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Egli osservò la Stanza 46 con ironica meraviglia. — Shevek, tu vivi come un marcio profittatore urrasiano.

— Su, via, non sono a quel punto. Prova a indicare qualcosa di escrementale! — La stanza, infatti, conteneva quasi esclusivamente ciò che conteneva quando Shevek vi era entrato la prima volta. Bedap indicò: — Quella coperta.

— Quella c’era già al mio arrivo. Qualcuno deve averla fatta a mano e poi lasciata qui quando se n’è andato. Ti pare che una coperta sia eccessiva in una notte come questa?

— Si tratta chiaramente di un colore escrementale — disse Bedap. — Come analista di funzioni, devo farti notare che non c’è bisogno dell’arancione. L’arancione non svolge alcuna funzione vitale nell’organismo sociale, né al livello cellulare né a quello organico, e certamente non al livello olo-organismico, cioè a quello di maggiore centralità etica; in questo caso la tolleranza è una scelta molto meno buona che non l’escrezione. Devi tingerla verde marcio, fratello! E che cos’è tutta questa roba?

— Appunti.

— In cifrario segreto? — chiese Bedap, curiosando in un quaderno con la freddezza che, come Shevek poteva ricordare, gli era caratteristica. Il suo senso della sfera privata, della proprietà privata, era addirittura inferiore a quello di gran parte degli anarresiani. Bedap non aveva mai avuto una matita preferita ch’egli amasse portare con sé, o una vecchia camicia di cui si fosse innamorato e che non volesse mai gettare nel contenitore della riciclazione, e se gli veniva fatto un dono, egli cercava di tenerlo con sé per riguardo verso il donatore, ma finiva sempre per perderlo. Si vergognava un po’ di questo suo tratto e diceva che dimostrava come egli fosse meno primitivo degli altri, un primo esempio dell’Uomo Promesso, il vero ed originario Odoniano. Eppure egli aveva il senso del riserbo. Cominciava nel cranio, suo o di qualsiasi altro, e di lì in poi era completo. Non spiava mai. Ora disse: — Ricordi le stupide lettere che ci scrivevamo in codice quando eri al progetto d’imboschimento?

— Questo non è un cifrario segreto: è iotico.

— Hai imparato lo iotico? Perché lo usi per scrivere?

— Perché nessuno, su questo pianeta, capisce ciò che dico. Né desidera capirlo. L’unica persona che lo capiva è morta tre giorni fa.

— Sabul è morto?

— No. Garab. Sabul non è morto. Sarebbe bello!

— Qual è il guaio?

— Il guaio con Sabul? Per metà l’invidia, per l’altra metà l’incompetenza.

— Pensavo che il suo libro sulla causalità fosse eccellente. Lo dicevi tu.

— Anch’io lo pensavo, finché non ne ho letto le fonti. Sono tutte idee urrasiane. E neppure nuove, per giunta. Sono vent’anni che non fa niente di originale. E che non fa un bagno.

— E tu, cosa pensi? — chiese Bedap, posando una mano sul quaderno e fissando Shevek con uno sguardo preoccupato. Bedap aveva occhi piccoli, tendenti a socchiudersi come avviene per i miopi, viso robusto, corporatura massiccia. Si mangiava le unghie, che, dopo anni di questa pratica, si erano ridotte a semplici strisce sui polpastrelli spessi e sensibili.

— Niente di buono — rispose Shevek, sedendosi sulla predella del letto. — Mi sono messo nel campo sbagliato?

Bedap sorrise con ironia. — Tu?

— Penso che alla fine del trimestre chiederò un altro incarico.

— Che incarico?

— Non so. Insegnamento, ingegneria. Devo togliermi dalla fisica.

Bedap si accomodò sulla sedia della scrivania, si mordicchiò un’unghia, e disse: — Mi pare assurdo.

— Mi sono accorto dei miei limiti.

— Non sapevo che tu ne avessi. Nel campo della fisica, intendo dire. Tu hai sempre avuto ogni sorta di limiti e di difetti. Ma non nella fisica. Io non sono un fisico temporale, lo so. Ma non occorre saper nuotare per riconoscere un pesce, non occorre mandar luce per riconoscere una stella…

Shevek guardò l’amico e fece, o meglio si lasciò scappare, l’affermazione che non era mai stato capace di dire chiaramente a se stesso: — Ho pensato al suicidio. Spesso. Mi pare la cosa migliore.

— Non è certo la strada che ti porterà dall’altra parte della sofferenza.

Shevek sorrise, impacciato. — Ricordi quella conversazione?

— Benissimo. È stata una conversazione molto importante per me. E per Takver e Tirin, penso.

— Davvero? — Shevek si alzò in piedi. Lo spazio in cui passeggiare avanti e indietro si riduceva a quattro passi, ma non poteva rimanere fermo. — Era importante per me, a quell’epoca — disse, fermandosi accanto alla finestra. — Ma qui sono cambiato. C’è qualcosa di sbagliato, qui. Non so che cosa sia.

— Io lo so — disse Bedap. — Il muro. Sei arrivato al muro.

Shevek si voltò, con uno sguardo spaventato negli occhi. — Il muro?

— Nel tuo caso, il muro pare essere Sabul, e i suoi sostenitori nelle unioni scientifiche e nel CDP. Per quanto riguarda me, sono ad Abbenay da quattro decadi. Quaranta giorni. E mi sono stati sufficienti per capire che anche in quarant’anni, qui, non riuscirei a combinare nulla, nulla di nulla, di ciò che desidero fare: migliorare l’istruzione scientifica nei centri d’apprendimento. A meno che le cose non cambino. O che io mi unisca ai nemici.

— Nemici?

— Gli uomini piccini. Gli amici di Sabul! La gente che detiene il potere.

— Ma cosa dici, Bedap! Non abbiamo strutture di potere, qui.

— No? Che cos’è che rende Sabul così forte?

— Non certo una struttura di potere, un governo. Qui non siamo su Urras, dopotutto!

— No. Noi non abbiamo governo e non abbiamo leggi, giusto. Ma per quel che posso vedere, le idee non sono mai state controllate dalle leggi e dal governo, neppure su Urras. Se lo fossero state, come avrebbe potuto, Odo, sviluppare le sue? Come avrebbe potuto, l’Odonianesimo, divenire un movimento mondiale? Gli archisti cercarono di cancellarlo con la forza, ma non ci riuscirono. Non puoi schiacciare le idee cercando di reprimerle. Puoi schiacciarle soltanto ignorandole. Rifiutandoti di pensare, rifiutandoti di cambiare. E questo è precisamente ciò che fa adesso la nostra società! Sabul si serve di te quando può, e quando non può ti impedisce di pubblicare, di insegnare, perfino di lavorare. Giusto? In altre parole, egli ha del potere su di te. E da dove ottiene quel potere? Non da un’autorità investita, non ne esistono. Non dalla superiorità intellettuale, non l’ha. Lo ottiene dalla codardia innata della normale mente umana. La pubblica opinione! Questa è la struttura di potere di cui fa parte, ed egli sa come usarla. L’inconfessato, inconfessabile governo che comanda la società Odoniana soffocando le menti individuali!

Shevek appoggiò le mani al davanzale della finestra, e al di là delle deboli riflessioni del vetro fissò l’oscurità esterna. Infine disse: — Parole folli, Bedap.

— No, fratello, sono perfettamente sano di mente. La cosa che fa impazzire la gente è cercare di vivere al di fuori della realtà. La realtà è terribile. Ti può uccidere. E, a darle abbastanza tempo, finisce certamente per ucciderti. La realtà è dolore… sei stato tu stesso a dirlo! Ma sono le menzogne, l’evasione dalla realtà, a farti impazzire. Sono le bugie: quelle che ti spingono a desiderare di ucciderti.

Shevek si voltò verso di lui e lo fissò. — Ma non puoi parlare seriamente di un governo, qui su Anarres!

— Dalle Definizioni di Tomar: «Governo: l’uso legale del potere per conservare ed estendere il potere.» Basta che tu sostituisca «legale» con «basato sulla consuetudine» e hai subito Sabul, e l’Unione dell’Istruzione e il CDP.