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— Ma io non ho detto nemmeno una parola! — disse Shevek, rivolto a Pae.

— Naturalmente, no. Non abbiamo permesso che il mucchio di giornalisti le arrivasse vicino. Ma questo non è certo d’ostacolo per l’immaginazione di un giornalista scandalistico! Riferiranno sempre che avete detto ciò che a loro più garba, indipendentemente da quello che avrete, o non avrete, detto.

Shevek si mordicchiò il labbro. — Be’ — disse infine, — se avessi detto qualcosa, si sarebbe trattato di qualcosa di simile. Ma cosa vuol dire «pancetiano»?

— I Terrestri ci chiamano Cetiani. Dalla parola con cui indicano il nostro sole, mi pare. La stampa popolare ha raccolto questa parola negli ultimi tempi: è una sorta di moda del momento.

— Allora «pan-cetiano» significa Urras e Anarres insieme?

— Penso di sì — disse Pae, con ostentato disinteresse.

Shevek continuò la lettura del giornale. Lesse che era un uomo gigantesco, torreggiante, che non si radeva e che possedeva una «criniera», di qualunque cosa si trattasse, tendente al grigio, che aveva trentasette, quarantratré e cinquantasei anni; che aveva scritto una grande opera di fisica chiamata (il nome esatto variava a seconda dei giornali), Principali della Simultaneità o Princìpi di Simultenìa, che era un ambasciatore amichevole proveniente dal governo degli Odoniani, che era vegetariano, e che, come ogni altro Anarresiano, non beveva. A questo, interruppe la lettura e rise fino a provare dolore alle costole. — Accidenti, hanno davvero dell’immaginazione! Cosa credono, che viviamo di vapore acqueo, come il muschio?

— Intendono dire che lei non beve alcolici — rispose Pae, anch’egli ridendo. — L’unica cosa che tutti sanno, a proposito degli Odoniani, secondo me, è il fatto che non bevete alcolici. Anzi, è vero?

— Alcuni distillano alcool dalle radici fermentate di holum, per berlo. Dicono che dà libero gioco al loro inconscio, come l’addestramento delle onde cerebrali. Ma la maggior parte della gente preferisce quest’ultimo modo: è molto semplice e non causa la malattia. Qui è molto comune?

— Be’, bere alcolici è comune. Quanto alla malattia, non saprei. Come si chiama?

— Alcolismo, mi pare.

— Oh, comprendo… Ma come fanno i lavoratori, su Anarres, per avere un po’ di allegria, per sfuggire per una sera a tutte le sventure del mondo messe insieme?

Shevek parve sorpreso. — Be’, noi… Non so. Forse alle nostre sventure non si può sfuggire?

— Curioso — disse Pae, e sorrise in modo disarmante.

Shevek continuò a leggere. Uno dei giornali era scritto in una lingua ch’egli non conosceva, e uno addirittura in un altro alfabeto. Il primo veniva da Thu, spiegò Pae, e il secondo dal Benbili, una nazione dell’emisfero occidentale. Il giornale proveniente da Thu era ben stampato e aveva un aspetto assai sobrio; Pae spiegò che si trattava di una pubblicazione edita dal governo. — Qui in A-Io, vede, la gente istruita apprende le notizie per telefono, per radio e per televisione, e leggendo i settimanali. I giornali come questi vengono letti quasi esclusivamente dalle classi inferiori… sono scritti da semianalfabeti per semianalfabeti, come lei stesso ha potuto vedere. In A-Io c’è completa libertà di stampa, la qual cosa, inevitabilmente, comporta che si stampi un mucchio di robaccia. Il giornale thuviano è scritto molto meglio, ma riporta unicamente i fatti che il Presidio Centrale Thuviano desidera rendere noti. La censura è assoluta, in Thu. Lo stato è tutto, ed ogni cosa è per lo stato. Non è certamente il posto più adatto a un Odoniano, eh, signore?

— E questo giornale?

— Non ne ho idea. Il Benbili è una nazione arretrata. Laggiù c’è sempre qualche rivoluzione.

— Un gruppo di persone abitanti nel Benbili ci ha inviato un messaggio sulla lunghezza d’onda del nostro gruppo, poco prima che lasciassi Abbenay. Affermavano di essere Odoniani. Ci sono dei gruppi come quello, qui in A-Io?

— No, per quanto ne posso sapere io, dottor Shevek.

Il muro. Shevek ormai sapeva riconoscere il muro, quando arrivava vicino ad esso. Il muro era costituito dalla simpatia di questo giovanotto, dalla sua cortesia, dalla sua indifferenza.

— Ho l’impressione che lei abbia paura di me, Pae — disse d’improvviso, amichevolmente.

— Paura di lei, signore?

— Sì, poiché io sono, con la mia esistenza stessa, una testimonianza contro la necessità dello stato. Ma che c’è, di temibile? Io non le farò mai del male, Saio Pae, lei lo sa. Io, come persona, sono del tutto innocuo… anzi, senta, io non sono un dottore. Noi non usiamo titoli. Io mi chiamo Shevek, e basta.

— Lo so, mi scusi, signore. Ai nostri occhi, capisca, sembra una mancanza di rispetto. Non sembra giusto, ecco tutto… — Si scusava in modo accattivante, aspettandosi il perdono.

— Non può semplicemente accettarmi come un suo uguale? — chiese Shevek, guardandolo senza collera, ma anche senza mostrare di averlo perdonato.

Per una volta, Pae rimase imbarazzato. — Ma veramente, signore, lei è, lo sa, un uomo tanto importante…

— Non c’è allora motivo di cambiare le sue abitudini per me — disse Shevek. — Non importa. Pensavo che lei potesse essere lieto di liberarsi di una cosa non necessaria, tutto qui.

Dopo tre giorni di confino tra quattro mura, Shevek era carico di energie superflue, e quando ritornò libero sottopose a un notevole sforzo coloro che lo scortavano, nella sua sete iniziale di vedere tutto, e tutto insieme. Lo condussero a visitare l’Università, che era una città completa in se stessa, e la facoltà. Con i suoi dormitori, refettori, aule, sale di riunione, e così via, non era molto diversa da una qualsiasi comunità Odoniana, ad eccezione del fatto che era molto antica, esclusivamente maschile, incredibilmente lussuosa e non era organizzata federativamente, bensì gerarchicamente, dalla cima al fondo. Tuttavia, pensò, dava il senso di una comunità. Egli dovette ricordare a se stesso le differenze.

Venne condotto fuori in auto prese a nolo: macchine splendide, di un’eleganza bizzarra. Non ce n’erano molte per la strada: il noleggio era caro, e poche persone possedevano un’auto personale, poiché erano tassate pesantemente. Tutti quei lussi che, se fossero stati permessi liberamente al pubblico, avrebbero consumato risorse naturali insostituibili o avrebbero inquinato l’ambiente con prodotti di scarico, erano strettamente controllati per mezzo di leggi e di tasse. Le sue guide sottolinearono questi particolari, con un certo orgoglio. A-Io era da secoli all’avanguardia, gli dissero, nel controllo ecologico e nella preservazione delle risorse naturali. Gli eccessi del Nono Millennio erano storia antica, e il loro unico effetto duraturo era la scarsità di taluni metalli, che fortunatamente potevano essere importati dalla Luna.

Viaggiando in auto o in treno, egli vide paesi, case coloniche, cittadine; fortezze risalenti ai giorni del feudalesimo; le torri in rovina di Ae, antica capitale di un impero, vecchie di quarantaquattro secoli. Vide i campi coltivati, i laghi e le montagne della provincia AEana, cuore dell’A-Io, e, all’orizzonte settentrionale, le cime dei Monti Meitei, bianche e gigantesche. La bellezza della terra e il benessere dei suoi abitanti furono per lui una continua meraviglia. Le sue guide avevano ragione: gli urrasiani sapevano come usare il loro mondo. Gli era stato insegnato da bambino che Urras era una massa in suppurazione di ineguaglianza, iniquità e spreco. Ma tutta la gente che incontrava, e tutta la gente che vedeva, nei minimi paesini di campagna, era ben vestita, ben nutrita, e, contrariamente alle sue previsioni, assai industriosa. Non se ne stava ferma immobile, con lo sguardo torvo, in attesa che qualcuno le desse l’ordine di fare una certa cosa. Esattamente come gli anarresiani, si dava da fare, semplicemente, per fare ciò che andava fatto. La cosa lo rese perplesso. Egli aveva dato per certo che se aveste tolto a un essere umano il suo incentivo naturale verso il lavoro — la sua iniziativa, la sua spontanea energia creativa — e la aveste sostituita con una motivazione e una coercizione esterna, ne avreste fatto un lavoratore pigro e trascurato. Ma non erano certo dei lavoratori trascurati coloro che accudivano a quei bellissimi campi, o costruivano quelle auto superbe e quei treni comodissimi. Il richiamo e la pressione del profitto erano evidentemente, come sostituto dell’iniziativa naturale, assai più efficaci di quanto non avesse creduto.