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«Allora pensava che per lei fosse meglio che le cose andassero come sono andate. E aveva ragione.»

Douglas osservò, sarcastico: «Sì, in quanto se l’avessi saputo avrei fatto un altro strenuo tentativo per convincerla a venire a vivere con me. Forse per questo ha deciso così. Ha avuto un paio d’ore per discutere con me, dopo avermelo detto.»

«Non sia così amaro.» Jane fece una pausa. «È una sciocchezza dire così, no? Ma per il suo bene…»

«Sì, lo so. Non credo che sia questa, la mia reazione principale. Il senso di averla perduta… uno stordimento.» Alzò la testa. «Sono molto egoista, vero?»

«Egoista?»

«Perché parlo di una perdita. Dopotutto, so che è viva. Non è una separazione terribile. E si finisce per farsene una ragione. Io ci riesco. Mentre nel suo caso…»

Il pezzo di legno che Jane aveva messo sul fuoco aveva preso, e bruciava allegramente. La resina scintillava nelle vivaci lingue di fiamma. Jane disse:

«Volevo bene a mio marito. Pensavo che avrei sentito la sua mancanza.»

Si accorse che Douglas la guardava e poi distoglieva gli occhi. Adesso toccava a lui sentirsi imbarazzato. Jane si chiese cosa l’aveva indotta a dire così, e si sentì avvampare dalla vergogna, come se si fosse esibita nuda davanti a lui. Provò l’impulso di alzarsi e di andar via, ma lo vinse. Attese che Douglas dicesse qualcosa, facesse qualche commento, e sapeva che, qualunque cosa dicesse, avrebbe solo peggiorato la situazione.

Ma lui non disse niente: lo guardò di nuovo e vide che i suoi occhi erano tornati a posarsi su di lei. E lei poteva sopportarli. E capì anche che non poteva lasciare il discorso a quel punto.

«Mi sono sposata molto giovane,» disse. «Non sapevo molto della vita. Ero timidissima. Harry, mio marito… lo ammiravo molto. Aveva quindici anni più di me, si era già fatto una posizione. Era orticoltore… pomodori, lattuga, fiori, peperoni e melanzane. Lavorava sodo, ed era molto bravo. La mia era una vita di benessere.»

Fece una pausa, prima di proseguire: «Eravamo sposati da un anno e mezzo quando conobbi un uomo. Scoprimmo che avevamo gli stessi gusti, gli stessi interessi. E c’era anche l’attrazione fisica. Alla fine, lui mi disse che mi amava, e pensai di amarlo anch’io.»

«Lo pensava soltanto?»

«Lo pensavo molto seriamente. Voleva che andassi a vivere con lui. Era certo che Harry mi avrebbe accordato il divorzio, e credo che avesse ragione. In quanto a sua moglie, sarebbe stata felicissima di divorziare. Avevano una figlia, in collegio. Harry ed io non avevamo figli. Sembrava tutto molto semplice.»

«E che cosa andò male?»

«Niente. Andò tutto bene. Smisi di vederlo, e continuai ad essere una moglie fedele. All’inizio fu difficile, ma l’orgoglio è di grande aiuto. Probabilmente sarebbe stato molto peggio se fossi andata a letto con lui. Ma io ho dei genitori molto rispettabili, e non avrei mai voluto ribellarmi ai loro princìpi. Mentalità borghese, immagino.»

Douglas osservò: «A sentire lei, sembra tutto facile.»

«Vuol dire che non poteva essere una cosa molto seria? Forse ha ragione. A me lo sembrava. Dimagrivo… non riuscivo a dormire: alla fine ebbi un lieve esaurimento fisico e andai a casa da mia madre. Harry fu molto buono, molto paziente. Per un po’ di tempo, pensai che sapesse qualcosa… sa, come il marito di Breve incontro: ma sono sicura che non si era accorto di niente. Non riusciva a immaginare che nel nostro matrimonio qualcosa non andasse: e questo era consolante. Rimasi un paio di mesi con i miei genitori, e poi mi rispedirono da lui. Feci altri buoni propositi, e questa volta li mantenni. La vita si assestò. Ripresi a dormire la notte e recuperai il peso perduto.» Jane sorrise. «Al punto di dover ricorrere a un po’ di dieta.»

«E nessun rimpianto?»

«Credo che i rimpianti abbiano bisogno di un’attenzione costante, per sopravvivere. E io mi guardai bene dall’occuparmi dei miei.»

«Sembra una favoletta morale. Non lo dico per cattiveria.»

«Lo so. Ma non ha avuto un lieto fine.»

«Quando suo marito morì…»

«Fu un colpo terribile, naturalmente. Una bronchite che diventò polmonite, e le medicine non servirono a nulla. Per un po’, non ci si rende conto di quello che è accaduto. Poi superai quella fase. Mi accorsi che accettavo facilmente l’idea della sua morte. Quello che non potevo accettare era l’inutilità della mia vita. Mi pareva che non ci fosse nulla che valesse la pena di fare. Ancora adesso è così.»

«E quanto tempo è passato da…?»

«Martin? Un paio di secoli. Otto anni.»

«Non è più rimasta in contatto con lui?»

«Oh, no. Il suo matrimonio si sfasciò, lui si risposò e andò a stare in Canada. Ma non era importante. L’avevo liquidato da molto tempo. Il fatto era che nulla era importante. Ogni sforzo, ogni sofferenza era inutile. E non c’era nulla per sostituirla, nessuna prospettiva che un giorno potesse esserci qualcosa. Le sembra assurdo?»

«No.»

Jane si guardò le mani. «Mi meraviglio di me stessa… raccontarle tutto questo.»

«Sono stato io a cominciare.»

«Sì. Adesso si sente meglio?»

Douglas rifletté. «No.»

Lei rise. «Neppure io!»

Ma almeno gli era grata per averla ascoltata, per non averle detto delle frasi sbagliate. E provare quel piccolo debito verso un altro essere umano, era presumibilmente meglio che niente. Adesso si sentiva stanca, e provava il desiderio di restare sola.

«Credo che andrò di sopra a fare il bagno,» disse. «Ci vediamo a cena, Douglas.»

IX.

Mandy era preoccupata per Stephen e per George.

Era terribile, per il bambino, sapere che le figure familiari e rassicurante dei genitori erano divenute spauracchi dai quali doveva difendersi… molto, molto peggio che se li avesse perduti completamente. Lei avrebbe voluto coccolarlo nel tentativo, sia pure inadeguato, di rimediare in qualche modo, ma naturalmente durante il giorno non ne aveva il tempo. La storditaggine di Marie era peggiorata in quegli ultimi giorni, e dopo la scomparsa di Peter la ragazza era diventata quasi inutile. Bisognava ripeterle cento volte le cose, e poi lei era capacissima di piantare egualmente a metà quello che stava facendo. Bisognava starle dietro di continuo.

Aveva pensato di occuparsi del bambino dopo cena, mentre Marie sparecchiava, ma ormai Elizabeth si era appropriata di lui. Era logico: aveva avuto tempo da dedicargli durante il giorno. Era buona con lui, ci sapeva fare, e Stephen sembrava trovarsi bene. Ma Elizabeth apparteneva a quella categoria di donne inglesi che Mandy giudicava deprimenti. I Grainger, come i Deeping, avevano due figli, un maschio e una femmina, ma erano entrambi in collegio da quando avevano compiuto i sette anni. Elizabeth non si era preoccupata, come avrebbe fatto certamente Ruth al suo posto, perché la valanga le impediva di mettersi in contatto con loro. Quando tornavano a casa per le vacanze, lei li accoglieva con un radioso sorriso di benvenuto, attenta a controllare se i vestiti avevano bisogno di venire rammendati o sostituiti. Doveva essere calma e gentile con loro: un’affettuosa estranea.

Senza dubbio, quella mentalità aveva i suoi pregi. La calma di Elizabeth si comunicava al bambino, e anche Stephen sembrava sereno. Era un bene per tutti gli altri, bloccati lassù e alle prese con qualcosa di sconosciuto: ma non era giusto, Mandy ne era sicura. Non era giusto. Stephen, dopotutto, aveva soltanto dieci anni. Avrebbero dovuto esserci le tempeste del pianto e della disperazione, e qualcuno per tranquillizzarlo, per migliorare un po’ le cose.

Marie uscì dalla cucina per andare a finire di sparecchiare in saia da pranzo: c’era tempo, non molto ma abbastanza, e senza bisogno d’inghiottire in fretta, per bere un sorso dalla bottiglia nascosta dietro il barattolo dello zucchero vanigliato. Mandy vide che era quasi vuota. Per quella sera bastava, ma l’indomani mattina avrebbe dovuto procurarsene dell’altro. Per un momento, pensò a se stessa, con malinconia e triste disgusto. Comunque, cosa avrebbe potuto dare al bambino? Che cosa poteva dare a chiunque? Persino a George…