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Non era mai riuscito a capire quale parte avesse nella vita di lei. Talvolta pensava di essere qualcosa d’importante, talvolta qualcosa di trascurabile. Le aveva creduto, e le credeva ancora adesso, quando lei diceva che, a parte Tony, era stato il solo uomo della sua vita. Caroline non era il tipo di donna che si dava da fare per attirare l’attenzione maschile. E quella certezza, all’inizio, gli aveva dato un senso di trionfo e di sicurezza. C’era il bambino, ma aveva quattro anni — lei si era sposata molto giovane — e a otto avrebbe dovuto andare alla vecchia scuola di Tony. All’inizio, Douglas non aveva insistito per ottenere assicurazioni circa il futuro, perché aveva presunto di sapere come sarebbero andate le cose. Quando Rodney fosse stato via per due terzi dell’anno, niente avrebbe potuto nasconderle quant’era vuoto il suo matrimonio. Tony, che lui aveva incontrato un paio di volte, era un uomo simpatico, civile. Le avrebbe accordato il divorzio, se lei lo avesse chiesto.

Un paio d’anni più tardi, la sua sicurezza aveva incominciato a sgretolarsi. Non perché lei mostrasse di volersi tirare indietro, perché sembrava innamorata come sempre, disponibile per quanto lo permettevano le esigenze della sua vita: ma era stato, piuttosto, un crescente senso di coinvolgimento da parte sua. Non si accontentava più di attendere in ufficio le telefonate che gli annunciavano quando avrebbe potuto vederla. E lei gli aveva proibito di chiamarla… poteva rispondere la cameriera, sua madre veniva spesso a trovarla, Tony rientrava talvolta ad ore strane. Lui all’inizio aveva accettato abbastanza di buon grado quel divieto, ma all’improvviso gli era diventato insopportabile. Si sentiva sempre più legato alla vita di Caroline, anzi, legato alla cameriera, a sua madre, persino a Tony; mentre lei era libera.

La prima crisi avvenne non quando Douglas le chiese di andarsene con lui, ma un paio di settimane più tardi. Glielo chiese nella fresca camera da letto azzurra e bianca della casa di Blackheath, mentre Tony era a Parigi, la cameriera aveva il pomeriggio libero, e la madre era andata a trovare l’altra figlia dall’altra parte di Londra: e Caroline aveva sorriso, e aveva detto che sarebbe stato bello, se avessero potuto farlo. Quando le aveva chiesto perché non potevano, lei aveva detto, naturalmente, che era per via di Rodney. Anche quel pomeriggio lei aveva dovuto mandare un’amica a prenderlo a scuola, e a portarlo a prendere il tè insieme al suo bambino. Lui le aveva posato le mani sul seno e aveva detto: «E va bene. Ma quando lui andrà via… Prometti?» Avrebbero visto, aveva risposto Caroline, e come sempre, lui aveva ammirato la sua onestà. Lei non avrebbe mai fatto una promessa a vuoto. Sarebbe stato bellissimo, ma potevano capitare tante cose. Avrebbe visto. Poi lei aveva fatto guizzare la lingua, e i capezzoli si erano irrigiditi contro le dita di Douglas.

Ma lui se ne era andato insoddisfatto, turbato, e l’insoddisfazione e il disagio erano cresciuti durante la settimana successiva, in cui non l’aveva più vista e non le aveva parlato. Quando poté rivederla, nel proprio appartamento, perché lei era andata ufficialmente a trovare la zia di Winchester che era stata la causa del loro primo incontro, lui era nervoso e deciso. Quella vita non andava bene. Doveva esserci una stabilità, se non subito almeno in un futuro prevedibile: se questo non era possibile, allora era meglio rompere, senza rancore.

Douglas non sapeva quale reazione si aspettasse da lei: ma si rese conto che quella era in effetti l’unica reazione possibile da parte di Caroline. Lei non aveva consentito e non si era irritata. Gli aveva detto, ed era la verità, che gli dedicava tutto il tempo che poteva. In futuro le cose potevano cambiare, ma nessuno poteva averne la certezza. La vita era troppo imprevedibile.

In quel caso, aveva detto lui, era meglio farla finita subito. Lei aveva sorriso, tristemente, e aveva detto: «Come credi.» C’era stato un silenzio, non imbarazzante ma opprimente, un peso sulla mente e sul corpo. Sopra la mensola, l’orologio a quattrocento giorni di carica continuava a far girare le piccole sfere d’ottone, in senso orario e antiorario, scandendo i secondi divenuti improvvisamente più lunghi. «Le tre,» aveva detto Caroline. Il suo sorriso era malizioso, stavolta. «Il mio treno non parte che alle sei.» Non gli era mai sembrata più desiderabile. Douglas aveva detto: «C’è un diretto per Waterloo alle tre e mezzo.» «Bene,» aveva detto lei, senza smettere di sorridere, «Mi accompagni tu alla stazione, o debbo andare da sola?»

Lui le aveva telefonato tre settimane dopo, infrangendo la proibizione. Si era sentito la bocca arida, e parlandole non riusciva a trovare le parole. Caroline non si era arrabbiata. Anzi, sembrava compiaciuta, benché parlasse solo a frasi brevi, impersonali. Lo aveva interrotto, dicendogli che l’avrebbe richiamato lei quando avrebbe avuto tempo.

Lo aveva chiamato la mattina dopo. Poteva vederlo a Londra, per il week-end. Fissarono il luogo e l’ora. Douglas la portò nel suo albergo, e fecero l’amore. Lui cercò di spiegarsi, di scusarsi, ma lei gli chiuse la bocca con la mano. Non c’era niente da spiegare, insistette. Niente da discutere.

C’era stata un’altra crisi l’anno in cui Rodney era andato via, a scuola. Ebbe lo stesso andazzo, ma lui attese solo due giorni, questa volta, prima di telefonarle. E l’anno dopo non l’aveva neppure lasciata andar via: l’aveva rincorsa per la strada, stupidamente, come uno studentello. Ora che ci ripensava, era stupito del livello di banalità cui l’aveva ridotto la relazione con lei. E adesso l’assurdità finale, il viaggio in Svizzera per andare a sciare! Mentre si rialzava, forse per la ventesima volta, cominciò a sganciarsi gli sci con le dita intirizzite.

Jane lo chiamò: «Rientra?»

Douglas alzò la testa. «Sì.»

«Anch’io ne ho avuto abbastanza.»

Tornarono insieme verso lo chalet, e misero gli sci nella rastrelliera. Era consolante pensare, rifletté Douglas, che al mondo c’erano ancora donne simpatiche e attraenti. Era una consolazione e una sfida. Piombando nell’infelicità, si interrogò su di un aspetto del suo futuro. Prostitute? Relazioni tempestose con qualche dattilografa? Oppure una moglie? Una donna adatta a lui, di bell’aspetto, ragionevole, non troppo giovane. Una donna come Jane. Le vedove giovani e belle erano sempre state considerate molto adatte, no?

La porta si aprì prima che la raggiungessero. Era Mandy, ansimante, sconvolta.

«L’avete vista? Ruth?» domandò.

«No. Perché.»

«Credo che sia impazzita. E anche il bambino.»

L’evidente confusione di Mandy lo fece sentire confuso a sua volta, e smarrito. Fu Jane a prendere in pugno la situazione. Disse, calma:

«Ci racconti cos’è successo, Mandy.»

Douglas ascoltò, e capì che Ruth era impazzita, o quasi, il che non era del tutto sorprendente. Ma nel comportamento di Andy c’era qualcosa che non aveva senso. Ruth aveva lasciato lo chalet e l’aveva portato con sé? Be’, sì probabilmente era così. Jane, volgendosi verso di lui, disse in tono energico:

«Io resto con Mandy. Lei può chiamare gli altri? Selby, almeno.»

Douglas annuì. «Sì, certo.»

Gli altri arrivarono quasi subito. Diana alle calcagna di Grainger, ed Elizabeth una ventina di metri più indietro. Aveva il volto acceso dall’aria frizzante e dal movimento e, pensò lui con distacco, era molto carina.

«Il tè?» Lei si tolse il berretto e scrollò i riccioli scuri. «Mi sembra un po’ presto.»

Douglas parlò a Grainger: «Altri guai, purtroppo. Con Ruth. Non so bene cosa sia successo.»

Jane era con Mandy in salotto, e c’era anche Deeping. Lui aveva un’aria desolata: tutta la presunzione e la sicurezza era svanite. Benché quell’uomo non gli fosse simpatico, Douglas provò pietà per lui. Un’altra brutta storia.

Grainger chiese, in tono autorevole: «Dunque, Mandy. Ci racconti: cos’è successo?»