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“ È lui senz'altro! ” disse tra sé, e alzò le mani al cielo, con un movimento di maraviglia scontenta, restandogli sospeso in aria il bastone che teneva nella destra; e si vedevano quelle povere braccia ballar nelle maniche, dove altre volte stavano appena per l'appunto. Renzo gli andò incontro, allungando il passo, e gli fece una riverenza; ché, sebbene si fossero lasciati come sapete, era però sempre il suo curato.

- Siete qui, voi? - esclamò don Abbondio.

- Son qui, come lei vede. Si sa niente di Lucia?

- Che volete che se ne sappia? Non se ne sa niente. È a Milano, se pure è ancora in questo mondo. Ma voi...

- E Agnese, è viva?

- Può essere; ma chi volete che lo sappia? non è qui. Ma...

- Dov'è?

- È andata a starsene nella Valsassina, da que' suoi parenti, a Pasturo, sapete bene; ché là dicono che la peste non faccia il diavolo come qui. Ma voi, dico...

- Questa la mi dispiace. E il padre Cristoforo...?

- È andato via che è un pezzo. Ma...

- Lo sapevo; me l'hanno fatto scrivere: domandavo se per caso fosse tornato da queste parti.

- Oh giusto! non se n'è più sentito parlare. Ma voi...

- La mi dispiace anche questa.

- Ma voi, dico, cosa venite a far da queste parti, per l'amor del cielo? Non sapete che bagattella di cattura...?

- Cosa m'importa? Hanno altro da pensare. Ho voluto venire anch'io una volta a vedere i fatti miei. E non si sa proprio...?

- Cosa volete vedere? che or ora non c'è più nessuno, non c'è più niente. E dico, con quella bagattella di cattura, venir qui, proprio in paese, in bocca al lupo, c'è giudizio? Fate a modo d'un vecchio che è obbligato ad averne più di voi, e che vi parla per l'amore che vi porta; legatevi le scarpe bene, e, prima che nessuno vi veda, tornate di dove siete venuto; e se siete stato visto, tanto più tornatevene di corsa. Vi pare che sia aria per voi, questa? Non sapete che sono venuti a cercarvi, che hanno frugato, frugato, buttato sottosopra...

- Lo so pur troppo, birboni!

- Ma dunque...!

- Ma se le dico che non ci penso. E colui, è vivo ancora? è qui?

- Vi dico che non c'è nessuno; vi dico che non pensiate alle cose di qui; vi dico che...

- Domando se è qui, colui.

- Oh santo cielo! Parlate meglio. Possibile che abbiate ancora addosso tutto quel fuoco, dopo tante cose!

- C'è, o non c'è?

- Non c'è, via. Ma, e la peste, figliuolo, la peste! Chi è che vada in giro, in questi tempi?

- Se non ci fosse altro che la peste in questo mondo... dico per me: l'ho avuta, e son franco.

- Ma dunque! ma dunque! non sono avvisi questi? Quando se n'è scampata una di questa sorte, mi pare che si dovrebbe ringraziare il cielo, e...

- Lo ringrazio bene.

- E non andarne a cercar dell'altre, dico. Fate a modo mio...

- L'ha avuta anche lei, signor curato, se non m'inganno.

- Se l'ho avuta! Perfida e infame è stata: son qui per miracolo: basta dire che m'ha conciato in questa maniera che vedete. Ora avevo proprio bisogno d'un po' di quiete, per rimettermi in tono: via, cominciavo a stare un po' meglio... In nome del cielo, cosa venite a far qui? Tornate...

- Sempre l'ha con questo tornare, lei. Per tornare, tanto n'avevo a non movermi. Dice: cosa venite? cosa venite? Oh bella! vengo, anch'io, a casa mia.

- Casa vostra...

- Mi dica; ne son morti molti qui?...

- Eh eh! - esclamò don Abbondio; e, cominciando da Perpetua, nominò una filastrocca di persone e di famiglie intere. Renzo s'aspettava pur troppo qualcosa di simile; ma al sentir tanti nomi di persone che conosceva, d'amici, di parenti, stava addolorato, col capo basso, esclamando ogni momento: - poverino! poverina! poverini!

- Vedete! - continuò don Abbondio: - e non è finita. Se quelli che restano non metton giudizio questa volta, e scacciar tutti i grilli dalla testa, non c'è più altro che la fine del mondo.

- Non dubiti; che già non fo conto di fermarmi qui.

- Ah! sia ringraziato il cielo, che la v'è entrata! E, già s'intende, fate ben conto di ritornar sul bergamasco.

- Di questo non si prenda pensiero.

- Che! non vorreste già farmi qualche sproposito peggio di questo?

- Lei non ci pensi, dico; tocca a me: non son più bambino: ho l'uso della ragione. Spero che, a buon conto, non dirà a nessuno d'avermi visto. È sacerdote; sono una sua pecora: non mi vorrà tradire.

- Ho inteso, - disse don Abbondio, sospirando stizzosamente: - ho inteso. Volete rovinarvi voi, e rovinarmi me. Non vi basta di quelle che avete passate voi; non vi basta di quelle che ho passate io. Ho inteso, ho inteso -. E, continuando a borbottar tra i denti quest'ultime parole, riprese per la sua strada.

Renzo rimase lì tristo e scontento, a pensar dove anderebbe a fermarsi. In quella enumerazion di morti fattagli da don Abbondio, c'era una famiglia di contadini portata via tutta dal contagio, salvo un giovinotto, dell'età di Renzo a un di presso, e suo compagno fin da piccino; la casa era pochi passi fuori del paese. Pensò d'andar lì.

E andando, passò davanti alla sua vigna; e già dal di fuori poté subito argomentare in che stato la fosse. Una vetticciola, una fronda d'albero di quelli che ci aveva lasciati, non si vedeva passare il muro; se qualcosa si vedeva, era tutta roba venuta in sua assenza. S'affacciò all'apertura (del cancello non c'eran più neppure i gangheri); diede un'occhiata in giro: povera vigna! Per due inverni di seguito, la gente del paese era andata a far legna - nel luogo di quel poverino -, come dicevano. Viti, gelsi, frutti d'ogni sorte, tutto era stato strappato alla peggio, o tagliato al piede. Si vedevano però ancora i vestigi dell'antica coltura: giovani tralci, in righe spezzate, ma che pure segnavano la traccia de' filari desolati; qua e là, rimessiticci o getti di gelsi, di fichi, di peschi, di ciliegi, di susini; ma anche questo si vedeva sparso, soffogato, in mezzo a una nuova, varia e fitta generazione, nata e cresciuta senza l'aiuto della man dell'uomo. Era una marmaglia d'ortiche, di felci, di logli, di gramigne, di farinelli, d'avene salvatiche, d'amaranti verdi, di radicchielle, d'acetoselle, di panicastrelle e d'altrettali piante; di quelle, voglio dire, di cui il contadino d'ogni paese ha fatto una gran classe a modo suo, denominandole erbacce, o qualcosa di simile. Era un guazzabuglio di steli, che facevano a soverchiarsi l'uno con l'altro nell'aria, o a passarsi avanti, strisciando sul terreno, a rubarsi in somma il posto per ogni verso; una confusione di foglie, di fiori, di frutti, di cento colori, di cento forme, di cento grandezze: spighette, pannocchiette, ciocche, mazzetti, capolini bianchi, rossi, gialli, azzurri. Tra questa marmaglia di piante ce n'era alcune di più rilevate e vistose, non però migliori, almeno la più parte: l'uva turca, più alta di tutte, co' suoi rami allargati, rosseggianti, co' suoi pomposi foglioni verdecupi, alcuni già orlati di porpora, co' suoi grappoli ripiegati, guarniti di bacche paonazze al basso, più su di porporine, poi di verdi, e in cima di fiorellini biancastri; il tasso barbasso, con le sue gran foglie lanose a terra, e lo stelo diritto all'aria, e le lunghe spighe sparse e come stellate di vivi fiori gialli: cardi, ispidi ne' rami, nelle foglie, ne' calici, donde uscivano ciuffetti di fiori bianchi o porporini, ovvero si staccavano, portati via dal vento, pennacchioli argentei e leggieri. Qui una quantità di vilucchioni arrampicati e avvoltati a' nuovi rampolli d'un gelso, gli avevan tutti ricoperti delle lor foglie ciondoloni, e spenzolavano dalla cima di quelli le lor campanelle candide e molli: là una zucca salvatica, co' suoi chicchi vermigli, s'era avviticchiata ai nuovi tralci d'una vite; la quale, cercato invano un più saldo sostegno, aveva attaccati a vicenda i suoi viticci a quella; e, mescolando i loro deboli steli e le loro foglie poco diverse, si tiravan giù, pure a vicenda, come accade spesso ai deboli che si prendon l'uno con l'altro per appoggio. Il rovo era per tutto; andava da una pianta all'altra, saliva, scendeva, ripiegava i rami o gli stendeva, secondo gli riuscisse; e, attraversato davanti al limitare stesso, pareva che fosse lì per contrastare il passo, anche al padrone.