Ci fu una lunga interruzione tra i trimestri di studio, a metà dell’autunno. Molti studenti si recarono a casa a trascorrere le vacanze. Shevek si recò in campeggio sui monti Meitei per alcuni giorni con un gruppo di studenti e di ricercatori del Laboratorio, poi ritornò per farsi assegnare alcune ore al grosso computer, che durante il periodo scolastico era sempre impegnato. Tuttavia, stanco di un lavoro che non portava a nulla, egli lavorò senza eccessivo impegno. Dormì più del solito, camminò, lesse, e si disse che il guaio stava nel fatto che aveva avuto troppa fretta, tutto qui; non si può afferrare un intero nuovo mondo in pochi mesi. I prati e i boschetti dell’Università erano bellissimi e disordinati, foglie dorate che s’illuminavano e volavano via nel vento piovigginoso, sotto un morbido cielo grigio. Shevek cercò le opere dei grandi poeti iotici e le lesse; ora riusciva a capirli quando parlavano di fiori, e del volo degli uccelli, e del colore delle foreste in autunno. Questa comprensione scese in lui come un grande piacere. Era piacevole ritornare al crepuscolo alla propria stanza, che con la sua tranquilla bellezza di proporzioni non cessava mai di soddisfarlo. Adesso s’era abituato a quella grazia e a quella comodità: gli era divenuta familiare. Così come le facce che vedeva alla Refezione Serale, i colleghi, alcuni amati di più, altri di meno, ma tutti, ormai, familiari. Così gli era familiare il cibo, con tutta la sua varietà e quantità, che all’inizio l’avevano sorpreso. Le persone che servivano a tavola conoscevano i suoi desideri e lo servivano come egli stesso si sarebbe servito da sé. Continuava a non mangiare carne; aveva provato, per educazione e per mostrare a se stesso che non nutriva pregiudizi irrazionali, ma il suo stomaco aveva delle ragioni proprie, che la ragione non conosceva, e si era ribellato. Dopo un paio di mezzi disastri, aveva rinunciato al tentativo ed era rimasto vegetariano, senza tuttavia perdere l’amore del cibo. Amava molto la cena. Aveva acquistato tre o quattro chili da quando era giunto su Urras; ora aveva un aspetto molto sano, abbronzato dalla vacanza in montagna, riposato dalla festa. Era una figura che colpiva, quando si alzava, come ora, dal tavolo nella grande sala da pranzo dal soffitto a travi molto alto, nell’ombra, le pareti a pannelli, piene di ritratti, e le tavole illuminate da fiamme di candela e porcellana e argento. Salutò qualcuno a un tavolo e fece per andarsene, con un’aria di tranquillo distacco. Dall’altra parte della sala. Chifoilisk lo scorse e lo seguì, raggiungendolo sulla porta.
— Ha qualche minuto per me, Shevek?
— Sì. Andiamo nella mia stanza? — Adesso era abituato all’uso continuo degli aggettivi possessivi, e riusciva a pronunciarli senza imbarazzo.
Chifoilisk parve avere un attimo di esitazione. — Che ne direbbe della biblioteca? Dobbiamo passarle davanti, e devo entrare a prendere un libro.
Si diressero verso il lato opposto del quadrilatero, verso la Biblioteca della Nobile Scienza (vecchio termine per indicare la fisica, che in certi usi si era conservato anche su Anarres), camminando a fianco a fianco nell’oscurità interrotta dal picchiettio della pioggia. Chifoilisk aveva aperto l’ombrello, ma Shevek camminava nella pioggia come gli iotici camminavano al sole, con gioia.
— Si bagna — brontolò Chifoilisk. — E ha già la tosse, no? Dovrebbe fare più attenzione.
— No, adesso sto bene — disse Shevek, e sorrise mentre camminava a grandi passi nella pioggia fine e fresca. — Il dottore del Governo, lei l’ha visto, mi ha dato varie cure, inalazioni. Funzionano; non tossisco più. Ho chiesto al dottore di descrivere il procedimento e i farmaci usati, per radio, al Gruppo dell’Iniziativa di Abbenay. E lui l’ha fatto. Era contento di farlo. È una cosa molto semplice, e può alleviare molte sofferenze causate dalla tosse da polvere. Ma perché, perché non è stato fatto prima? Perché noi non lavoriamo insieme, Chifoilisk?
Il thuviano emise un brontolio ironico. Erano giunti alla sala di lettura della biblioteca. Corridoi di vecchi libri, sotto delicati doppi archi di marmo, erano fermi nella serenità e nella semioscurità; le lampade poste sui lunghi tavoli di lettura erano delle semplici sfere di alabastro, disadorne. Non c’erano altri lettori, ma un bibliotecario si affrettò a seguirli e ad accendere il fuoco nel caminetto di marmo e a chiedere loro se desiderassero altro, poi si ritirò nuovamente. Chifoilisk, fermo davanti al caminetto, osservò il fuoco che si propagava lentamente alla legna. Al di sopra dei suoi occhi piccoli, le sopracciglia erano ispide; il suo viso ordinario, scuro, intelligente, pareva più anziano del solito. — Desidero dirle delle cose antipatiche, Shevek — esordì con la sua voce roca. E aggiunse: — Non che questa sia una novità, penso… — Un’umiltà che Shevek non aveva mai cercato in lui.
— Cosa sarebbe?
— Desidero sapere se lei sa cosa sta facendo, qui.
Dopo una pausa, Shevek rispose: — Credo di sì.
— Lei si rende conto, quindi, di essere stato comprato?
— Comprato?
— Diciamo assunto, se preferisce. Ascolti. Per quanto sia intelligente, un uomo non può vedere le cose che non sa come guardare. Come può lei capire la sua situazione, qui, in un’economia capitalista, in uno stato plutocratico, oligarchico? Come può riconoscerla, lei che viene da una piccola comune di idealisti morti di fame, lassù nel cielo?
— Chifoilisk, ci sono molti idealisti su Anarres, glielo assicuro. I Primi Coloni erano degli idealisti, certo, a lasciare questo mondo per il nostro deserto. Ma questo accadde sette generazioni fa! La nostra società è pratica. Forse troppo pratica, troppo preoccupata della semplice sopravvivenza. Che cosa c’è di idealistico nella cooperazione sociale, nella reciproca assistenza, quando si tratta dell’unico modo per rimanere vivi?
— Non posso discutere i valori dell’Odonianismo con lei. Anche se la cosa mi piacerebbe! Sa, conosco abbastanza il vostro movimento. Siamo molto più vicini ad esso, nel mio paese, che non questa gente dell’A-Io. Siamo entrambi dei prodotti del grande movimento rivoluzionario dell’ottavo secolo… siamo socialisti, come voi.
— Ma voi siete archisti. Lo Stato di Thu è ancor più centralizzato che lo Stato dell’A-Io. Una singola struttura di potere controlla ogni cosa: il governo, l’amministrazione, la polizia, l’esercito, l’istruzione, le leggi, i commerci, la produzione. E mantenete un’economia monetaria.
— Un’economia monetaria basata sul principio che ciascun lavoratore viene pagato come merita, per il valore del suo lavoro… non dai capitalisti che è costretto a servire, ma dallo stato di cui è un membro!
— È lui che fissa il valore del proprio lavoro?
— Perché non viene in Thu, a vedere come funziona il vero socialismo?
— Conosco già come funziona il vero socialismo — disse Shevek. — Potrei spiegarvelo, ma il vostro governo me lo lascerebbe spiegare, in Thu?
Chifoilisk spostò col piede un ceppo che non aveva preso fuoco. L’espressione del suo volto, mentre fissava le fiamme, era amara; i solchi tra il naso e gli angoli delle labbra erano assai profondi. Non rispose alla domanda di Shevek. Dopo un po’, disse: — Non intendo giocare a botta e risposta con lei. Non serve; e comunque non voglio. La cosa che devo chiederle è la seguente: sarebbe disposto a venire in Thu?
— Non ora, Chifoilisk.
— Ma che cosa può riuscire a fare… qui?
— Il mio lavoro. E poi, qui sono vicino alla sede del Consiglio dei Governi Mondiali.
— Il Consiglio? Da trent’anni il Consiglio è una creatura dell’A-Io. Non conti su di esso per salvarsi!