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Per tutto il giorno, sotto lo splendore accecante del sole torrido, aveva mosso un passo dietro l’altro in un paesaggio livido, in mezzo a cose calcinate, perseguendo il suo scopo. Per tutto il giorno aveva percorso una terra devastata, priva di ogni forma di vita. Adesso il sole verde era tramontato, e lui non era ancora uscito da quella terra selvaggia. L’ultimo riflesso del grande smeraldo gli permise di scorgere in lontananza una foresta, e Graham vi si diresse.

Dopo uno strano crepuscolo, la notte gli si strinse addosso. Una notte che presto fu nera come l’ebano, e che s’appesantiva sulla Terra. Ma Graham non si fermò. Continuava ad avanzare verso la foresta, guidato da deboli costellazioni di stelle che brillavano d’una luce fredda e tremula. A lungo si trascinò in avanti verso gli alberi lontani. Quando giunse a mezza strada, le tenebre si dissiparono un poco, e una specie di enorme disco rosso come sangue si levò da est spandendo intorno una luce malata. Con un balzo immenso il disco fu alto nel cielo, circondato da ogni specie di satelliti. L’aria era pesante e irrespirabile e la luce rossa sembrava composta da miriadi di gocce di sangue. Sotto lo scialbo chiarore, il suolo calcinato assunse un aspetto di maggiore solitudine e di desolazione più grande.

Sempre avanti… sempre avanti…

Quando il disco rosso tramontò con i suoi satelliti, Graham raggiunse la foresta. Allora, da ogni punto dell’orizzonte, sorsero infinite comete a solcare il cielo in ogni direzione.

La foresta sembrava nera e umida e si stendeva a destra e a sinistra dell’uomo a perdita d’occhio. Lui vi penetrò senza esitare, e ben presto si trovò tra alberi giganteschi che lo schiacciavano con le loro enormi masse. A mano a mano che procedeva, gli alberi diventavano più fitti e i rami si intrecciavano più strettamente. Graham dovette aprirsi una strada fra i tronchi spezzati. Parevano alte pietre tombali e ognuno portava sulla corteccia una fantastica iscrizione. Poi apparvero le prime piante rampicanti.

Da ogni lato gli giungevano sussurri, e talvolta gli sembrò di scorgere alcune ombre muoversi tra le piante, sporgendosi dai tronchi a osservarlo per poi fuggire riempiendo l’aria di risate bestiali. Affrettò il passo.

Irampicanti si erano fatti tanto densi da impedirgli il passo allacciandogli le gambe. Infine, per proseguire dovette servirsi del lungo coltello che gli pendeva dalla cintola. Ogni pianta tagliata lanciava un urlo. E le ferite sanguinavano.

Una maledizione pesava su quella foresta infernale. Ben presto si udirono solo pianti e urla simili a grida di fanciulli disperati.Igemiti delle piante spezzate! Affrettò ancora il passo.Irami gli graffiavano la faccia, il sangue gli colava sugli abiti. Vacillando continuò a camminare.

Il terreno divenne a un tratto umido, e Graham si fermò appena in tempo: davanti a lui si stendeva un pantano. In quel punto la foresta era meno fitta, e qua e là alcuni alberi morti giacevano a terra. Lontano, fin dove giungeva lo sguardo, si vedeva solo la palude. Graham si fermò un momento a pensare, poi si lanciò, deciso.

Per un po’ fu abbastanza facile proseguire, saltando di tronco in tronco o nuotando attraverso la distesa di acqua stagnante. Qualche volta passava a guado un tratto di palude, dentro un fango vischioso che gli si incollava alle gambe e poi lasciava la presa con un orribile risucchio. Due o tre volte ebbe l’impressione che un’ombra, volando bassa, gli sfiorasse la faccia… Rabbrividiva, e continuava la sua strada, faticosamente.

Giunse infine in una radura sulla quale splendeva un sole fosco. Senza riflettere scivolò dentro una massa liquida e si mise a nuotare. Immediatamente la distesa d’acqua cominciò ad animarsi: migliaia e migliaia di forme vi brulicavano frenetiche emettendo fischi demoniaci. Milioni di vipere, fredde, viscide, immonde, molli come vermi. Graham si tuffò sott’acqua rimanendovi il più a lungo possibile. Ogni volta che ne emergeva per prender fiato, sollevava vere ondate di rettili. L’aria tremava per i fischi continui e stridenti che salivano dalle onde nauseabonde.

Quando infine l’acqua tornò fango, Graham poté issarsi su un tronco mezzo marcito, e vi restò steso a lungo per ricuperare un poco le forze. La massa vischiosa dei rettili si allontanava come un immondo riflusso, e allorché l’uomo riprese il cammino, la strada era libera. Sopra di lui, le comete non solcavano più il cielo mutato in vuoto assoluto, di un’oscurità opprimente.

Ore e ore, sempre marciando in una regione ricca solo di perfide frane e di acquitrini vischiosi. Il lezzo delle acque stagnanti lo stordiva. Più volte fu tentato di abbandonare il pesante coltello che gli pendeva dal fianco e che gli impicciava il passo, ma se ne astenne sempre per prudenza. Poteva ancora servirgli.

Doveva aver percorso chilometri e chilometri, quando improvvisamente uscì dalla palude, e il terreno tornò solido sotto i suoi passi. La foresta era finita. Si stese a terra rimanendo così qualche minuto a riposare.

Si voltò un attimo a guardare la vasta distesa paludosa che aveva appena superato, e in quell’attimo udì risuonare un grido orribile, inumano, e vide una colossale forma sorgere dall’abisso fangoso e drizzarsi dondolando. Al culmine della gigantesca figura, una testa mostruosa ciondolava da un lato all’altro fissandolo con lo sguardo spento di un unico occhio enorme.

Graham balzò in piedi e fuggì lontano dal mostro e dalla palude che scomparvero nelle tenebre.

Il terreno adesso non presentava rilievi, ed era ricoperto da un’erba alta che frusciava dolcemente. Un debole vento giocava tra l’erba con un sussurro scherzoso. Una musica triste nasceva dall’oscurità ricamando un motivo lamentoso: sembrava il piantorassegnato di un’anima in pena, e presto l’armonia mesta gli mosse incontro da ogni parte, bassa ed evanescente, con la ritmica cadenza di una litania funebre. La pianura intera sembrava piangere e gemere al passaggio dell’uomo, spingendolo ad allontanarsi più in fretta per sfuggire a quella disperazione. E la distesa infinita fu tutta un sentimento di morte e di solitudine.

Il sentiero che Graham percorreva, dopo un poco divenne tortuoso, e la piana si interruppe ai piedi di una catena collinosa. Cominciò a salire, e l’oscurità si dissipò un poco. Varcate le colline, l’uomo scorse una luna immensa e pallida che attraversava il cielo come una povera vecchia cosa imputridita, spandendo intorno la sua luce malata, tingendo gli alberi di un chiarore livido, e lui, Graham, si rese conto che anche la sua faccia e le sue mani dovevano sembrare la faccia e le mani di un morto. Ripreso da una paura senza nome, affrettò il passo per raggiungere le montagne che sovrastavano le colline con le loro cime massicce. Tutto silenzio in quei luoghi desolati. Unica compagnia all’uomo, lo scalpiccio ritmico dei suoi passi che gli risuonava alle orecchie da una eternità.

L’uomo affrontò un sentiero serpeggiante nel fianco di una montagna. Le rocce e gli alberi mescolati in modo indescrivibile parevano spostarsi, cambiare di posizione quasi per contrastargli il passaggio. Graham toccò una pietra e trasalì: la pietra ansimava come un grosso ranocchio. Preso da un impeto di furore, afferrò il coltello e lo abbatté sulla roccia con tutte le sue forze. Il sasso si aprì in due emettendo un urlo disumano e lasciando sfuggire una nuvola di vermi. Tutte le rocce si mossero allora convergendo su di lui, masse rampanti e deliquescenti. Trattenendo il respiro, Graham prese a vibrar colpi a destra e a sinistra, ma non venne a capo di nulla. Strane cose fredde e umide gli si attorcigliavano alle caviglie e si arrampicavano lungo le gambe, mostri ripugnanti gli accarezzavano la pelle…

Fuggì urlando, e sbucò su un altopiano al cui centro sorgeva una città morta. Non c’era alcun motivo che la aggirasse, dal momento che la strada lastricata sulla quale stava camminando la attraversava proprio nel mezzo. Muovendosi come un automa, continuò ad avanzare. Era una città stupefacente, composta per la maggior parte da monoliti, obelischi, cenotafi, tutti assolutamente sprovvisti di porte e di finestre. Sembrava che gli abitanti della città fossero morti misteriosamente lasciando che dietro di loro quei monumenti funerari crollassero e si dissolvessero.