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Alcune delle mogli videro la paura nei suoi occhi mentre la sacerdotessa guardava attraverso la baia verso la capanna del mago pescatore, dove la bambina già si rotolava sulla sabbia.

— Dobbiamo mandarli via? — chiese una.

— I maghi vengono e vanno come piace a loro — disse la sacerdotessa. — Le Dolci Sorelle non scacciano, danno solo vita a ciò che trovano nel mondo.

— Dobbiamo andarcene noi, allora? — chiese un’altra.

— I vostri uomini tornano con le barche vuote o piene? — chiese a sua volta la sacerdotessa. — Il mago vi fa del bene o del male?

— Allora perché — chiese una terza donna — tu ne hai paura?

E la sacerdotessa accarezzò il cristallo di quarzo che portava alla gola e disse di non saperlo.

Alla fine la sacerdotessa non poté resistere oltre. Salì sulla sua piccola zattera e la spinse con la pertica attraverso le acque tranquille della baia fino alla capanna del mago. La figlia del pescatore stava giocando con la sua bambina nel freddo pomeriggio dell’inizio di primavera. Guardò con curiosità la sacerdotessa che veniva verso di lei sulla sabbia coperta di alghe. Anche la bambina alzò gli occhi. La sacerdotessa evitò di fissarli: una nata di dieci mesi non deve essere guardata negli occhi da un estraneo, e guardò invece la madre. Era più giovane di quanto avesse pensato la sacerdotessa, vedendola da lontano. Avrebbe potuto essere la sorella della piccola. I suoi occhi erano brucianti e fieri, freddi e curiosi, e per la prima volta venne in mente alla sacerdotessa che la madre poteva essere più pericolosa della figlia.

Ma era venuta per vedere il mago, non le due donne, e la sacerdotessa delle Dolci Sorelle andò alla porta della capanna, scostò la tenda ed entrò.

— Chiudi la tenda! — sbraitò il mago. — Vuoi farmi diventare cieco, con quella luce improvvisa? — Quando la tenda fu a posto, il pescatore dagli occhi rosa riaprì le palpebre. — Ce ne hai messo di tempo per venire — disse.

— Ho bisogno che il tempo sia bello per attraversare la baia — rispose lei. — Viaggio raramente.

— Voi streghe che usate il sangue morto avete poca vita dentro.

— Dalla morte viene la nuova vita — rispose lei. — E dal sangue vivo viene la vecchia morte.

— Forse è così. Non mi interessa molto. Voi donne non ci insegnate mai i vostri riti, e puoi stare sicura che è uno sciocco quello che insegna a una donna i nostri.

Lei si guardò intorno e vide che la capanna era meglio fornita di libri che di attrezzi da pesca. — Dove ripari le reti? — chiese.

— Non si rompono mai — rispose lui. — Un gioco da ragazzi.

— La bambina deve morire — disse la sacerdotessa.

— Davvero?

— Una bambina nata al decimo mese è troppo potente per restare al mondo. Dovresti saperlo.

— Non ho mai studiato la scienza delle nascite e delle proibizioni — confessò il mago. — Non è una cosa che serva molto a un uomo. Ma ci darò un’occhiata, adesso che me l’hai detto.

— Sono venuta a farlo per te.

— No — disse il mago.

— Non puoi usare il sangue. Ti consumerebbe.

— Non intendo usare il sangue. Non voglio che la bambina muoia.

— Le mie lacrime sono rimaste all’infinito sulla pomice.

— Non è mio diritto decidere. Il padre della bambina stende la sua protezione sulla ragazza e sulla piccola. Entrambe vivranno.

— Un mago che chiama il pesce dal mare, e lascia che il padre della bimba gli impedisca di agire per la salvezza del mondo.

— La madre della piccola le vuole bene.

La sacerdotessa vide che lui non intendeva ascoltarla, così non disse altro e se ne andò. Mentre usciva, guardò dove la madre e l’antica bambina avevano giocato. Erano sparite. Poi dietro di sé sentì la voce della ragazza, e la sacerdotessa seppe che aveva sentito tutto quello che era stato detto.

— Può una donna usare il sangue vivo? — chiese la ragazza.

La sacerdotessa meditò sulla domanda, ed ebbe un brivido. — No — disse, e si allontanò in fretta. E per tutto il tragitto attraverso la baia si maledì per essere andata a vederli: poiché la ragazza le aveva rivolto la domanda che nessuna donna con un cuore puro dovrebbe fare, e la sacerdotessa temeva che la ragazza fosse sapiente abbastanza per sapere che la sua risposta era una bugia. C’era del sangue vivo che una donna poteva usare, ma nessuna donna che non fosse una vipera l’avrebbe mai usato. Fate che non lo usi, pregò tutta la notte, lavandosi e rilavandosi i capelli nell’acqua della marea che le bagnava la gonna. Perdonatemi per aver sollevato questa possibilità nella sua mente, e disfate ciò che ho fatto oggi.

Il mago diligente

Avvertito dalla strega, Sleeve osservò la bambina con più attenzione. Aveva avuto poco a che fare coi bambini nel corso della sua vita, perciò fino ad ora non aveva fatto caso a quanto velocemente la piccola imparava, a quanto sveglia pareva essere la sua mente. Così andò a cercare i passi sui libri e vi meditò sopra, cercando di capire cos’era che la strega temeva tanto. Gli accenni erano vaghi e oscuri, e Sleeve si sentì sempre più frustrato dai libri. Parlavano pochissimo della magia delle donne, perché solo gli uomini scrivevano e leggevano quelle opere. Una bambina nata al decimo mese… era evidente che avevano paura di lei, e dicevano che doveva morire appena nata, e il suo sangue versato su vegetazione decomposta. Ma perché la bambina fosse così pericolosa, non lo spiegavano.

Nel frattempo, la bambina cresceva. Malgrado le sue paure, Sleeve si accorse che gli piaceva la piccola; cosa ancora più sorprendente, gli piaceva anche Asineth. Non solo la ragazza sopportava la prigionia, ma sembrava le facesse bene. La sua abitudine di pescare con lui a torso nudo era fastidiosa, dal momento che aveva evidentemente lo scopo di screditarlo agli occhi dei pescatori, ma adesso che aveva la figlia sembrava vivace e attiva e l’odio abbandonava il suo viso per ore, a volte per giorni interi. Asineth non era più amichevole di prima verso Sleeve, ma chiacchierava con la bambina.

— Come la chiamerai? — chiese Sleeve.

— Che sia il padre a darle un nome — rispose lei freddamente.

— Non lo farà mai.

— Allora che rimanga senza nome — disse lei. Questo fu il solo segno che non aveva dimenticato il male che le era stato fatto. Per quanto l’amore per la figlia la rallegrasse, non volle darle un nome.

— È giusto punire una bambina a causa dell’odio per il padre? — chiese Sleeve. Poi sentì le sue parole, e si rese conto che era una domanda che la figlia di Nasilee avrebbe potuto rivolgere a lui, e preferì lasciar perdere l’argomento.

La visita della strega fu la sua rovina, anche se senza dubbio la donna pensava che la sua missione fosse stata un fallimento. Sleeve si era trovato bene lì, sulla riva del mare. Anche se Asineth non gli parlava quasi mai, e i pescatori lo evitavano, tuttavia quella vita era la meno solitaria che avesse mai condotto. La piccola flotta di barche che usciva con lui all’alba rappresentava un conforto. Anche se la sua fragile pelle non poteva sopportare la luce del sole, per cui rimaneva sempre vestito agli occhi degli altri pescatori, tuttavia c’era un senso di amicizia in questo: che le sue braccia sapevano ciò che sapevano le loro braccia, che lui viveva come vivevano loro, con l’odore del pesce e la schiuma salata e la luce del sole sul legno della barca. Per la prima volta nella sua vita, si sentì unito ad altri uomini, e anche se loro non potevano uguagliarlo nella mente, erano tuttavia fratelli nella carne. Anche Asineth e la bambina erano un conforto; quasi era giunto a comprendere il sentimento della casa, che aveva sempre disprezzato perché rendeva gli uomini deboli.

Bene, fece diventare debole anche lui. Debole… o almeno incauto. Non che non fosse attento, in alcune cose. Leggeva tutto il giorno fino a quando gli occhi gli facevano male, cercando di scoprire la minaccia di un bambino nato a dieci mesi. Poi dormiva, lasciando che la sua mente studiasse ancora, in sogno. Usciva prima dell’alba lasciando la madre e la bambina che dormivano, e la pentola con il pesce che bolliva adagio sul fuoco. Adesso andava in mare da solo, gettava e tirava le reti da solo. Durante tutto il tempo, si immaginava di studiare il problema. In effetti ci pensava solo di tanto in tanto. Per la maggior parte del tempo pensava alle cose di un pescatore. Qualche volta si chiedeva perfino se non sarebbe stato meglio per lui nascere pescatore che vivere come aveva vissuto, seguendo il sangue del Cervo.