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Ma questo non si curava d'entrare in una tal vigna; e forse non istette tanto a guardarla, quanto noi a farne questo po' di schizzo. Tirò di lungo: poco lontano c'era la sua casa; attraversò l'orto, camminando fino a mezza gamba tra l'erbacce di cui era popolato, coperto, come la vigna. Mise piede sulla soglia d'una delle due stanze che c'era a terreno: al rumore de' suoi passi, al suo affacciarsi, uno scompiglìo, uno scappare incrocicchiato di topacci, un cacciarsi dentro il sudiciume che copriva tutto il pavimento: era ancora il letto de' lanzichenecchi. Diede un'occhiata alle pareti: scrostate, imbrattate, affumicate. Alzò gli occhi al palco: un parato di ragnateli. Non c'era altro. Se n'andò anche di là, mettendosi le mani ne' capelli; tornò indietro, rifacendo il sentiero che aveva aperto lui, un momento prima; dopo pochi passi, prese un'altra straducola a mancina, che metteva ne' campi; e senza veder né sentire anima vivente, arrivò vicino alla casetta dove aveva pensato di fermarsi. Già principiava a farsi buio. L'amico era sull'uscio, a sedere sur un panchetto di legno, con le braccia incrociate, con gli occhi fissi al cielo, come un uomo sbalordito dalle disgrazie, e insalvatichito dalla solitudine. Sentendo un calpestìo, si voltò a guardar chi fosse, e, a quel che gli parve di vedere così al barlume, tra i rami e le fronde, disse, ad alta voce, rizzandosi e alzando le mani: - non ci son che io? non ne ho fatto abbastanza ieri? Lasciatemi un po' stare, che sarà anche questa un'opera di misericordia.

Renzo, non sapendo cosa volesse dir questo, gli rispose chiamandolo per nome.

- Renzo...! - disse quello, esclamando insieme e interrogando.

- Proprio, - disse Renzo; e si corsero incontro.

- Sei proprio tu! - disse l'amico, quando furon vicini: - oh che gusto ho di vederti! Chi l'avrebbe pensato? T'avevo preso per Paolin de' morti, che vien sempre a tormentarmi, perché vada a sotterrare. Sai che son rimasto solo? solo! solo, come un romito!

- Lo so pur troppo, - disse Renzo. E così, barattando e mescolando in fretta saluti, domande e risposte, entrarono insieme nella casuccia. E lì, senza sospendere i discorsi, l'amico si mise in faccende per fare un po' d'onore a Renzo, come si poteva così all'improvviso e in quel tempo. Mise l'acqua al fuoco, e cominciò a far la polenta; ma cedé poi il matterello a Renzo, perché la dimenasse; e se n'andò dicendo: - son rimasto solo; ma! son rimasto solo!

Tornò con un piccol secchio di latte, con un po' di carne secca, con un paio di raveggioli, con fichi e pesche; e posato il tutto, scodellata la polenta sulla tafferìa, si misero insieme a tavola, ringraziandosi scambievolmente, l'uno della visita, l'altro del ricevimento. E, dopo un'assenza di forse due anni, si trovarono a un tratto molto più amici di quello che avesser mai saputo d'essere nel tempo che si vedevano quasi ogni giorno; perché all'uno e all'altro, dice qui il manoscritto, eran toccate di quelle cose che fanno conoscere che balsamo sia all'animo la benevolenza; tanto quella che si sente, quanto quella che si trova negli altri.

Certo, nessuno poteva tenere presso di Renzo il luogo d'Agnese, né consolarlo della di lei assenza, non solo per quell'antica e speciale affezione, ma anche perché, tra le cose che a lui premeva di decifrare, ce n'era una di cui essa sola aveva la chiave. Stette un momento tra due, se dovesse continuare il suo viaggio, o andar prima in cerca d'Agnese, giacché n'era così poco lontano; ma, considerato che della salute di Lucia, Agnese non ne saprebbe nulla, restò nel primo proposito d'andare addirittura a levarsi questo dubbio, a aver la sua sentenza, e di portar poi lui le nuove alla madre. Però, anche dall'amico seppe molte cose che ignorava, e di molte venne in chiaro che non sapeva bene, sui casi di Lucia, e sulle persecuzioni che gli avevan fatte a lui, e come don Rodrigo se n'era andato con la coda tra le gambe, e non s'era più veduto da quelle parti; insomma su tutto quell'intreccio di cose. Seppe anche (e non era per Renzo cognizione di poca importanza) come fosse proprio il casato di don Ferrante: ché Agnese gliel aveva bensì fatto scrivere dal suo segretario; ma sa il cielo com'era stato scritto; e l'interprete bergamasco, nel leggergli la lettera, n'aveva fatta una parola tale, che, se Renzo fosse andato con essa a cercar ricapito di quella casa in Milano, probabilmente non avrebbe trovato persona che indovinasse di chi voleva parlare. Eppure quello era l'unico filo che avesse, per andar in cerca di Lucia. In quanto alla giustizia, poté confermarsi sempre più ch'era un pericolo abbastanza lontano, per non darsene gran pensiero: il signor podestà era morto di peste: chi sa quando se ne manderebbe un altro; anche la sbirraglia se n'era andata la più parte; quelli che rimanevano, avevan tutt'altro da pensare che alle cose vecchie.

Raccontò anche lui all'amico le sue vicende, e n'ebbe in contraccambio cento storie, del passaggio dell'esercito, della peste, d'untori, di prodigi. - Son cose brutte, - disse l'amico, accompagnando Renzo in una camera che il contagio aveva resa disabitata; - cose che non si sarebbe mai creduto di vedere; cose da levarvi l'allegria per tutta la vita; ma però, a parlarne tra amici, è un sollievo.

Allo spuntar del giorno, eran tutt'e due in cucina; Renzo in arnese da viaggio, con la sua cintura nascosta sotto il farsetto, e il coltellaccio nel taschino de' calzoni: il fagottino, per andar più lesto, lo lasciò in deposito presso all'ospite. - Se la mi va bene, - gli disse, - se la trovo in vita, se... basta... ripasso di qui; corro a Pasturo, a dar la buona nuova a quella povera Agnese, e poi, e poi... Ma se, per disgrazia, per disgrazia che Dio non voglia... allora, non so quel che farò, non so dov'anderò: certo, da queste parti non mi vedete più -. E così parlando, ritto sulla soglia dell'uscio, con la testa per aria, guardava con un misto di tenerezza e d'accoramento, l'aurora del suo paese che non aveva più veduta da tanto tempo. L'amico gli disse, come s'usa, di sperar bene; volle che prendesse con sé qualcosa da mangiare; l'accompagnò per un pezzetto di strada, e lo lasciò con nuovi augùri.

Renzo, s'incamminò con la sua pace, bastandogli d'arrivar vicino a Milano in quel giorno, per entrarci il seguente, di buon'ora, e cominciar subito la sua ricerca. Il viaggio fu senza accidenti e senza nulla che potesse distrar Renzo da' suoi pensieri, fuorché le solite miserie e malinconie. Come aveva fatto il giorno avanti, si fermò a suo tempo, in un boschetto a mangiare un boccone, e a riposarsi. Passando per Monza, davanti a una bottega aperta, dove c'era de' pani in mostra, ne chiese due, per non rimanere sprovvisto, in ogni caso. Il fornaio, gl'intimò di non entrare, e gli porse sur una piccola pala una scodelletta, con dentro acqua e aceto, dicendogli che buttasse lì i danari; e fatto questo, con certe molle, gli porse, l'uno dopo l'altro, i due pani, che Renzo si mise uno per tasca.

Verso sera, arriva a Greco, senza però saperne il nome; ma, tra un po' di memoria de' luoghi, che gli era rimasta dell'altro viaggio, e il calcolo del cammino fatto da Monza in poi, congetturando che doveva esser poco lontano dalla città, uscì dalla strada maestra, per andar ne' campi in cerca di qualche cascinotto, e lì passar la notte; ché con osterie non si voleva impicciare. Trovò meglio di quel che cercava: vide un'apertura in una siepe che cingeva il cortile d'una cascina; entrò a buon conto. Non c'era nessuno: vide da un canto un gran portico, con sotto del fieno ammontato, e a quello appoggiata una scala a mano; diede un'occhiata in giro, e poi salì alla ventura; s'accomodò per dormire, e infatti s'addormentò subito, per non destarsi che all'alba. Allora, andò carpon carponi verso l'orlo di quel gran letto; mise la testa fuori, e non vedendo nessuno, scese di dov'era salito, uscì di dov'era entrato, s'incamminò per viottole, prendendo per sua stella polare il duomo; e dopo un brevissimo cammino, venne a sbucar sotto le mura di Milano, tra porta Orientale e porta Nuova, e molto vicino a questa.