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Finalmente, vinte le ultime incertezze, tre uomini si incamminarono verso la piccola casa di John. Bussarono energicamente alla porta, ma l’unica risposta fu l’eco dei loro colpi. Allora chiamarono John e Magda a voce alta, chiedendo se avessero bisogno d’aiuto. Anche questa volta non ebbero risposta. Sempre più preoccupati, si consigliarono tra loro e alla fine decisero di entrare anche a costo di abbattere la porta.

Ma la porta non era chiusa a chiave. Si precipitarono dentro, e un acuto sentore di putredine li costrinse a battere in ritirata. Aspettarono che l’aria pura dissipasse un poco quel fetore insopportabile poi rientrarono tappandosi le narici con i fazzoletti. Una rapida scorsa al piano terreno non rivelò niente, ma quando, saliti al primo piano, cercarono di entrare in quella che sapevano essere la camera da letto, dovettero spingere con forza la porta: sembrava bloccata all’interno da un peso.

Finalmente riuscirono a entrare, e videro: un corpo giaceva riverso sul letto, l’altro era steso sul pavimento accanto al battente. Probabilmente stava tentando di aprire la porta quando la morte l’aveva colto. Sul pavimento spiccava lo scialle di Magda, vuoto. Il misterioso oggetto che vi era stato avvolto la sera prima era scomparso.

Se le due forme macabre e grottesche erano i corpi di John e Magda, gli abitanti della casa erano morti.Itre uomini guardarono terrorizzati quegli ammassi di indescrivibile materia verdastra nei quali era impossibile riconoscere degli esseri umani, poi scesero le scale fuggendo dalla casa e dai suoi tragici abitanti.

Venne condotta un’inchiesta per appurare le cause del duplice decesso e il verdetto fu: uccisi dal fulmine! Ma molte domande erano rimaste senza risposta. Come aveva potuto il fulmine produrre un effetto tanto orribile? Cosa aveva tra le braccia Magda la Pazza quando era stata vista sulla Vadia? Se non era stato un fulmine, quale poteva essere la causa della mostruosa trasformazione dei corpi delle vittime? Niente di conosciuto poteva spiegare la totale alterazione organica dei due cadaveri.Imedici esclusero nel modo più assoluto che si trattasse di una malattia. Poiché a Isling non si trovava nessun forestiero, venne scartata l’ipotesi di un omicidio. L’unica soluzione possibile fu dunque quella esposta nel verdetto, ma nessuno ne fu soddisfatto.

Un importante giornale pubblicò una serie di articoli dedicati al mistero di Isling, suscitando l’interesse di tutti i lettori, e in particolare quello di Carter E. Graham, conservatore del Museo Ludbury, specializzato in antropologia e archeologia.

2

Il caffè si stava raffreddando nella tazzina, e su un piatto i toast avevano già perso la loro fragranza. Graham si era completamente dimenticato della colazione. Era giunto forse il momento al quale le sue ricerche e gli studi incessanti l’avevano preparato? Rilesse ancora l’articolo che riguardava il mistero di Isling e che era di straordinario interesse per lui.

Carter E. Graham aveva da poco passato la quarantina: la sua faccia, lo sguardo, tutto in lui rivelava una grande intelligenza e un carattere posato. Era di statura media, ma la sua corporatura snella lo faceva sembrare più alto.

Deposto il giornale, lo scienziato rimase a lungo pensoso, riandando a tutti i ricordi che la lettura dell’articolo gli aveva riportato alla mente. Le immagini che prendevano forma nel suo pensiero non sembravano avere molto in comune con i fatti di Isling, erano i ricordi delle ricerche fatte in Egitto, nel Tibet, a Stonehenge, nei paesi della civiltà Maya e nell’isola di Pasqua. Un giorno forse avrebbe reso pubblico il risultato delle sue lunghe ricerche, ma sino a quel momento gli era mancato il tempo di rivedere gli appunti e di coordinarli. Dopo le prime esplorazioni che aveva potuto effettuare grazie a una eredità, si era visto costretto per questioni economiche ad accettare l’incarico di conservatore presso il Museo, limitandosi allo studio delle vestigia romane che di tanto in tanto venivano alla luce in Inghilterra. Adesso quel giornale aveva fatto rinascere in lui l’antica passione per il mistero cosmico che lo riconduceva alle antiche rovine sparse in ogni parte del mondo.

L’articolo che aveva attirato la sua attenzione parlava di un oggetto trovato da alcuni bambini in un cimitero e poi scomparso in modo misterioso. Di tutta la vicenda questa era l’unica cosa che lo interessasse, perché, se quell’immagine era quella che lui pensava, lui avrebbe fatto un gran passo avanti nella soluzione dell’enigma che l’aveva sempre ossessionato.

Possibile, pensava Graham. E proprio a Isling, a meno di centocinquanta chilometri da qui. E dire che sono andato sino in capo al mondo per cercarlo… Però potrebbe anche essere frutto della fantasia di un giornalista. In un fatto come questo, l’immaginazione di solito ha la parte più importante… Bene, c’è solo un mezzo per accertarsene, concluse. Si diresse in fretta al telefono e chiamò la stazione.

«Pronto? A che ora c’è il primo treno per Isling-Westmor?» chiese dando una rapida occhiata all’orologio. «Alle undici e venticinque? Bene, e a che ora arriva?… Alle tredici e quaranta a Westmor? Grazie.»

Mancava un quarto alle nove, quindi aveva tutto il tempo per prepararsi con calma. Telefonò al Museo per avvertire che quel giorno sarebbe stato assente e si affrettò a scegliere gli strumenti che gli sarebbero serviti per quello che intendeva fare e tutto quanto poteva essere utile in un breve viaggio. Prima di uscire di casa guardò attentamente una carta geografica della regione. La memoria non l’aveva tradito: Isling distava pochissimo da Stonehenge.

La sua impazienza era tale che il viaggio gli parve interminabile. Ingannò il tempo cercando di ricordare tutti i particolari venuti alla luce durante gli scavi ai quali aveva preso parte, per trovare un punto di contatto con i fatti di Isling. Alle 13 e 40 il treno entrò puntualmente nella stazione di Westmor. Dopo essersi informato dell’orario dei treni per il ritorno, Graham noleggiò un’auto per arrivare a destinazione. Mentre la macchina correva sulla provinciale, lo studioso tracciò mentalmente il programma di quello che gli conveniva fare. Pensò che sarebbe stato opportuno evitare la curiosità degli abitanti del piccolo centro, almeno finché non fosse sicuro sulla convenienza di effettuare veri e propri scavi.

Alle 14 e 30 la macchina arrivò in vista del paese. Isling era un villaggio di poche centinaia di abitanti, e Graham si rese subito conto che difficilmente il suo arrivo sarebbe passato inosservato. Pazienza! Qualche scellino in più del prezzo pattuito convinse l’autista ad aspettare fino alle otto di sera. Se per quell’ora non avesse ancora finito, avrebbe sempre fatto in tempo a rimandare la macchina e a cercare una stanza per passare la notte a Isling.

Presa la valigia, e senza preoccuparsi di chiedere indicazioni, lo scienziato s’incamminò per la Vadia poiché il giornale spiegava chiaramente che la vecchia arteria aggirava il paese senza attraversarlo. Lungo la strada, Graham passò accanto ai resti calcinati di un incendio recente. Aveva percorso forse mezzo chilometro, quando si trovò di fronte al Cimitero del Diavolo. Notò con interesse che la Vadia s’interrompeva bruscamente ad alcuni metri dall’ingresso, quindi: o il cimitero era più antico della strada o questa era stata interrotta appositamente per permettere di sistemare in quel punto la necropoli. Un’ipotesi valeva l’altra. Sarebbe stato interessante stabilire con certezza quale fosse quella valida, e Graham si ripropose di occuparsene in seguito.

Il pomeriggio era umido e caldo, ma un leggero vento veniva dalle colline. Non appena ebbe varcato la soglia del cimitero, Graham provò una bizzarra sensazione, quasi che con quel gesto lui avesse infranto tutti i legami col resto del mondo. Pensò che la sensazione fosse dovuta all’alta siepe di biancospino che circondava il cimitero isolandolo completamente.