«No,» disse Elizabeth. «Hai ragione. Che cosa vuoi dire, Selby… che sono degli zombie, qualcosa del genere?»
«Gli zombie dovrebbero essere automi, no? E degli automi non avrebbero potuto compiere quest’ultima azione.»
Douglas disse: «Torniamo un momento indietro… lei ha detto che i diavoli non potrebbero lavorare insieme come stanno facendo loro. Perché?» E si affrettò ad aggiungere. «Non voglio dire, con questo, che siano posseduti dai diavoli.»
Selby disse: «Il diabolico tende a dividere non a costruire: almeno, così ci dice la religione. Ognuno per sé, e il più debole finisce al muro.»
«Può darsi che la religione si sbagli.»
«Ha conservato le stesse idee per molto tempo.» Selby si voltò, guardò fuori dalla finestra, dove la nebbia pareva diradarsi ancora. Quando si girò di nuovo, disse:
«Il fatto è che noi abbiamo modi diversi di spiegare le anormalità delle funzioni e del comportamento: ma sono tutti basati, più o meno, sull’esperienza. Si scoprono malattie nuove, forme nuove d’isterismo, ma sempre, in qualche misura, obbediscono alle vecchie leggi. Non si possono usare termini abituali per descrivere qualcosa che non ha precedenti. Diciamo che sono posseduti dai diavoli, se volete, ma questo non significa niente, non serve a niente. Non vi consiglierei di fare affidamento su un crocifisso inchiodato alla porta, o su una treccia d’aglio.»
Elizabeth disse: «Mi pareva che l’aglio servisse contro i lupi mannari. Oppure erano i vampiri?»
«I termini abituali non ci dicono niente,» disse Selby. «Niente.»
«Quindi,» fece George, «lei dice semplicemente che non comprendiamo quel che succede. È giusto, ma non ci porta molto avanti, non è vero?»
Selby scosse il capo. «No, non è questo che intendo dire.»
«Che cosa, allora?»
«Gli uomini hanno continuato a registrare le anormalità di se stessi e dei loro simili sin da quando hanno imparato a scarabocchiare dei segni sui papiri. Non mi risulta che sia mai accaduto qualcosa di simile a ciò che sta succedendo qui. Ecco perché ho detto che non ci sono precedenti. Ci troviamo alle prese con qualcosa che sembra sfruttare l’intelligenza umana, ma che non è umano. Se mai fosse esistito prima d’ora sulla Terra, gli uomini l’avrebbero incontrato.»
Elizabeth disse: «L’intelligenza non spunta dal nulla. Vuoi dire che la neve e il ghiaccio hanno acquistato la coscienza? O che cosa? Sarebbe più facile credere ai diavoli che a questo.»
«No,» disse Selby. «L’intelligenza non nasce dal nulla. Ha antecedenti.» Accennò con il capo alla finestra. «Quello ha antecendenti. Ma non sul nostro pianeta.»
Vi fu un silenzio prima che George chiedesse, sarcasticamente:
«Uomini venuti da Marte?»
«Dio sa da dove. E non sono uomini. Un’intelligenza capace di servirsi degli uomini.»
Douglas disse: «Crede che, come spiegazione, sia più probabile delle altre che ha scartato?»
«Sì, lo credo,» disse Selby. «Se dobbiamo credere agli astronomi moderni, le stelle dotate di sistemi planetari sono centinaia di migliaia, forse milioni. È probabile che alcuni di quei pianeti, o forse anche quasi tutti, abbiamo prodotto la vita. Non è necessario che sia simile a quella che conosciamo noi. Forse non la riconosceremmo neppure come vita, incontrandola.»
Douglas disse: «E allora come…?»
«Non lo so… Steve.» Si avvicinò al bambino e gli parlò sottovoce, ansiosamente: «Raccontami ancora cos’è successo all’inizio… quando la slitta è finita contro il banco di neve e si è rovesciata.»
Stephen aggrottò la fronte, sforzandosi di ricordare. «Siamo caduti. Almeno, Andy è caduto. Io sono riuscito a tenermi attaccato. Poi ho cominciato a tirare la slitta su per il pendio. L’ho chiamato perché mi aiutasse, ma lui non è venuto.»
«Perché?»
«Ha detto che aveva trovato qualcosa.»
«Ti ha detto che cosa?»
«No, ma io l’ho visto. Almeno, mi è sembrato che fosse quello. Una palla azzurra.»
«Com’era grande?»
«Non molto.»
«Come un pallone per il calcio?»
«No. Molto più piccola.»
«Una palla da tennis?»
«Forse. E scintillava.»
«Rifletteva il sole?»
«No. Non lo so. Lo scintillio… sembrava che venisse dall’interno.»
«E Andy l’ha toccata?»
«Credo di sì. C’era chinato sopra. È stato allora che è caduto.»
«Ma quando tu sei accorso e l’hai sollevato, la palla era scomparsa… svanita?»
«Sì. Ho guardato, ma non c’era più.»
George s’intromise: «E questo cosa vorrebbe dire, comunque? Una palla da tennis azzurra che sparisce… vorrebbe dirci che è la responsabile di tutto?»
Selby disse: «Le forme di vita parassitane sono piuttosto comuni. Ne conosciamo migliaia, sia piante che animali. Se fosse un’intelligenza parassita? Sulla Terra non esiste, ma potrebbe esistere altrove. Una spora d’intelligenza. In attesa di venire assorbita, e di puntare sul cervello, come il distoma epatico punta sul fegato della pecora.»
«Ma può esistere l’intelligenza pura?» chiese Douglas. «L’intelligenza non è un prodotto del cervello?»
«Sì, secondo quanto ne sappiamo attualmente,» disse Selby. «Ma il fatto è che le nostre conoscenze attuali non sono sufficienti a spiegare ciò che sta accadendo. Se i fatti non collimano, occorre un’ipotesi nuova. E non possiamo più spiegare tutto illudendoci che quegli individui siano impazziti. Dobbiamo renderci conto che sono un gruppo, operano per un fine di gruppo, e lavorano in un’armonia superiore a quella che può conseguire un gruppo di esseri umani. Questo presuppone qualcosa dietro di loro, o dentro di loro: qualcosa che è nel contempo intelligente e alieno.»
«E che è uscito da una palla da tennis azzurra?» domandò George.
Il tono era sarcastico, ma lui era irrequieto, notò Jane. Da parte sua, non sapeva se prendere o no sul serio ciò che diceva Selby. Non le pareva che avesse molta importanza. Nessuna spiegazione poteva aiutare Diana. Nella sofferenza del ricordo, si disse che era vero ciò che aveva detto a Selby: Diana era fuggita, si era avventurata tra la neve, e s’era nascosta da qualche parte, infreddolita e spaventata ma illesa. Almeno, era uscita con indosso un cappotto pesante.
Selby disse: «Il colore non ha importanza, direi, anche se l’azzurro è un effetto comune dell’azione di certe forme d’energia nell’atmosfera. Steve ha detto che splendeva dall’interno. Anche questo fa pensare all’energia. Non sappiamo di che genere. In quanto alla palla… una sfera è la forma tridimensionale più economica che esista.»
Douglas chiese: «Come pensa che sia arrivata qui?»
«Secondo un certo Arrhenius, la vita sarebbe venuta sulla Terra da un altro pianeta. Sotto forma di spore sospinte da raggi di luce.»
«I raggi di luce possono trasportare qualcosa?» chiese Douglas.
«Sì. È un effetto minimo, ma esiste. E la sfera non doveva avere una gran massa, se non m’inganno. Doveva essere, più o meno, energia pura.»
Douglas fece: «Quelle cose fluttuano nello spazio, scendono nell’atmosfera, e si posano, in attesa che qualcuno le raccolga… È questo che intende dire? Ebbene, dovrebbe essere già accaduto altre volte, no? Ma lei ha detto che non ci sono precedenti.»
«Stiamo parlando di tempi astronomici,» disse Selby. «E di distanze astronomiche. Occorrono oltre quattro anni, alla luce, per arrivare fin qui dalla stella più vicina, ed essere sospinti dalla luce non significa viaggiare alla sua velocità. La nostra galassia ha un diametro di centomila anni-luce. Può darsi che quella sfera viaggiasse già ai tempi in cui la Terra uscì dal sole.» E alzò le spalle. «Può anche darsi che non sia accaduto così. Ho solo indicato una possibilità.»
George disse: «Sembra molto interessante.» Il suo tono era pesantemente sarcastico. «Ma non mi pare che serva a molto.»