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«Prende una birra?» Douglas annuì. Hamilton parlò a un cameriere, troppo rapidamente perché Douglas potesse seguirlo, con la sua conoscenza zoppicante del francese. «Niente male come panorama.»

«È imponente.»

«Qualche volta queste montagne fanno impazzire, ma in realtà sono bellissime. Com’è andato il suo volo?»

«Tranquillo.»

«Meglio. Io preferisco il treno e la nave. Gli altri mezzi mi fanno paura. Rimane con noi due settimane, esatto?»

«Sì.»

«Io non lo so mai; è Mandy che tiene i registri. Lei ha sciato molto?»

«Praticamente niente. Un paio di settimane durante il servizio militare. Eravamo di base in Austria. Da allora non ho più sciato.»

«Qui abbiamo diversi pendii facili. E ci sono altri principianti, così non sfigurerà troppo. Abbiamo della gente simpatica, in questo momento. Le piacerà.»

Douglas disse, educatamente: «Ne sono certo.»

Il cameriere portò da bere. Dalle montagne innevate scendeva una leggera brezza, ma al sole faceva caldo. La birra fu ben accolta. Era molto chiara, ma sorprendentemente forte.

«Fanno una birra robusta, da queste parti,» disse.

Hamilton sogghignò. «È meglio ancora con un bicchierino di cognac, non pensa? È un po’ leggera, da sola.»

«Be’,» fece Douglas. «Grazie per il consiglio.»

«Su allo chalet, noi ci teniamo molto a creare un’atmosfera familiare,» disse Hamilton. «Dato che ci sono solo pochi ospiti, e siamo molto isolati, in fondo è necessario. Le dico subito chi ci troverà. I Deeping, per cominciare. Lui è in affari… ha qualcosa a che fare con i tessuti. Hanno con loro un paio di bambini, ma non danno fastidio.»

Douglas scosse il capo. «A me i bambini piacciono.»

«Anche a me, purché si comportino bene. Comunque, i Deeping si fermeranno ancora per un paio di giorni. Poi ci sono i Grainger. Lui è un chirurgo: specialista di chirurgia plastica. Aggiusta i nasi, rialza seni cascanti. E ne è molto soddisfatto. La signora è molto cara. Poi ci sono due sorelle. Mrs. Winchmore e Miss Blackstone. Ma la signora è vedova. Molto simpatica, tranquilla. Ma la più giovane è piena di vita. Una bella compagnia, nel complesso.»

«Sì.»

Hamilton finì di bere e respirò pesantemente. «Come dicevo, ci teniamo a creare un’atmosfera familiare. Quasi sempre ci riusciamo.»

«Ne sono convinto, Mr. Hamilton.»

«George. George e Mandy.» Il sorriso era nel contempo gaio e perentorio. «Ci teniamo molto.»

«Ma certo. Io sono Douglas.»

Tra sé, aveva qualche dubbio su quel programma accelerato di familiarità; e per un momento si chiese se non era stato un errore venir lì. Si era arreso all’esigenza urgente di un periodo di riposo: ma avrebbe potuto scegliere qualcosa d’altro. Magari una crociera, a bordo di una grande nave, dove uno poteva sottrarsi alla gente, se lo desiderava. Ma ormai era lì. E doveva adattarsi.

«Bene,» disse Hamilton. «Ormai dovrebbero avere scaricato la roba. Se è pronto, possiamo andare.»

La velocità con cui Hamilton guidava il minibus con le catene sulla strada di neve, pensò Douglas, non era fatta per aggiustare le gomme. E neanche per dargli un senso di tranquillità. Appena fuori dal villaggio la strada, che era poco più di un sentiero, seguiva un dosso della montagna: non era mai molto ampia, e spesso era anche troppo stretta. Lo strapiombo era dalla parte di Hamilton: Douglas scorgeva di tanto in tanto il fondovalle, dove il Rodano, che lì era un ruscello minuscolo, scorreva tortuosamente tra i piccoli campi. Il pulmino sobbalzava, e Douglas si afferrò al bordo del sedile.

«Andare in su è uno scherzo,» spiegò allegramente Hamilton, «purché si affronti la salita con grinta. Il guaio è scendere. Un tale è volato nel precipizio, l’anno prima che venissimo qui noi. Tirarono fuori lui e la macchina da un burroncello, circa duecentocinquanta metri più sotto. L’identificazione fu piuttosto difficile per tutti e due.»

«Lei è qui da molto?»

«Tre anni.» Hamilton staccò una mano dal volante per battersela sul petto. «E da due anni i miei vecchi polmoni si sono ripuliti. Prima fischiavo come un flauto.»

La strada curvò di colpo, e nello stesso tempo si restrinse pericolosamente. Sulla strada c’era una sporgenza di roccia, sulla sinistra dei cartelli coperti di neve: poi, un vuoto agghiacciante. Douglas sentì la parte posteriore del pulmino scarrellare, quando i pneumatici, dietro, non morsero più il fondo stradale. Ma fu solo un momento. Hamilton corresse l’assetto con esperienza e sicurezza. Ma, pensò Douglas con un certo risentimento, non era venuto in vacanza in Svizzera solo per farsi spaventare a morte.

«Non può affrontare la salita con grinta andando un pochino più adagio?» chiese.

Hamilton non rispose subito. Era impegnatissimo a cambiare per affrontare un tratto di strada ancora più ripido. Quando l’ebbe superato, disse:

«Lì bisogna proprio correre. Altrimenti si rischia di restare bloccati, anche con le catene. Quella svolta è una maledetta scocciatura. Diciotto mesi fa ci fu una frana, e ci volle una settimana per sgombrarla. Ci è costato parecchio.»

«Quindi vivere tra le Alpi presenta qualche svantaggio.»

La strada cominciò a diventare quasi pianeggiante, e Hamilton rallentò.

«Parecchi,» disse. «Ormai siamo quasi arrivati.»

Svoltarono ad un’altra curva brusca, e Douglas vide la casa. Era nella parte alta di una conca che qualche remoto cataclisma geologico aveva scavato nel fianco della montagna. La strada vi saliva zigzagando: e non proseguiva più oltre.

«Siete proprio sistemati al capolinea, allora?» chiese Douglas.

«Durante l’inverno, sì. In estate, portano il bestiame al pascolo ancora più in alto. Ci sono due baracche di mandriani, e uno chalet privato. Adesso sono tutti chiusi, naturalmente.»

Era un tipico chalet svizzero, tutto in legno, con un’ampia terrazza al piano terreno e piccoli balconi ai due piani superiori. Da una parte c’era un paio d’altre costruzioni, e un enorme mucchio di tronchi tagliati tra quelle baracche e lo chalet. Da un paio di camini saliva il fumo, scuro contro il pendio candido che incorniciava la casa. Aveva un’aria solida, comoda e rassicurante. Su di un pendio molto dolce e facile, a un centinaio di metri dallo chalet, quattro persone stavano sciando. Douglas provò un senso di sollievo nel notare che andavano piuttosto male.

Il pulmino si fermò sferragliando davanti allo chalet, e Douglas vide che l’ingresso principale era da un lato, e più in alto. Immediatamente davanti a loro stava una specie di seminterrato: la casa sorgeva su un pendio. Mentre scendeva dal minibus, si aprì una porta, ed uscì un uomo magro, sulla sessantina, con un grembiule blu.

«Peter,» disse Hamilton. Pronunciò il nome alla tedesca. «Prendi il bagaglio di Mr. Poole.» Poi si rivolse a Douglas. «Venga, vediamo di farla scaldare un po’.»

Salirono i gradini di pietra, coperti di neve e cosparsi di sabbia. La porta principale era in cima alla scala: era di legno massiccio, fiancheggiata da finestre smerigliate. Dalla porta si accedeva in un piccolo atrio, poi c’era una seconda porta altrettanto massiccia. Hamilton l’aprì e fece segno a Douglas di passare. Il corridoio era semibuio, ma caldo e piacevolmente odoroso di spezie. Hamilton lo seguì.