Cercarono per più di mezz’ora, ma fin dall’inizio era stato evidente che si trattava d’una impresa disperata. La coltre di neve si stendeva nuda e vuota davanti a loro, liscia tranne nei punti in cui era segnata dalle orme dei passi e dalle scie degli sci, e dai detriti trascinati dalla valanga. Alcune impronte erano piccole, e avrebbero potuto essere quelle del bambino: ma naturalmente, era stato da quella parte che i due avevano giocato, prima che Andy fosse colpito dall’attacco. Da allora non aveva più nevicato.
Ruth parve riconoscere l’inutilità della ricerca e quando, alla fine, Grainger le si avvicinò prendendola per un braccio e le disse dolcemente «È ora che rientriamo, credo,» lei non protestò. Tornarono in silenzio allo chalet. Mandy li aspettava nell’ingresso, e insieme a Elizabeth condusse Ruth di sopra. Poi Grainger disse:
«Spero che questa volta si farà un buon sonno. Ma è meglio che qualcuno rimanga con lei. Potrebbe compiere ancora qualche gesto inconsulto.»
«Ci penserà Mandy,» disse Hamilton. «Al resto, qui, provvedo io.» E aggiunse, rivolgendosi a Deeping: «Mandy la metterà nella nostra stanza, per il momento… Ho pensato che fosse meglio. Spero che sia tutto a posto.»
«Sì, naturalmente,» disse in fretta Deeping.
Hamilton diede un’occhiata agli altri ospiti: «Credo che a tutti voi farebbe bene un po’ di riposo.»
«E lei e Mandy?» chiese Douglas.
Hamilton rise. «Qui si lavora tutto il giorno. In questo genere di attività, si impara a fare a meno di dormire.»
Alcuni decisero di andare a letto; altri rimasero alzati. I Grainger si divisero: lui pensava che, essendo ormai giorno, era assurdo cercare di dormire; lei, sbadigliando come una grande gatta elegante, dichiarò che il sole non la tentava, quando aveva dormito meno del necessario. «Sì,» le disse Grainger, «vai a rimetterti in forma.» Lei sorrise, gli batté delicatamente una mano sulla guancia, e salì con grazia la scala.
Diana, che evitava ostentatamente di guardare Grainger, disse che anche lei riteneva inutile tornare a letto. Non era il caso di preoccuparsi, pensò Jane. Diana amava i flirt e, ne era sicura, sapeva anche tenerli saldamente in pugno; mentre Grainger, per quanto fosse un tipo galante, non si sarebbe mai allontanato molto da quella sua moglie decorativa ed efficiente. In un primo momento decise di rimanere alzata, ma poi cambiò idea quando si accorse che sarebbe rimasto alzato anche Douglas. In parte, non le andava l’idea che le venisse attribuita una manovra simile a quella di sua sorella; ma soprattutto si sentiva imbarazzata al ricordo della domanda che gli aveva rivolta quando erano fuori insieme sulla neve, e della risposta di lui, benintenzionata e goffa.
Si svestì in fretta e si mise a letto. Era un piacere voluttuoso sentirsi addosso il tepore e il peso delle coperte; e poiché si sentiva anche invasa da un’ondata di sonnolenza e di stanchezza, pensò che sarebbe riuscita ad addormentarsi. Ma, come aveva sospettato, il caffè l’aveva svegliata del tutto. Più volte scivolò sull’orlo dell’oblio, per poi ritrovarsi completamente desta. Quando guardò l’orologio e si accorse che era già passata quasi un’ora da quando era tornata a letto, riconobbe l’inevitabile, si mise seduta e prese il libro.
Dall’esterno giungeva di tanto in tanto qualche rumore: qualcuno che si muoveva. Poi dei passi, davanti alla sua porta, diretti verso il bagno. Il libro che stava leggendo era del genere che le piaceva, ma che di quei tempi sembrava una rarità: parlava di gente simpatica in una prosa piuttosto gradevole. Jane giudicò un po’ strano il fatto che le interessassero le azioni di quei personaggi fittizi, non quelli veri. Ma forse i fittizi erano più simpatici: e in quella categoria collocava anche se stessa.
All’inizio non fece molto caso, quando fuori l’attività crebbe e diventò più rumorosa… qualcuno che alzava la voce, che correva. Ma poco a poco, un senso di urgenza si comunicò anche a lei. Scese dal letto, infilò vestaglia e pantofole e aprì la porta. Douglas stava salendo le scale, e lei lo chiamò.
«Cosa c’è? Hanno trovato il bambino?»
Di solito, Douglas aveva qualcosa del ragazzo — snello e bruno, con la pelle chiara ed i capelli ondulati — e anche adesso, sebbene fosse teso, l’impressione non era diversa. Sembrava ancora un ragazzo, ma preoccupato. Quando Jane lo chiamò si fermò, alzò la testa.
«No,» disse. «Non hanno trovato il bambino. Ma adesso abbiamo perso Ruth.»
V.
Ruth non volle saperne di spogliarsi di nuovo, tuttavia Mandy riuscì a convincerla a sdraiarsi sul letto, con una coperta addosso. Poi accostò una sedia al letto e parlò con lei. Non aveva mai avuto difficoltà a parlare con la gente: George aveva pensato che fosse una qualità preziosa, quando avevano deciso di metter su una pensione. Il segreto, benché lei non se ne rendesse conto, stava nel fatto che aveva pochissima vanità, e sapeva parlare di se stessa senza imbarazzo né aggressività. E non attendeva mai l’approvazione e la disapprovazione del suo interlocutore. Così parlò di sé, e di George, e della vita strana ma piacevole che avevano vissuto insieme. Ruth l’ascoltò — era difficile capire con quanta attenzione — e alla fine disse:
«Naturalmente, non avete figli.»
Il tono era amaro. Mandy esitò prima di rispondere. Non aveva parlato dei dodici anni della sua vita che avevano preceduto l’incontro con George. E c’erano modi e modi di perdere le persone care… parlarne non sarebbe servito a consolare quella poveretta. Scosse il capo.
«No, non abbiamo avuto figli.»
Qualcosa, nella sua voce, l’aveva tradita. Ruth disse, bruscamente:
«George è il suo primo marito?»
«No,» rispose lei, riluttante. «Tutti e due eravamo al secondo matrimonio.»
«E figli?»
«George no.»
George no, infatti: l’idea di Phyllis con dei figli sarebbe stata ridicola o sinistra. La povera Phyllis era stata creata per i balli nella sala mensa degli ufficiali della RAF in tempo di guerra, e per i bombardamenti e le incursioni, nel coraggioso riconoscimento che non c’era futuro. Che cosa aveva detto George? «Tre fidanzati morti… ma la guerra doveva finire, prima o poi.»
«Ma lei,» disse Ruth, «lei aveva avuto un figlio dal primo matrimonio?»
«Avevo tre figli,» disse Mandy, e come sempre si rese conto di avere usato l’imperfetto.
«E che ne è stato di loro?»
«Sono stati affidati al padre.»
«E lei non poteva opporsi?»
«No.» Mandy ci pensò. «Onestamente, no.»
«L’onestà c’entra per qualcosa, in una cosa simile?»
«Credo di sì. Spero di sì. Per loro era la soluzione migliore.»
«Sembra che non le sia dispiaciuto molto.»
In quella frase c’era non meno incredulità che disprezzo. Mandy disse: «Erano felici, molto affezionati al padre. E molto americani. George ed io… ci siamo divertiti, ma non direi che sia stata un’esistenza stabile, l’ambiente ideale per allevare dei bambini.»
«Parla in tono molto oggettivo.»
«È tanto orribile? Naturalmente, c’era anche qualcosa d’altro. Io ero in torto. Ero scappata con uno straniero. Può immaginare un tribunale americano disposto ad affidarmi la custodia dei figli, in simili circostanze?»
Vi fu un silenzio, poi Ruth disse:
«Purtroppo, credo di non essere in grado di capirla.»
«No,» disse Mandy. «D’altra parte, neppure io riesco a spiegarmi bene.»
Pensò che Ruth avrebbe continuato, ma non fu così. In un certo senso, sembrava che quella totale incapacità di comprensione e di comunicazione fosse un sollievo per lei. Il suo volto, quando si riappoggiò al cuscino, era teso e infelice, ma un po’ meno di prima, pensò Mandy. E dopo qualche istante il suo respiro diventò più regolare, più profondo, e Mandy si accorse che si era assopita.