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Deeping disse, con voce querula: «Neanch’io ho molta fame. Una notte insonne mi sconvolge sempre lo stomaco. Non prendo il dolce, Mandy. Solo il caffè.»

Mandy sospirò. «Ecco un’altra cosa. Dovremo stare attenti, se ancora non hanno sgombrato la strada. Caffè al mattino e dopo cena, ma dovremo rinunciare a berlo dopo pranzo, purtroppo. Per fortuna, non siamo a corto di tè.»

Deeping si alzò da tavola. «Io avrei preferito il caffè,» disse, «ma immagino che non possiamo farci niente.»

«No,» disse George. «Proprio niente. A proposito, le ho fatto il conto fino a ieri pomeriggio. Da allora, vitto e alloggio sono a carico mio.»

Deeping lo guardò arrossendo. «Non è necessario. Posso pagare.»

«Non ci pensi,» disse George.

Quando lo trovò solo, più tardi, Mandy disse: «Sei stato scortese con lui, George. Ha passato dei gran brutti momenti nelle ultime ventiquattro ore, con Andy e Ruth.»

«Non parlarmi di quel bastardo. ‘Io avrei preferito il caffè’. L’unica persona per cui si preoccupa è Len Deeping.»

Mandy gli fece segno di tacere: Stephen era fermo sulla soglia della cucina. «Che c’è, Steve?»

«Le dispiace se scendo, Mrs. Hamilton, a giocare alle corse?»

Il gioco delle corse era un vecchio Escalado, che veniva tenuto insieme ad altri, per far passare il tempo durante le brutte giornate, in una stanza della cantina che veniva chiamata, con un certo ottimismo, sala-giochi.

«Ma certo,» fece lei. «Sei capace di montarlo?» Il bambino annuì. «Non restare troppo laggiù, o prenderai freddo. C’è solo un piccolo termosifone.»

E quello era il motivo principale per cui la sala giochi veniva poco usata durante i mesi invernali. Come aveva fatto altre volte, Mandy disse a George: «Dobbiamo provvedere a migliorare il riscaldamento, prima dell’inverno prossimo.»

«La caldaia è già spinta al massimo. È più importante tenere calda la parte superiore dello chalet.»

«Avremmo dovuto mettere una caldaia più grande.»

«Il guaio è che siamo a corto di capitali. E per il momento non guadagnamo molto, specie adesso che per dignità non faccio pagare niente ai Deeping, e gli ospiti che avrebbero dovuto prendere il loro posto stanno rimpinguando le tasche al vecchio Mueller, al Buffet de la Gare, a Nidenhaut. Forse dovremmo mandare un cablogramma a zia Mandy.»

Lei sorrise a quell’abituale battuta scherzosa, l’unica allusione al suo mondo americano che loro due si permettevano normalmente. Zia Mandy, sposata a diciannove anni con un ricco proprietario di miniere di carbone, e ormai vedova da quasi cinquant’anni, aveva scritto una lettera alla nipote che portava il suo stesso nome, quando aveva saputo che aveva abbandonato il marito per mettersi con George. Era una lettera lunga, ma più in tono affaristico che moraleggiante. Zia Mandy aveva elencato le sue proprietà, le aveva valutate, ed era arrivata alla somma di trecentoventiduemilasettecentocinquanta dollari. Era il patrimonio che, nel precedente testamento, aveva lasciato alla cara nipotina Mandy. Era stato sostituito, però, da un nuovo testamento, spiegava la zia con un linguaggio raffinato e poco americano, acquisito dall’Accademia per Signorine di Miss Hudnut, a Boston. E desiderava informare Mandy che in questo il suo nome non figurava.

«Ti dispiace essere povero?» chiese Mandy a George.

Lui sogghignò. «Questo dovrei essere io, a chiederlo.»

E naturalmente aveva ragione: avrebbe dovuto essere lui a chiederlo.

Mandy sorrise di nuovo. «Non mi preoccupa. Non mi preoccupa affatto.»

«Che cosa ti preoccupa, Mandy?»

George parlava dolcemente. Lei sapeva cosa intendeva dire, e avrebbe voluto essere in grado di rispondere. Era così buono. Lo aveva capito subito, quando l’aveva conosciuto, e adesso lo sapeva con maggiore certezza, perché lo vedeva più chiaramente, non più accecata dal sentimento che l’aveva sopraffatta ed esaltata e distrutta.

«Niente,» disse. «Non c’è niente che mi preoccupi. Tesoro, vai a occuparti dei nostri ospiti: io devo badare alla cucina.»

Ruth scese dopo un po’, portando Andy con sé. Mandy le chiese se volevano pranzare, ma lei rifiutò.

«Ma Andy deve mangiare qualcosa,» insistette Mandy. «Questa mattina non ha preso altro che latte e uova.»

«No. Cioè, ha mangiato della cioccolata, di sopra. Dove sono gli altri?»

«Quasi tutti fuori a sciare. Ma credo che suo marito sia in salotto.»

«E Stephen?»

«È sceso a giocare con l’Escalado.»

«Allora andremo a cercarlo.»

Mandy li guardò uscire, vagamente inquieta. Camminavano ancora tutti e due in quel modo strano… lento, deliberato, sembrava indicare che non si fossero ripresi a sufficienza dagli eventi recenti. E avrebbero dovuto mangiare qualcosa. Pensò che forse era meglio seguirli, e cercare di convincere almeno Andy: dopo quello che aveva passato aveva bisogno di cibi caldi, nutrienti. Ma decise di non farne niente. Ruth era una donna non molto più giovane di lei, e aveva le sue idee. Si sarebbe offesa se qualcun altro avesse preteso di conoscere meglio di lei le esigenze di suo figlio.

Stava guardando la nuova infornata di pane che aveva appena tirato fuori, quando sentì il grido. Era indistinto, ma riconobbe la voce di Marie. Ma dov’era? Fuori? Poi ricordò: l’aveva mandata giù in dispensa a controllare varie cose, prima di pianificare i pasti dei giorni successivi. La voce chiamò ancora: «Madame!» Mandy scostò l’ultima piastra e scese correndo le scale.

La voce era più forte e invocava aiuto. E c’erano altri suoni. Provenivano dalla sala giochi. Attraverso la porta aperta vide un groviglio di figure che lottavano: Ruth, Marie, i due bambini. Non riuscì a capire cosa fosse accaduto e, frastornata, gridò:

«Che c’è? Cosa succede?»

I volti delle due donne si girarono verso di lei, quando varcò la soglia. Quello di Marie era sconvolto e spaventato. Quello di Ruth… Ciò che vide in quell’istante l’inorridì. Non era odio, ma freddezza, un vuoto orribile. E… fame. La spaventò, ma lei avanzò egualmente di un passo.

«Ruth…» disse.

Vi fu un momento di equilibrio, d’immobilità, e poi si spezzò. Due figure piombarono verso di lei: non solo Ruth, ma anche il piccolo Andy. Erano impazziti tutti e due, pensò e si ritrasse. Avrebbe voluto gridare aiuto, ma non poté. Si avventarono verso di lei, la raggiunsero, scaraventandola da parte, passarono. I loro passi si persero nel corridoio, in direzione della porta della cantina. Marie piangeva, l’altro bambino era sbiancato in volto. Mandy si scosse, e andò verso di loro.

VI.

Lo sci non era fatto per lui, aveva stabilito Douglas. Era una decisione raggiunta in via dubitativa ai suoi primi tentativi, durante il servizio militare, ma gli anni trascorsi avevano cancellato il ricordo. Adesso stava imparando daccapo che il suo senso dell’equilibrio non era eccellente, e che faticava ad abituarsi alla perdita di contatto con il terreno solido. E naturalmente quella neve, su cui finiva sempre per cadere pesantemente, era più fredda ed umida di quanto si potesse immaginare guardandola.

Adesso che aveva rinunciato a sforzarsi di non pensare a Caroline, poteva essere onesto con se stesso per quanto riguardava la vera ragione per cui era venuto lì. Tony, il marito di lei, era un abile sciatore; le due settimane ogni anno, in gennaio, erano state una tristezza che gettava la sua ombra sul Natale, già di per sé così triste, da superare cupamente e senza protestare. Caroline aveva sempre detto che non le piaceva andar via, ma lui aveva sospettato che non fosse del tutto vero. Caroline era fisicamente efficiente, ed era inevitabile che le piacesse sciare. Probabilmente stava sciando anche adesso, negli Stati Uniti. Di sicuro, c’erano stazioni invernali a poca distanza da New York. E lui era lì, a pasticciare sui facili pendii di una montagna svizzera… Era ridicolo.