moglie! È intelligente?

— È intelligente come Benedectine.

— Allora è scema. Certo che le sai scegliere. Come fai a sapere che sei innamorato di lei? Ti sei innamorato di venti donne negli ultimi sei mesi.

— Io l’amo. È certo.

— Fino alla prossima. Puoi amare veramente qualcosa, a parte la pittura? Benedectine abortirà, vero?

— No, se riuscirò a dissuaderla — dice Chib. — Per la verità, non mi piace più. Ma porta in grembo mio figlio.

— Lasciami guardare il tuo inguine. No, sei maschio. Per un momento non ne ero sicuro; sei così smanioso di avere un figlio.

— Un bambino è un miracolo che sbigottisce miliardi d’infedeli.

— Più di un topolino, certo. Ma non sai che Zio Sam ci ha messo il cuore per propagandare la riduzione della riproduzione? Dove sei stato tutta la vita, tu?

— Debbo andare, Nonno. — Chib dà un bacio al vecchio e ritorna nella sua stanza per finire il quadro più recente. La porta continua a rifiutare di riconoscerlo, e lui chiama l’officina riparazioni del governo, e si sente rispondere che tutti i tecnici sono al Festival Popolare. Esce di casa in preda a una furia bruciante. Le bandierine e i palloncini ondeggiano e ballonzolano nel vento artificiale, intensificato per l’occasione, e un’orchestra suona in riva al lago.

Il Nonno, al periscopio, lo guarda allontanarsi.

— Povero diavolo! Soffro con lui. Vuole un bambino, ed è straziato perché quella poveraccia di Benedectine vuole abortire il loro figlio. Parte della sua sofferenza, anche se lui non lo sa, deriva dal fatto che si identifica con il feto condannato. Anche sua madre ha avuto innumerevoli aborti… be’, qualcuno. Se non fosse stato per una particolare grazia di Dio, lui sarebbe stato uno di quegli aborti, un altro nulla. E vuole che anche quel bambino abbia una possibilità. Ma non può farci niente, niente.

“E c’è qualcosa d’altro, che lo accomuna a gran parte dell’umanità. Sa di avere sbagliato tutto, o che qualcosa gli ha rovinato la vita. Ogni uomo e ogni donna lo sa. Persino i soddisfatti e gli sciocchi se ne rendono conto inconsciamente. Ma un bambino, quell’essere bellissimo, quel foglio bianco senza macchie, quell’angelo non formato, rappresenta una speranza nuova. Forse non farà fiasco. Forse crescerà, diventerà un essere umano sano, fiducioso, ragionevole, benevolo, altruista. ‘Non sarà come me o come il mio vicino’, giura il genitore orgoglioso ma apprensivo.

“Chib pensa questo e giura che il suo bambino sarà diverso. Ma come tutti gli altri s’inganna. Un bambino ha un solo padre e una sola madre, ma ha milioni di zie e di zii. Non solo i contemporanei, ma anche i morti. Persino se Chib fuggisse nel deserto e allevasse personalmente suo figlio, gli trasmetterebbe le sue convinzioni inconsce. Il bambino crescerebbe con convinzioni e atteggiamenti di cui suo padre non si è mai accorto. Inoltre, essendo cresciuto nell’isolamento, il bambino sarebbe un essere umano veramente molto strano.

“E se invece Chib alleva il bambino in questa società, è inevitabile che recepisca almeno una parte della mentalità dei suoi compagni di gioco, dei suoi maestri, e così via ad nauseam.

’’Quindi rinuncia alla speranza di fare un nuovo Adamo del tuo meraviglioso figlio tanto ricco di capacità potenziali, Chib. Se cresce e diventa almeno un po’ meno pazzo, è perché tu gli hai dato amore e disciplina ed è stato fortunato nei rapporti sociali ed è stato benedetto alla nascita dalla giusta combinazione genetica. Cioè, se è un figlio capace sia di lottare sia di amare.”

L’INCUBO DI QUALCUNO È IL SOGNO DI QUALCUN ALTRO

Il Nonno dice:

— Stavo parlando proprio l’altro giorno con Dante Alighieri, e lui mi raccontava che inferno di stupidità, crudeltà, perversione, ateismo e di minacce mortali era il secolo decimosesto. Quanto al decimonono, riusciva solo a farfugliare, alla vana ricerca di invettive adeguate a descriverlo.

“In quanto alla nostra epoca, gli ha fatto salire la pressione al punto che ho dovuto dargli un tranquillante e spedirlo via con la macchina del tempo in compagnia di un’infermiera. Somigliava molto a Beatrice, e forse era proprio la medicina che ci voleva per lui… forse.”

Il Nonno ridacchia, ricordando che Chib, da bambino, prendeva sul serio le descrizioni dei visitatori venuti con la macchina del tempo, personaggi come Nabucodonosor, re dei Mangiatori d’Erba; Sansone, enigmista dell’età del bronzo e flagello dei filistei: Mosè, che rubò un dio al suocero kenita e lottò per tutta la vita contro la circoncisione; Buddha, il primo capellone; Sisifo Pietra Tonda, in permesso speciale dall’eterna fatica di spingere il suo masso; Androclo e il suo amichetto, il Leone Codardo di Oz; il pilota von Richthofen, il Barone Rosso della Germania; Beowulf; Al Capone; Hiawatha; Ivan il Terribile e centinaia di altri.

Era giunto un momento in cui il Nonno s’era allarmato ed era giunto alla conclusione che Chib confondeva la fantasia con la realtà. Gli dispiaceva dire al bambino che s’era inventato lui tutte quelle storie meravigliose, soprattutto per insegnargli la storia. Era come dire a un bambino che Babbo Natale non esiste.

E poi, mentre con riluttanza lo spiegava al nipote, si era accorto del sogghigno che Chib reprimeva a fatica e aveva capito che adesso era lui a essere preso in giro. Chib non si era mai lasciato ingannare, oppure l’aveva progressivamente capito senza traumi. Così, si erano fatti entrambi una bella risata e il Nonno aveva continuato a parlare dei suoi visitatori.

— Non esistono le macchine del tempo — dice il Nonno. — Ti piaccia o no, devi vivere nel tuo tempo.

“Le macchine lavorano nei livelli delle fabbriche in un silenzio rotto solo dal cicaleccio di pochi mahout. I grandi tubi in fondo al mare aspirano acqua e limo. Questa roba viene portata automaticamente, per mezzo di condutture, ai dieci livelli produttivi di Los Angeles. Là le sostanze chimiche inorganiche vengono convertite in energia e poi nella materia costitutiva dei viveri, delle bevande, dei medicinali e dei manufatti. C’è ben poca agricoltura e ben poco allevamento al di fuori della cinta delle città, ma c’è abbondanza per tutti. Roba artificiale, ma duplicato esatto di quella organica, quindi, chi bada alla differenza?

“Non ci sono più le privazioni e la fame, salvo che tra gli esuli volontari che vagano nei boschi. E i viveri e i beni di consumo vengono spediti alle pandore e distribuiti ai percettori del salario purpureo. Il salario purpureo. Un eufemismo tipico della pubblicità, con il suggerimento di percentuali rispetto al valore prodotto e di diritti inalienabili. Guadagnato per il semplice fatto di nascere.

“Altre epoche giudicherebbero la nostra un incubo, eppure ha benefici di cui le altre erano prive. Per combattere la provvisorietà e l’alienazione, la megalopoli è suddivisa in piccole comunità. Un uomo può vivere tutta la sua vita in un posto, senza bisogno di andare altrove per procurarsi ciò che gli occorre. Questo ha portato un provincialismo, un campanilismo da strapaese, e l’ostilità verso gli estranei. Da ciò le sanguinose lotte tra le bande giovanili delle varie cittadine. Da ciò il pettegolezzo intenso e maligno. La pretesa che tutti si conformino alle consuetudini locali.

“Nel contempo, il cittadino dei piccoli centri ha il fideo, che gli permette di assistere agli eventi di tutto il mondo. Mescolati alle stronzate e alla propaganda che il governo giudica adatte alla gente, ci sono parecchi programmi superbi. Un uomo può farsi un’istruzione equivalente a una laurea senza uscire di casa.