Selby lo corresse: «Tre, più il bambino.»
«E noi abbiamo Steve. Ma non contavo i bambini. Il fatto è che siamo molto più numerosi di loro. Possiamo correre pericolo solo individualmente.»
Elizabeth teneva stretto Stephen a sé.
«C’è bisogno di me e di Steve per questa chiacchierata?» chiese. «Se si tratta di una cosa importante, potete dirmelo dopo.»
«Penso che Steve dovrebbe restare,» disse George. «Non possiamo guardare troppo per il sottile. Probabilmente, con Peter abbiamo avuto molta fortuna.»
«Fortuna?» fece Elizabeth.
«Sì: perché ci siamo accorti che se ne era andato. Ecco, questo cambiamento, qualunque cosa sia… non sappiamo quanto tempo richieda, ma direi non molto. Voglio dire, Leonard era già cambiato quando è sceso nella camera di Douglas. E Ruth, quasi certamente, era già cambiata quando l’abbiamo trovata là fuori con il bambino… e non poteva essere fuori da più di mezz’ora. Se Peter fosse rientrato… probabilmente non ci saremmo accorti di niente. Marie non ci avrebbe neppure detto che era uscito. Oppure, lui l’avrebbe fatta tacere.»
Guardò gli altri, intento e torvo.
«Peter sarebbe entrato in casa. Uno di loro. E senza che noi sospettassimo nulla.»
Mandy disse: «Pensi che sarebbe ritornato? E allora, non potrebbe tornare ancora adesso?»
«È improbabile. Anche se non si fossero accorti che eravamo usciti a cercarlo, adesso vedranno le finestre sbarrate, e si renderanno conto che abbiamo capito.»
Douglas disse: «Avremmo potuto sistemare le finestre più tardi, sicuro. Forse Peter sarebbe tornato, e avremmo potuto catturarlo.»
«Non credo,» disse George. «Non credo che siano disposti a correre rischi. E non dobbiamo correrne neppure noi. Questo vale anche per te, Steve. Capisci?»
Stephen annuì. «Se vedo qualcuno di loro, verrò subito a dirvelo.»
«E se c’è qualche possibilità che ti raggiungano, urla. Urla con tutto il fiato che hai nei polmoni. È quel che faremo anche noi adulti, quindi mettici tutto l’impegno. Quelli là fuori non sono veramente tua madre e tuo padre e Andy.»
«Lo so. Sono ammalati.»
«Ammalati,» ripeté George. «E possono farti del male. Dobbiamo restare tutti insieme il più possibile. E soprattutto, non dobbiamo scendere da soli in cantina. E nessuno deve uscire in nessun caso, a meno che prima ci si metta d’accordo.»
Diana chiese, inquieta: «Per quanto tempo durerà?»
«Non lo sappiamo. Non per molto, spero.»
Lei guardò la finestra. «Se almeno la nebbia se ne andasse…»
«Se ne andrà,» disse Selby, in tono sicuro. «Domani, se non oggi. E probabilmente manderanno un elicottero, dalla valle, e allora tutto sarà sistemato. Ma per il momento, come dice George, siamo in una roccaforte, purché ci comportiamo con un po’ di buon senso. Abbiamo viveri e un tetto sulla testa, e il vantaggio numerico. Dobbiamo solo aspettare.»
Diana disse: «Ma la malattia…» Nella sua voce c’era un nervosismo non troppo lontano dall’isteria. «Possono aver lasciato dei germi nella casa!»
«Non si tratta d’una malattia di quel genere,» disse Selby.
«Ma tu non lo sai! Hai detto che non sapevi di che cosa si trattava!»
«Ma so, almeno, che cosa non è.» Le si avvicinò, le posò le mani sulle spalle e la scosse, affettuosamente. «Ce la caveremo benissimo, tutti quanti, purché restiamo insieme, e ci teniamo lontano da loro. Abbiamo sistemato le cose in modo che nessuno possa entrare in cantina senza fare un chiasso tremendo, e questo pomeriggio sistemeremo anche la parte posteriore della casa, a questo piano. Poi potremo metterci tranquilli ad aspettare.» Lanciò un’occhiata a George. «E faremo come dice George.»
Era un sollievo, pensò Jane, sentire parlar chiaro, e vedere che gli uomini avevano smesso di discutere ed erano disposti a collaborare. Selby lasciò Diana, e Jane si accostò alla sorella. Provava per lei un raro sentimento di protezione.
George disse: «Restate in casa, e rimanete insieme il più possibile. È tutto.» Guardò Mandy. «Il pranzo è quasi pronto?»
«Fra dieci minuti.»
Il pomeriggio si trascinò in una serata contraddistinta solo dal dileguarsi di quella poca luce che filtrava dalla nebbia grigia intorno a loro. Le lampade erano accese, e il buio sembrava premere contro la finestra. Non era accaduto nulla di eccezionale. Quelli là fuori non si erano fatti vedere né sentire. Mandy era in cucina con Marie, George aveva aperto il bar, e Selby ed Elizabeth e Diana erano con lui; c’era anche Stephen. Si era stabilito che sarebbe rimasto alzato e avrebbe cenato con gli adulti. Jane, che non se la sentiva di bere, andò a sedersi in salotto accanto al fuoco, e Douglas la raggiunse. Il fuoco era caldo, consolante, e le tende erano state chiuse per tenere fuori la notte e ciò che si celava nelle sue ombre. Aveva preso un libro, Rogue Herries di Walpole, con una rilegatura di pelle tutta scalfita, ma non aveva molta voglia di leggerlo. Non sapeva bene che cosa provava. Il turbamento e la paura si erano acquietati, ma l’avevano lasciata inquieta, svuotata. Avrebbe desiderato restare sola, ma nello stesso tempo era lieta di avere la compagnia di Douglas.
Aveva la sensazione che anche lui fosse irrequieto, sebbene non lo dimostrasse: stava seduto sulla poltrona di fronte a lei, fissava il fuoco e non parlava. Fu lei, infatti, a parlare per prima. Depose il libro e disse:
«Cos’è stato deciso per i turni di guardia di stanotte?»
Douglas rispose senza alzare la testa: «Prevedo che ci alterneremo io, George e Selby. Ma forse ci arrangeremo da soli, io e George. Selby è stato alzato ieri notte.»
«Potremmo fare tutti un turno. Tranne Mandy e la ragazza, che hanno abbastanza da fare durante il giorno.»
«Non credo che George sarebbe d’accordo.»
«È ridicolo. Non è tempo di galanteria.»
«Non credo che si tratti di galanteria.»
Il fuoco crollò al centro, lasciando un buco vuoto, e Jane si chinò ad aggiungere un altro pezzo di legno.
«George è un tipo solido,» disse. «Protettivo e semplice con le donne.»
«Gli uomini si dividono in categorie, per quanto riguarda il loro comportamento con le donne?»
«Credo di sì.»
Ci fu un silenzio, e poi lui riprese a parlare. Si accorse, con un brivido, che cominciava a farle delle confidenze su un amore infelice. Si chiese che cosa l’aveva indotto a questo: non credeva che fosse il tipo d’uomo che normalmente parla di questioni private con una semplice conoscente. Probabilmente, era per via delle circostanze. La tensione cui erano tutti sottoposti, pensò, poteva averlo spinto a cercare di sfogare un’altra, diversa tensione. E a lei non rimaneva altro che ascoltare.
Era tutto molto comune anche se a lui, naturalmente, doveva sembrare un caso unico. Al momento opportuno, Jane disse:
«Sono situazioni che possono apparire infernali. Ma in un certo senso deve esserci anche una specie di sollievo. Dopotutto, era una cosa senza futuro.»
«Il sollievo, finora, non ha ancora avuto occasione di affermarsi. Probabilmente, alla fine sarà così. In quanto al futuro… be’, no, non secondo i criteri normali. Ma ci si abitua ad un certo modo di vita… o ad una vita parziale.»
Douglas stava facendo un confronto con quello che considerava il normale, felice matrimonio di lei… con quello, si ricordò, che anche lei aveva giudicato tale. Per evitare l’argomento, disse:
«È accaduto all’improvviso… il trasferimento del marito a New York?»
«No, non credo. Per me è stata una cosa improvvisa, naturalmente. Ma a pensarci bene… ci sono parecchi indizi. Credo che lei, probabilmente, lo sapesse da diversi mesi.»