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«Era questo che intendeva George, immagino.»

«Non si è fatta niente, vero? Niente di rotto o di slogato?»

«No, niente.»

Douglas le tenne il braccio per un momento con la mano guantata, poi la lasciò. Per lei fu un sollievo. Non che corresse pericolo di un approccio romantico, in quel momento e in quelle circostanze, pensò, ironicamente. Ma l’aveva turbata un po’ il pensiero che Hamilton li avesse mandati fuori insieme. Diana, che ne era in parte responsabile per la sua decisione di andare con i Grainger, la sera prima aveva detto la sua in proposito. Era stato un commento solo in parte malizioso. Le aveva chiesto, seriamente: «Ti trovi bene con lui, vero? Voglio dire, a parlare.» La frase, pensava Jane, poteva essere tradotta così: «Sei stata fortunata a trovare un tipo noioso come te, quassù.»

Era vero che lei lo giudicava una compagnia simpatica e riposante. Proprio per questo, considerava importante evitare la possibilità che subentrasse qualcosa d’altro. Aveva vissuto insieme al proprio corpo abbastanza a lungo per sapere che molti uomini lo trovavano fisicamente attraente. C’era la probabilità che Douglas, libero a quanto pareva, la pensasse allo stesso modo. A meno che, considerando che in genere gli uomini sui trentacinque anni mostravano di avere qualche legame, o almeno di averlo avuto, lui si disinteressasse delle donne. Jane si stupì di provare una lieve fitta di disappunto, quando le passò per la mente quella possibilità.

Be’, era normale. Una donna preferiva che un uomo fosse maschio, con tutto ciò che questo comportava, anche se non era interessata personalmente. E la sola idea di essere interessata a lui, o a qualunque altro uomo, era deprimente.

La morte di Harry, dopo una malattia così fulminea, l’aveva inevitabilmente stordita. Per un paio di mesi le era parso di essere immersa in una nebbia. Ma nel frattempo aveva capito ciò che le succedeva, e che questo avrebbe avuto un limite. Il trauma sarebbe passato; la vita sarebbe ridiventata normale. Ma non aveva previsto che dopo lo stordimento sarebbe venuta l’apatia attuale, il pensiero insistente, in fondo alla sua mente, che tutto era vano, non c’era nulla per cui valesse la pena di lavorare e di lottare, poiché la vita era sopportabile solo se la si viveva alla giornata.

I suoi rapporti con l’altra gente erano un’estensione di quella filosofia. Poteva tollerare gli altri, purché non pretendessero niente. Talvolta, anzi, la compagnia degli altri era preferibile alla solitudine. E quando il legame era semplicemente di parentela… Jane non aveva accolto con risentimento l’energico ritorno di Diana nella sua vita: aveva accettato passivamente le sue premure e, alla fine, si era lasciata persuadere ad affrontare quel viaggio. Non si era mai compiaciuta né pentita di quella decisione. Lì aveva sciato un po’, oziato molto, aveva bevuto più di quanto avrebbe fatto in Inghilterra, aveva parlato con gli altri e li aveva ascoltati. E tutto questo non era valso a modificare ciò che provava.

Per un po’ si era sentita commossa dalla morte del bambino. Era l’ingiustizia che l’aveva sconvolta: il fatto che quel bambino, apparentemente in buona salute, con ogni motivo di vivere, fosse stato privato della vita, che per lei era un peso, un tran-tran necessario e indesiderato. Poi era passato, e la vaga possibilità che il bambino fosse ancora vivo non aveva riacceso la commozione. Prendersi a cuore la sorte del piccolo avrebbe significato impegnarsi, e lei sapeva che non c’era nulla che ne valesse la pena. Se lui fosse vissuto, avrebbe commesso delle stupidaggini, avrebbe compiuto scelte che, nobili od egoistiche, avrebbero portato all’infelicità o alla noia. Non esistevano alternative.

Tornarono in direzione dello chalet, e il vento dell’est era pungente contro il suo viso scoperto. In pigiama, pensò, e scalzo. Non poteva essere ancora vivo, là fuori. La ricerca, come tutto il resto, era uno spreco di tempo e di energie. Sarcasticamente, era lieta che fosse anche scomoda.

Douglas, che era sul pendio, un poco più in alto di lei, disse:

«Fra poco farà giorno.»

Lo sperone montuoso, davanti a loro, era delicatamente sfumato di rosa, e in alto le stelle impallidivano. Sui pendii lucenti, Jane vedeva altre figure: due insieme più a valle dello chalet, tre più in alto e più lontano. La stanchezza e la mancanza di sonno l’avevano stordita un po’.

«Douglas,» disse.

Douglas girò la testa verso di lei. «Sì.»

«C’è qualcosa che valga la pena di fare?»

Era una domanda ridicola, e Jane se ne pentì subito dopo averla formulata. Lui ne sarebbe rimasto sbalordito, oppure imbarazzato. Si sentì invadere da un’ondata di disperazione.

Ma lui disse, dopo aver riflettuto per qualche istante: «È diverso, credo, secondo le persone, no? Per me. Ecco, attenersi alla realtà, credo. E non cedere ad altre cose. Soprattutto questo, penso.»

Bene, aveva avuto esattamente la risposta che poteva aspettarsi da un avvocato di provincia, scapolo e in ascesa. Un uomo serio, solido. Come Harry, in un certo senso. Oh, Dio, pensò. Fa tanto freddo. E sono così stanca.

Poiché lei non aveva risposto, Douglas proseguì: «Non credo che le reazioni di una persona possano essere di molto aiuto ad un’altra. Anche le reazioni sono diverse, secondo i momenti. È questione di periodi, di fasi. Quando uno si trova in una brutta fase, è impossibile immaginare di venirne fuori… non si può credere che esista una via d’uscita. Ma alla fine se ne esce sempre. È più o meno una certezza.»

Con triste ironia, Jane pensò: cerca di essere gentile. Compiange l’infelice vedova. Crede che sia addolorata per Harry, e si sforza di essere comprensivo. Disinteressatamente comprensivo. Per un momento, pensò di spiegargli che non era così, ma vi rinunciò. Le spiegazioni erano inutili, inutili come le domande formulate su di un pendio montano innevato nell’alba gelida.

Disse: «Ecco laggiù George e Leonard Deeping, no? Sembra che tornino verso lo chalet. Andiamo anche noi?»

Nessuno aveva trovato niente. Mentre mangiavano la colazione preparata da Mandy — porridge con melassa, e poi grosse fette di prosciutto con patate fritte — ne parlarono. Hamilton disse:

«Penso che abbiamo cercato dappertutto, entro una distanza ragionevole. E Peter non ha trovato nessuna traccia sui pendii più lontani. Possiamo tornare a uscire fra un po’, ma non ho molte speranze.»

Grainger vuotò la tazza di caffè e se ne versò dell’altro.

«Siamo stati fuori più di due ore,» disse. «Con il tempo che abbiamo impiegato a frugare la casa e il resto, sono più di tre.» Diede un’occhiata a Deeping. «Mi dispiace, ma anche se non era morto ieri, non può essere vivo, adesso. È una certezza, dal punto di vista medico. E del resto, ieri era morto.»

Deeping non disse nulla. Mangiava il cibo che aveva davanti, impassibile. Stoicismo? si chiese Jane. O insensibilità? O forse né l’uno né l’altra, ma la dolorosa certezza che la morte del bambino poteva diventare un elemento centrale, ineluttabile della sua vita futura insieme ad una donna privata della sua ragione di vita e quindi, poiché non aveva più nulla da perdere, pronta ad odiare? Jane interruppe bruscamente quelle ipotesi. Un crescente cinismo circa le motivazioni degli altri era uno degli effetti secondari più deprimenti del riconoscimento di una assenza di motivazioni per se stessi.

Douglas disse: «Questo non spiega perché nessuno di noi ha trovato niente.» Anche lui lanciò un’occhiata a Deeping e proseguì, abbassando la voce: «Presumeremo che Andy sia morto. Mi sembra ragionevole. Ma anche così, dov’è? Non è in casa, e fuori non c’è… nelle immediate vicinanze, almeno. E allora dove? E come?»

«Potrebbe essere fuori,» disse Hamilton. «È facile farsi sfuggire qualcosa, nella luce che precede il levar del sole. Per esempio, non si riesce a distinguere se il ghiaccio è stato smosso.»