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«Una farsa davvero,» convenne Gardius. «Comunque, se mi tiri fuori da questo recinto, sarò felice di riprovarci.»

L’Alto Ricognitore scosse la testa. «Ah, mio caro amico, temo di essere impotente. Ormai sei fuori dalle mie mani. Il Patriarca sarebbe indignato se mi immischiassi con le forniture di manodopera. Potevo trattare con te quando avevi un permesso di visitatore. Allora eri inviolabile.

«Ti ho chiesto che mi portassi Arman. Invece è lui che mi ha portato te. Non ti voglio male, ma non ho per te nemmeno gratitudine. No, Gardius, per Maxus vali più come operaio che come rapitore. Servi bene, comportati bene, e fai che non senta più parlare di te.»

Lo schermo si spense.

Gardius rimase a fissarlo, con la bocca ancora piena di parole. Dietro a lui il luogotenente disse con voce pratica: «Riportatelo nel salone.»

Gardius si abituò alle costanti perizie effettuate nel salone. Sovrintendenti al personale con occhi rigorosi valutavano la sua resistenza, la forza, la flessibilità. Signori alla ricerca di azzimati lacchè consideravano il suo equilibrio e il portamento. Le signore delle grandi case di città adorne di colonne, che cercavano valletti e servitori, studiavano il suo fisico e i suoi lineamenti.

Una faccia dal naso ossuto e le labbra sottili attirò la sua attenzione. Guardandolo, il proprietario della faccia corrugò perplesso la fronte, poi si girò eccitato verso un compagno e lo indicò. Gardius lo riconobbe. «Lord Spangle,» mormorò fra sé. «Sono nei guai.»

L’asta era quello stesso pomeriggio. Ad uno ad uno gli occupanti del salone vennero chiamati fuori nell’arena. Il turno di Gardius venne quasi subito. Uscì e rimase immobile a guardare duramente verso la folla.

Il banditore gli sussurrò: «Cerca di assumere un atteggiamento piacevole, ragazzo, ci sono delle signore. Se non riesci ad accaparrarti una signora, sono le miniere o i metalli pesanti, è lì che hanno bisogno di uomini rudi come te. Quindi sii amabile e sorridi alle donne che fanno delle offerte, e forse ti guadagnerai un morbido letto.»

Alzò la voce. «Un uomo da Exar, avvenente e con muscoli sviluppati. Guardate il torace eccellente, osservate il collo diritto, i piedi forti. Un uomo valido in ogni campo, perciò, signore e signori, fatemi sentire le vostre offerte.»

«Ottocento milreis.»

«Ottocento e cinquanta»… «Novecento e cinquanta…» Dicevano le voci impassibili e caute degli addetti agli impianti industriali.

«Mille milreis,» disse una voce roca, con un tono giulivo. Gardius la riconobbe, era quella di Lord Spangle. Suo malgrado Gardius si guardò attorno, e incrociò gli occhi di Spangle. Spangle stava sussurrando da dietro la mano nell’orecchio di un uomo con un sontuoso farsetto giallo e verde, nel quale Gardius riconobbe Lord Jonas.

Con voce esitante, una donna disse: «Mille e cento.»

«Mille e cento e cinquanta,» disse uno dei sovrintendenti. Gli altri tacquero, e si rilassarono ai loro posti.

«Mille e duecento,» disse Spangle con rapidità e sicurezza.

Il banditore disse: «Andiamo, signore, signori, un po’ più di brio. Su la voce, su la voce! Questo è un uomo di valore. È intelligente, ha studiato al Collegio Tecnico di Exar. È un ingegnere qualificato, sagace e affidabile. Parlate, adesso, parlate. Chi dice mille e cinquecento?»

Uno dei sovrintendenti fece per muoversi, ma una donna grossa e ossuta levò un dito. «Mille e trecento.» E il sovrintendente rimase calmo al suo posto.

Con voce suadente Spangle disse: «Mille e quattrocento.»

«Mille quattrocento e cinquanta,» disse la donna con voce decisa.

Jonas rise a un commento di Spangle e disse: «Mille e cinquecento.»

«Mille e seicento,» disse Spangle guardando Jonas con aria di rimprovero.

La donna ossuta tirò su col naso e distolse lo sguardo.

«Mille e seicento? Mille e seicento?» abbaiò il banditore. «Ho sentito mille e settecento?»

«Mille e settecento,» disse una voce acuta vicino alla parete.

«Mille e ottocento,» disse una donna dal fondo.

«Mille e novecento,» disse Spangle acidamente.

«Duemila,» disse la donna.

Spangle, un poco a disagio, mormorò qualcosa a Jonas, poi si strinse nelle spalle. «Duemila e cento.»

«Duemila e duecento,» ancora la donna.

«Un’offerta di duemila e duecento,» gridò il banditore. «Un uomo bello e valido, un buon lavoratore, lo garantisco. Duemila e trecento? Chi dice duemila e trecento?»

Silenzio. Spangle aprì a metà la bocca per parlare, poi la richiuse fissando l’impassibile Gardius con un astio da serpente.

«Venduto allora!» gridò il banditore. «Venduto alla signora per duemila e duecento milreis.» Si girò verso Gardius. «Scendi, e vai alla scrivania per la registrazione.»

Gardius attraversò l’arena senza una parola, e si avvicinò alla donna che era già al tavolo. La guardò, e i suoi passi vacillarono. «Mardien!»

Mardien sorrise, e Gardius vide che aveva gli occhi umidi. «Era il meno che potessi fare per te, Jaime.»

Fuori sotto il cielo grigio del tardo pomeriggio, fuori sullo svincolo, oltre i magazzini di mattoni neri, bui e sudaticci. Attraversarono un tunnel, e, quando uscirono di nuovo nella luce, la nebbia umida accarezzò loro le guance. Oltrepassarono le eleganti case di città, percorsero un altro tunnel freddo e bagnato, e si ritrovarono nel frenetico cuore di Alambar.

Gardius, imbarazzato per non avere mai appreso l’arte della conversazione aggraziata, disse: «Suppongo di doverti ringraziare.» Poi fece una pausa, a disagio.

Mardien girò la testa. «Ebbene?»

Gardius rise. «Grazie. Anche se non capisco perché tu… mi hai salvato. Un paio di settimane fa eri felice di vedermi morto. Mi hai sparato tu stessa.»

«Questo è stato due… o meglio, tre settimane fa. Da allora ho pensato molto. E credo, in queste tre settimane, di essermi lasciata alle spalle la giovinezza.»

«Lì c’è una taverna,» disse Gardius. «Sediamoci.»

Era un edificio piatto di mattoni smaltati, con una porta quadrata di legno dipinta di rosso ruggine. L’interno era caldo e tranquillo. La luce filtrava dalle finestre di vetro decorato, e cadeva gradevolmente sui tavoli dove si sedettero.

Vennero loro serviti cracker e pesci salati, e poco dopo una grande bottiglia panciuta di vino caldo, che nei tazzoni splendeva contemporaneamente di color verde acqua e rosa. Guardando Mardien dall’altra parte del tavolo, Gardius si rilassò del tutto. Mardien si sporse verso di lui, gli prese una mano con entrambe le sue. «Jaime… sono confusa.»

«Devi avere raggiunto qualche conclusione, o non saresti venuta a prendermi.»

Mardien si morsicò un labbro, esitante. «Non lo so. Ci sono tante incertezze, tante opinioni su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.»

«La certezza è dentro di te. Si sta solo facendo riconoscere.»

Con un sorriso mesto Mardien gli chiese: «E tu come fai a esserne così sicuro?»

«Perché sei qui con me. Invece di essere con quel tuo… invece di essere con Arman.»

L’ultima parte della frase era così evidentemente intrisa di amarezza che Mardien ritirò la mano. Poi disse: «Jaime, io credo che tu sia davvero geloso. Ti ho accusato una volta, ma non lo credevo. Lo sei davvero?»

«No. Sarei un presuntuoso.»

«Ma lo sei, vero?»

«No. Nella mia vita non c’è posto per… per le donne.»

«Intendi dire una donna come me, giusto?»

«Suppongo di sì.»

«Jaime, io non sono, non sono mai stata, non ho mai voluto essere altro per Arman se non una seguace, un’Armanita.» Distolse lo sguardo, arrossì un poco. «Se puoi tollerare un entusiasmo perfettamente normale e la venerazione per un eroe. Avrebbe potuto avermi se fosse stato meno ambiguo.