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Il Possessore ordinò ai muscoli di agire, e i muscoli agirono. Il dominio era completo. Ma i movimenti sarebbero sempre apparsi torpidi, secondo i criteri umani, a causa del Possessore e della sua ereditarietà. La nuova entità che era stata Andy Deeping attraversò la stanza con una lentezza che non era infantile, protese una mano, girò la maniglia e aprì la porta. Uscì nel corridoio e si fermò per un momento a riflettere.

La sopravvivenza comportava la propagazione e l’assimilazione, ma a partire da quel momento non sarebbe potuta essere rapida, annientatrice, sicura. La possessione, per il futuro, doveva venire realizzata per mezzo di ciò che era già Posseduto, e non poteva venir compiuta rapidamente. Era una disgrazia, pensò il Possessore, che il primo fosse stato un bambino, dotato di forza limitata. Il ricorso alla forza era da escludere: doveva servirsi dell’astuzia. La madre… Ma la madre non era sola e gli altri, inevitabilmente, erano nemici. Fino a quando, con il tempo, non fossero sottomessi a loro volta.

Per il momento era necessario allontanarsi da loro, fuggire. In quella casa c’era pericolo, ma fuori ci sarebbe stata la sicurezza e la possibilità di preparare i piani. Il freddo non costituiva un ostacolo, ma il corpo avrebbe avuto bisogno di combustibile.

Ciò che sapeva il Possessore era quanto aveva saputo il bambino; e il bambino, giocando in cantina durante la tempesta di neve, aveva visto la dispensa. Domanda e risposta: questa cosa era nutriente, buona, quest’altra no. Un mezzo per trasportare… c’era un vecchio cesto dietro la porta. Le piccole braccia si protesero e lo tirarono già, lo riempirono con la roba già scelta.

Poi quello che era stato Andy Deeping si diresse, a passo un po’ rigido, verso la porta della cantina, tolse con difficoltà le sbarre di ferro, alzò il paletto, e uscì nella notte buia e gelida.

PARTE SECONDA

IV.

La prima delle due sorelle a svegliarsi fu Jane Winchmore. Si levò a sedere sul letto e tirò la cordicella della lampada accanto al letto, prima di ricordare che non funzionava, e si sentì crescere dentro la paura. Fuori c’era la luna, ma Diana aveva voluto chiudere le tende. La stanza era buia, e lei era conscia dell’oscurità della casa, tutto intorno a lei.

Diana, dall’altro letto, esclamò: «Mio Dio? Cosa c’è?»

La voce nota, la certezza di non essere sola, fu un sollievo. Gettò i piedi giù dal letto, e andò ad aprire le tende. Entrò abbastanza luce per consentirle di trovare le pantofole e la vestaglia.

«Non lo so,» disse. «Ma è meglio che vada a vedere.»

«No! Resta qui! Ho paura.»

Jane si accostò al letto di Diana, le prese le mani. Quando le urla cessarono, disse:

«Vado a vedere cos’è successo. Tu stai qui.»

«Qui da sola non ci resto. Vengo con te.»

C’erano altri sul ballatoio, Douglas Poole ed Elizabeth Grainger; George Hamilton scese rumorosamente le scale dal piano di sopra. Douglas era uscito con una lampada, e perciò potevano vedersi e guardarsi intorno. Lei gli chiese:

«Cos’è successo?»

«Non so. Era Ruth Deeping. Una crisi isterica, immagino. Grainger è giù con lei, e sembra che sia riuscito a calmarla.»

Il bambino, pensò Jane. Si sentì smarrita. La perdita che lei aveva subito non l’aiutava a capire quel dolore, così diverso, tanto più appassionato: e poi, lei non aveva mai avuto figli. Qualche volta, lo sapeva, le donne impazzivano per il dolore anche se, sicuramente, doveva trattarsi di donne più instabili di quanto le era apparsa Ruth Deeping. Guardando nella tromba delle scale, vedeva Grainger che sorreggeva Ruth e parlava con Hamilton. Parlava a voce bassa che non arrivava fin lassù, sul ballatoio. Hamilton disse qualcosa, e Grainger portò Ruth nella saletta che fungeva da bar. Poi Hamilton li chiamò, tutti.

«Credo che fareste meglio a scendere.»

Si radunarono nel salotto. Nel caminetto ardevano ancora delle braci, e Mandy cominciò a buttarvi sopra delle fascine, attizzando il fuoco. Non faceva freddo: anche in quella stanza c’erano i termosifoni: ma la prospettiva di un bel fuoco era rincuorante. Marie stava accendendo le due grosse lampade a petrolio.

Hamilton disse: «Ci siamo tutti?»

Deeping cominciò: «Ruth…»

«Selby le sta facendo bere un brandy, nell’altra sala. Per il momento la lascerei con lui. Ha avuto un trauma tremendo.» Il suo sguardo si posò sulla figuretta del bambino, ritto accanto al padre. «Mandy, credo che il fuoco abbia preso. Ti dispiace portare di là Steve e fargli bere qualcosa di caldo?»

Quando i due furono usciti e la porta si fu chiusa alle loro spalle, Deeping disse:

«Per amor di Dio, cos’è successo? Di cos’ha paura adesso, mia moglie? Non…»

«Lui non c’è più.» George parlava come se cercasse di convincere se stesso, non soltanto gli altri. «La bara è vuota. E anche la stanza.»

«Non è possibile!»

Deeping fissò Hamilton per un momento, si girò ed uscì. Lo sentirono scendere correndo le scale, verso la cantina. Hamilton chiuse la porta, vi si appoggiò contro.

«Non ha senso,» disse. «Non vi pare? Un cadavere non può sparire in quel modo. Deve essere in qualche posto.»

Douglas disse: «In tal caso, può darsi che non fosse morto. Catalessi. Non ci sono stati casi di persone che sono state messe nella bara, e poi si sono riprese?»

«Sì,» fece Hamilton. «L’ho sentito dire. Badate, Selby ha detto che era morto, e lui dovrebbe intendersene. E a me sembrava morto. Ma potremmo esserci sbagliati. Il problema è: dov’è, adesso? Se il bambino ha ripreso i sensi, si è trovato lì disteso sulla tavola, logicamente avrebbe dovuto correre di sopra da sua madre, no? O almeno gridare. Ma di lui non c’è traccia. A quel che ho capito io, Ruth si è svegliata, ha pensato di scendere a vederlo. E non ha trovato niente.»

Elizabeth disse: «Può darsi che il bambino sia molto sconvolto. Forse non sapeva quel che faceva. È scappato a nascondersi in qualche angolo.»

«Sì,» disse Hamilton, «è l’unica spiegazione che cominci a sembrarmi ragionevole. Ecco perché vi ho pregati di scendere, tutti. Dovremo frugare la casa finché non l’avremo trovato. Tutti gli armadi, sotto ai letti. Io frugherò il nostro piano, e Peter la mansarda. Voi occupatevi del primo piano. Poi andremo tutti a dare un’occhiata al seminterrato.»

Diana rimase vicino a Jane, e lei rimase accanto a Douglas. Elizabeth, che frugava il pianterreno come loro, fece il giro da sola. Consapevole della propria debolezza e del proprio disagio, Jane provò un vago risentimento per la calma e l’efficienza dell’altra donna. Era difficile immaginare qualcosa che potesse sconvolgerla. Si rimproverò quel pensiero poco caritatevole, e scostò furiosamente gli abiti appesi nel suo armadio-guardaroba.

Diana obiettò: «Non può essere lì dentro.»

«Dobbiamo guardare dappertutto.» Notò il tono tagliente della propria voce e disse, più dolcemente: «Siamo proprio sotto la stanza dei Deeping. Il bambino può avere sbagliato piano e poi, spaventato, può essersi nascosto nell’armadio.»

Non c’era traccia del bambino. Scesero e vennero raggiunti dagli altri. Hamilton disse, energicamente:

«Bene, di sopra non c’è, e qui al pianterreno neanche. Ha controllato Mandy. Resta soltanto la cantina. C’è quella grande stanza, dopo la lavanderia, con tutte le casse e il resto. Può darsi che si sia nascosto lì. Leonard vorrà aiutarci, immagino, e anche Douglas può dare una mano, ma non abbiamo bisogno delle signore. Potete rimanere qui, o ritornare a letto, come preferite.»