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«Io ho visto la pubblicità,» disse Douglas, «in un settimanale. Volevo cambiar aria, ma all’estero mi trovo un po’ sperso, così l’idea di una pensione all’inglese mi ha attirato.»

«Sì.» Vi fu una pausa: ritornò l’impaccio. «E che attività svolge, Mr. Poole?»

«Faccio l’avvocato,» rispose lui. «Ho uno studio a Winchester. Poole, Stephens Willoughby, ma non si lasci ingannare dal fatto che il mio cognome viene per primo. Il primo Poole era mio zio.»

«Le interessa la giurisprudenza?»

«Credo di sì. Non ci ho mai pensato molto. Sono entrato nello studio legale appena uscito dall’università, e non l’ho più lasciato.» Esitò. «Sono soddisfatto, direi.»

Era una risposta abbastanza sincera, pensò. Il suo lavoro gli piaceva, ed era stato un rifugio, per lui. Almeno fino agli ultimi tempi. E se adesso non lo era più tanto, la colpa non era del lavoro. Sarebbe stato così in ogni caso.

Poco dopo, Jane Winchmore si scusò, dicendosi molto stanca, e Douglas poté cominciare a leggere il suo libro. Una donna simpatica, pensò, e posata: aveva interrotto con molto garbo una conversazione inutile. Tuttavia, il pretesto poteva essere valido: aveva davvero l’aria stanca. Con distaccata simpatia, si augurò che dormisse bene, che non fosse anche lei vittima delle lunghe ore vuote della notte.

Quando si svegliò guardò l’orologio, e il quadrante fluorescente gli disse che mancava poco alle tre. Era perfettamente sveglio e sapeva, in base all’esperienza passata, che lo attendevano ore d’insonnia. Accese la lampada sul comodino. La stanza era diversa nei dettagli, ma era la stessa cella solitaria che si era lasciato alle spalle. Il quadro ad olio del Matterhorn, visto per la prima volta il pomeriggio precedente, era già noiosamente familiare.

C’era un caldo quasi soffocante, con le finestre chiuse e il termosifone al massimo. Infilò la vestaglia, aprì la porta-finestra e uscì sul balconcino. Non c’era vento, ma il freddo era pungente. La luna era assente dal cielo, ma la luce delle stelle scintillava viva sulla neve. Gli pareva quasi di scorgere i pendii delle montagne dall’altra parte della valle, ma probabilmente era un’illusione ottica. Lontano, in basso a destra, si vedeva un gruppo di luci. Un villaggio, probabilmente, ma dove? Forse in riva al lago. L’avrebbe identificato l’indomani.

Era troppo freddo per rimanere fuori; rientrò, chiudendo la finestra. Notò, con una certa preoccupazione, che il segnalibro non era molto lontano dalla fine del volume. Ne aveva con sé altri due, ma doveva andarci piano, fino a quando avesse scoperto che cosa c’era da leggere, lassù. Aveva pensato di portare altri libri, ma quell’idea gli era sembrata una debolezza, come prendere l’ombrello quando ci si sente dire che sarà una bellissima giornata, e si desidera disperatamente crederlo.

Douglas tornò a letto e prese il libro dal comodino.

Si assopì verso le sei. Si svegliò, intontito, quando gli portarono il tè alle otto, e poi tornò a svegliarsi alle nove e un quarto: il tè era freddo, coperto dalla spuma del latte. Ricordò che la colazione veniva servita fino alle nove e un quarto, salvo accordi diversi. Non aveva molto voglia di mangiare, ma ci teneva ad adeguarsi agli orari della pensione, soprattutto dato che c’era così poco personale. Si lavò in fretta, si pettinò, e scese in vestaglia. A tavola c’era solo Jane Winchmore.

«Buongiorno,» fece lui. «Avevo detto che ci saremmo visti a colazione, ma sono arrivato proprio all’ultimo momento.»

Jane sorrise. «Gli altri sono tutti fuori, a rinvigorirsi nella neve. Purtroppo io sono pigra. E ho l’abitudine di perdere molto tempo a tavola.»

Entrò Mandy Hamilton e gli chiese se preferiva il porridge, i fiocchi di granturco o il succo di frutta, e se dopo gli sarebbero andate bene le uova con il bacon. Douglas si accorse improvvisamente di aver appetito, molto appetito, e chiese il porridge.

Jane Winchmore tirò fuori una sigaretta. «Le dà fastidio? Posso andare in salotto.»

«No, resti, la prego.» Douglas cercò l’accendino, tastandosi le tasche vuote della vestaglia. «Purtroppo, non posso farla accendere.»

«Non importa: ho un accendino io.»

Accese maldestramente la sigaretta; Douglas ebbe l’impressione che non avesse più fumato da molto tempo.

«Sa se gli Hamilton hanno una specie di biblioteca?» le chiese. «Credo di non aver portato abbastanza libri.»

«Ecco là.»

Jane indicò il salotto attraverso la porta comunicante. Contro una delle pareti c’era un grosso scaffale. La sera prima, lui si era seduto proprio di fronte, ma inspiegabilmente non l’aveva notato.

Si mise a ridere. «Devo essere cieco.»

Jane disse: «Un assortimento variato, naturalmente. Ma se resta a corto di letture, ho qualche libro in camera mia. Purtroppo sono solo romanzi.»

«Non mi dispiacciono. Anche se preferisco le biografie.»

«Si,» fece lei, riflettendo. «L’avevo immaginato.»

Lei si scusò quando arrivarono le uova con il bacon. Douglas mangiò parecchio, e finì con pane tostato e marmellata d’arance, poi andò a vestirsi e a farsi la barba con un senso piacevole di sazietà. Quando ridiscese, incontrò Hamilton in fondo alla scala: era vestito da sciatore, e aveva in testa un passamontagna. Il suo volto era acceso per lo sforzo fisico.

«Ce l’ha fatta, allora!» esclamò. «Bene. Già fatto colazione?»

«Sì, grazie.»

«Molto bene. Allora muoviamoci.»

Hamilton lo aiutò a prepararsi, poi lo condusse fuori.

«Non bisogna sprecare una mattinata come questa,» disse. Era magnifica, infatti, senza più neppure le nubi sparse del giorno precedente. Azzurro e bianco luminosi e abbaglianti, e le chiazze verdi dei prati, molto più in basso. «Il barometro non è molto promettente.»

«Brutto tempo in arrivo? Sembra bello stabile.»

Hamilton alzò le spalle. «Un altro po’ di neve non andrebbe male. Quest’anno ce n’è molto meno del solito.»

Fornì a Douglas qualche indicazione elementare, e lasciò che si arrangiasse da solo, tornando di tanto in tanto a indicargli gli errori e ad offrirgli incoraggiamento. E dell’incoraggiamento Douglas aveva molto bisogno: nel pomeriggio stava ancora tentando corsette elementari nella piccola conca davanti alla casa, e continuava a cadere il più delle volte. Dopo un’ora rinunciò a questo secondo tentativo, andò a fare il bagno e a cambiarsi, poi sedette sulla terrazza a prendere il sole e ad osservare gli altri.

Hamilton aveva condotto i Grainger e Diana al villaggio, quella mattina, perché di là potevano arrivare a una delle piste attrezzate con lo ski-lift. I Deeping e Jane avevano preferito fare i loro capitomboli in un relativo isolamento, nei pressi dello chalet: comunque, erano molto più bravi di lui. E i piccoli Deeping imparavano bene. Avevano rispettivamente otto e dieci anni, Andy e Stephen. Il primo era minuto, sveglio, vispo e loquace, l’altro più tranquillo e chiuso, fisicamente più grande, più di quanto ci si potesse aspettare dai due anni di differenza: era bruno e grezzo quanto l’altro era biondo ed esile. Ad un certo punto, durante una discussione, Douglas vide che il bambino più piccolo faceva lo sgambetto al fratello: poi rotolarono nella neve, azzuffandosi. Il fatto che Ruth Deeping, la quale non aveva assistito alla prima fase dell’incidente, se la prendesse immediatamente con il maggiore, confermò l’impressione che avesse un debole per il secondogenito. Poiché lui stesso, da piccolo, si era sempre visto preferire la sorella, Douglas simpatizzò con Stephen.

All’ora del tè, venne bloccato da Leonard Deeping, il quale gli fece domande interminabili sul suo lavoro, dove viveva e così via, senza mostrarsi affatto turbato dalla concisione delle risposte. Parlava con voce lenta, meticolosamente articolata, e l’accento consciamente solido del settentrionale franco e onesto. Quando si stancò di interrogare Douglas, cominciò a parlare di se stesso, un argomento che evidentemente lo interessava assai di più. Dirigeva la sede londinese di un’azienda tessile del Lancashire, ma Douglas aveva l’impressione che si occupasse anche di qualcosa d’altro. Comunque, Deeping ammise apertamente che negli ultimi anni se l’era cavata bene. Pensava di ritirarsi presto; possibilmente in un posto dove le tasse fossero meno alte. Aveva in mente l’isola di Man, poiché era di quelle parti, ma sua moglie avrebbe preferito una località più calda. Forse lo Jersey. Douglas lo ascoltò senza badargli troppo, guardando le lontane vette innevate, dall’altra parte della valle. Intorno ai picchi si stavano raccogliendo le nubi, bianche e fioccose, ma molto dense. Il maltempo che aveva preannunciato Hamilton, presumibilmente.