«Non faccia sciocchezze.»
«Devo raggiungerla,» disse George, «prima che…»
«Non può andare da solo. E dovremmo coprirci meglio. E prendere il fucile.» Selby esitò. «I catenacci sono stati tolti dall’interno, George.»
George fissò la base della porta. Poi disse:
«Sì. È uscita, vero?» Guardò i due uomini. «Andiamo a prendere il fucile.»
Gli uomini si stavano infilando i cappotti nel corridoio, quando Elizabeth, dal salotto, chiamò:
«Aspettate! Mi pare…» Poi, in tono diverso, disse: «Venite qui un momento.»
Era alla finestra, quando entrarono, e attirò silenziosamente la loro attenzione su ciò che aveva visto. La visibilità, adesso, era di una quarantina di metri. C’erano delle figure là fuori, al limite della visibilità, figure che si muovevano. Un raggio del sole tardo-pomeridiano filtrò dalla nebbia e ne illuminò una, poi due. Marie e Leonard Deeping. E la figuretta più piccola doveva essere Andy. Douglas cercò di contare… con il bambino, erano sei o sette? Sei come minimo.
Jane, accanto a lui, lanciò un piccolo grido d’orrore. Douglas le prese la mano, la sentì tremare.
«In fondo,» disse lei, «C’è…»
Era Diana. Il gruppo avanzava, su di un percorso che lo portava obliquamente rispetto alla facciata dello chalet: e via via che veniva avanti diventavano più riconoscibili. Il vecchio Peter, Ruth… e una figura più bassa, in mezzo, che camminava pesantemente nella neve, con un abito di lana grigia e il grembiule fiorato. Mandy.
Douglas disse, senza sapere se si rivolgeva a Jane o a George: «Mi dispiace.»
Con voce soffocata, Jane disse: «Io lo sapevo, naturalmente. Cercavo di non…»
George disse: «C’è andata spontaneamente, vero? Perché? Che cosa l’ha spinta a farlo?»
«Non si preoccupano se anche li vediamo,» disse Selby. «Però si tengono fuori della portata del fucile.» Si rivolse a George. «Vede, è inutile uscire, vero? Mandy è con loro. Qualunque cosa sia accaduta, adesso non sta con loro per forza.»
George fissava il punto in cui le figure stavano scomparendo nella nebbia, verso est.
«Sapevo che qualcosa non andava,» disse. «Lo capivo. Ma non sapevo che cosa. Avrei dovuto cercare di rimediare. Non avrei dovuto lasciarla sola.»
«Nessuno di noi deve più restare solo, d’ora innanzi,» disse Selby. «Non sappiamo come abbiano indotto Mandy a uscire. Forse stanno imparando a puntare sulle… ecco, sulle esigenze umane, sulle debolezze. Non capisco come possano riuscirci, però, se restiamo insieme.»
Elizabeth disse: «La porta della cantina…»
«Sì, l’abbiamo lasciata aperta.» Selby indicò la finestra con un cenno del capo. «Per il momento non dovrebbe esserci pericolo, ma puoi scendere con me.»
I loro passi lungo il corridoio echeggiarono, come in una casa vuota. Era assurdo, naturalmente. Erano ancora in cinque, più il bambino. Stephen guardava dalla finestra, nella direzione in cui erano scomparse le figure, sebbene ormai non vi fosse più nulla da vedere, tranne la nebbia e la neve.
George sbottò: «Ho bisogno di bere qualcosa.»
Andò al bar. Douglas si rivolse a Jane.
«Forse farebbe bene anche a lei, bere qualcosa.»
Jane scosse il capo. «No.» Si chinò verso il bambino. «Steve, continuiamo a giocare alla battaglia navale?»
Stephen si staccò lentamente dalla finestra. «Sì.»
Douglas stava per chiedere se poteva partecipare al gioco, ma poi scorse lo sguardo di lei. Era una implorazione, la supplica di essere lasciata sola con la sua infelicità, sola con il bambino, che non poteva ferirla con parole di conforto: che anzi l’avrebbe aiutata, perché lui stesso aveva bisogno di aiuto. Andarono in sala da pranzo, e Douglas rimase accanto alla finestra.
Sentiva un lieve brivido di paura. Gli altri erano andati, i Grainger, George, Jane e il bambino, e lui era lì solo. Era un abbandono temporaneo: tra poco sarebbero ritornati. Ma lui pensava cosa si doveva provare ad essere l’ultimo di quel gruppo sempre meno numeroso, abbandonato ad attendere Dio solo sapeva che cosa. Rabbrividì, involontariamente, e raggiunse George nel bar.
Una voce sconosciuta di donna stava parlando in francese, e quando Douglas entrò nel bar, vide che George aveva accesa la radio a transistor e l’ascoltava. Sul banco c’erano una bottiglia di brandy e una di whisky, e dei bicchieri capovolti, su di un telo. George li indicò, per invitare Douglas a servirsi. Si versò una dose abbondante di whisky, poi aggiunse la soda con il sifone. Mentre beveva, la porta si aprì ed entrò Selby. La radio tacque un momento, poi una voce d’uomo annunciò qualcosa in tedesco. George spense l’apparecchio.
«Previsioni del tempo,» disse. «Si serva, Selby.»
Selby prese la bottiglia di whisky.
«Buone o cattive?» chiese.
Prima di rispondere, George si versò del brandy, poi aggiunse quel che restava di una bottiglietta di ginger ale. Douglas ebbe una rapida, deprimente visione di tempeste di neve, di un ulteriore isolamento, con il pericolo che cresceva intorno a loro.
«Buone,» disse George. Bevve, facendo schioccare le labbra. «Non potrebbero essere migliori, anzi. Un po’ di nuvolosità, ma niente al di sotto dei diecimila piedi… tremilacinquecento metri nella loro versione. Molto al di sopra della nostra quota, comunque.»
«Bene,» disse Selby. «Molto bene. Quindi entro domattina…»
«Niente dovrebbe impedire a un esercito di elicotteri di atterrare qui. Comunque, a noi ne basta uno.»
Douglas chiese: «Dov’è Elizabeth?»
«Una domanda molto opportuna,» fece Selby in tono d’approvazione. «È con Jane e il bambino. E in cantina tutto è chiuso e sprangato. Siamo pronti a sostenere l’assedio.»
«Adesso sono più numerosi di noi,» disse Douglas. «Questo significa che ci attaccheranno?»
George scosse il capo. «Ne dubito. Due uomini soltanto. E noi abbiamo il fucile.»
Selby disse: «A meno che siano convinti che noi esiteremmo a fare del male ai nostri…» S’interruppe. «A persone che conosciamo. O a esseri identici a loro.»
George fece, torvo: «Se la pensano così, si accorgeranno di aver commesso un errore. Il mio migliore amico fu beccato su Colonia… era esploso nel vano bombe, e bloccava il meccanismo di sgancio. Dovevo tirarlo fuori perché, a parte il resto, non era sicuro che in una delle bombe non fosse scattata la spoletta a orologeria. Lo tirai fuori. Pezzo per pezzo. E poi le bombe.»
«Ma lui non camminava,» disse Selby, «e non la guardava in faccia.»
«Mandy è morta,» disse George. «È un’altra cosa che imparai allora… ad accettare la morte, quando viene.» Alzò il bicchiere e lo vuotò. «È inutile piangere sulla morte. Sparerò a vista, e senza esitazioni, su quello che si sta servendo del corpo di Mandy.»
Non era possibile dubitare della sua decisione ferrea. Dopo una pausa, Selby disse:
«No, non credo che tenteranno un attacco in massa. Dal punto di vista della forza fisica c’è equilibrio… Elizabeth e Jane sono entrambe più forti, direi, delle donne là fuori: e come ha detto, noi abbiamo il fucile. Ma qualcosa faranno. La pressione si è alzata, e anche se non hanno sentito le previsioni del tempo, capiranno che molto probabilmente non resteremo isolati ancora a lungo. Se non sistemano la partita stanotte, probabilmente non ce la faranno mai. E la posta in gioco è altissima.»
«Dormiremo tutti in salotto,» disse George. «Possiamo portare giù i materassi dalle stanze da letto. E monteremo di guardia a due per volta.»
Douglas guardò fuori dalla finestra. Il giorno svaniva rapidamente: la foschia nebbiosa era dorata, bassa sull’orizzonte. Adesso poteva scorgere chiaramente il facile pendio dove, pochi giorni prima, aveva cercato d’imparare a sciare. Era difficile crederlo: sembrava che l’incubo durasse da sempre. La chiazza d’oro si contrasse e all’improvviso svanì, lasciando solo il grigiore. Il sole doveva essere dietro il Grammont. Ancora una notte soltanto, ma sarebbe stata molto lunga.