— Il CDP!
— Il CDP è, oggi come oggi, fondamentalmente una burocrazia archistica.
Dopo un istante Shevek rise, ma con poca naturalezza, e disse: — Su, dai, Bedap, è divertente, ma è un discorso un po’ malato, no?
— Shevek, non hai mai pensato che la cosa che viene chiamata «malattia» nel modello analogico, la disaffezione sociale, lo scontento, l’alienazione, potrebbe venire chiamato, analogicamente, dolore… la cosa a cui ti riferivi quando hai parlato del dolore, della sofferenza? E che, come il dolore, riveste una sua funzione nell’organismo?
— No! — disse Shevek, con violenza. — Parlavo in termini personali, spirituali.
— Ma hai parlato della sofferenza fisica, di un uomo che moriva per le bruciature. E io parlo della sofferenza spirituale! Di gente che vede il proprio talento, il proprio lavoro, la propria vita sprecati! Di cervelli di primo piano che si devono sottomettere a cervelli stupidi. Di forza e coraggio strangolati dall’invidia, dalla sete di potere, dalla paura del cambiamento. Il cambiamento è libertà, il cambiamento è vita… c’è forse qualcosa di altrettanto fondamentale per il pensiero Odoniano? Ma ormai non c’è più nulla che cambi! La nostra società è malata. Tu lo sai. Tu stai soffrendo a causa della sua malattia. La sua malattia suicida!
— Basta, Bedap. Piantala!
Bedap non disse altro. Cominciò a rodersi l’unghia del pollice, metodicamente, pensosamente.
Shevek si sedette di nuovo sulla predella del letto e si prese la testa fra le mani. Seguì un lungo silenzio. La neve non cadeva più. Un vento secco, buio, premeva contro la finestra. La stanza era fredda; nessuno dei due giovani si era tolto il soprabito.
— Senti, fratello — disse infine Shevek. — Non è la nostra società a frustrare la creatività individuale. È la povertà di Anarres. Questo pianeta non è fatto per reggere una civiltà. Se ci rilassassimo reciprocamente, se non rinunciassimo ai nostri desideri in vista del bene comune, nulla, nulla di questo mondo spoglio potrebbe salvarci. La solidarietà umana è la nostra unica risorsa.
— La solidarietà, certo! Perfino su Urras, dove il cibo piove a terra dagli alberi, perfino laggiù Odo diceva che la solidarietà umana è la nostra sola speranza. Ma noi abbiamo tradito tale speranza. Abbiamo permesso che la cooperazione divenisse obbedienza. Su Urras hanno il governo da parte di una minoranza. Qui abbiamo il governo della maggioranza. Ma è governo! La coscienza sociale non è più una cosa vivente, ma una macchina, una macchina di potere, controllata da burocrati!
— Io e te potremmo offrirci volontari e venire assegnati dalla lotteria al CDP, nel giro di poche decadi. Questo ci trasformerebbe forse in burocrati, in capi?
— Non si tratta dei singoli individui che vengono assegnati al CDP, Shevek. Molti di loro sono simili a noi. Anzi, fin troppo simili a noi. Bene intenzionati, ingenui. E non è solo il CDP. È ogni cosa di Anarres. Centri di apprendimento, istituti, miniere, macine, pescherie, fabbriche di alimentari, progetti agricoli e stazioni di ricerca, comunità monoprodotto: dovunque la funzione richieda degli esperti e una stabile istituzione. Ma questa stabilità dà spazio all’impulso autoritaristico. Nei giorni iniziali dell’Insediamento ne eravamo coscienti, stavamo sul chi vive. La gente compiva delle discriminazioni molto accurate tra quel che è l’amministrazione di oggetti e il governo di persone. L’hanno fatto talmente bene da farci dimenticare che la volontà di dominio è altrettanto centrale negli esseri umani quanto l’impulso verso l’assistenza reciproca, e deve venire educata in ciascun individuo, in ogni nuova generazione. Nessuno nasce odoniano, come nessuno nasce civilizzato! Ma noi l’abbiamo scordato. Noi non educhiamo alla libertà. L’istruzione, l’attività più importante dell’organismo sociale, è divenuta rigida, moralistica, autoritaria. I bambini imparano a ripetere a memoria le parole di Odo come se fossero legge… la massima bestemmia che si possa immaginare!
Shevek esitò a rispondere. Egli stesso aveva sperimentato ripetutamente il tipo d’insegnamento ricordato da Bedap, quando era bambino, e anche all’Istituto, e non poteva certo negare quelle accuse.
Bedap approfittò senza rimorso di quel varco. — È sempre più agevole non pensare con la propria testa. Trovare una piccola, sicura gerarchia, e accomodarsi entro di essa. Non cambiare nulla, non rischiare la disapprovazione, non mettere in agitazione i colleghi. È sempre più facile lasciarsi governare.
— Ma non è governo, Bedap! Gli esperti e i più anziani finiranno sempre per dirigere ogni gruppo, ogni federativa; conoscono meglio il lavoro. Il lavoro deve essere fatto, in fin dei conti! E il CDP, sì, potrebbe diventare una gerarchia, una struttura di potere, se non fosse organizzato in modo da evitare proprio questo. Guarda come è organizzato! Volontari, scelti a sorte; un anno di addestramento; poi quattro anni di Servizio; poi fuori. Nessuno potrebbe accumulare potere, nel senso archista, con solo quattro anni a disposizione.
— Alcuni restano più di quattro anni.
— Consiglieri? Non conservano il voto.
— I voti non sono importanti. Ci sono persone, dietro le quinte, che…
— Via! Questa è paranoia! Dietro le quinte… come? che quinte? Ogni persona può assistere alle riunioni del CDP, e se è coinvolta direttamente, può prendere la parola e votare! Cerchi di pretendere che abbiamo dei politicanti? — Shevek era infuriato con Bedap. Le sue orecchie sporgenti erano rosse, la sua voce si era alzata. Era tardi, nel quadrilatero non si vedevano luci accese. Desar, dalla Stanza 45, batté sulla parete per avere silenzio.
— Dico quello che sai — rispose Bedap, con voce assai più bassa. — Che persone come Sabul dominano in realtà il CDP, anno dopo anno.
— E se sai questo — lo accusò Shevek, parlando sottovoce, in tono secco, — perché non hai dato pubblicità alla cosa? Perché non hai chiesto nella tua federativa una seduta di critica, se ne hai le prove? Se le tue idee non sopportano l’esame pubblico, non le voglio neppure come bisbigli notturni.
Gli occhi di Bedap si erano fatti molto piccoli, come due perline di acciaio. — Fratello — disse, — sei ipocrita. Lo sei sempre stato. Guarda un po’ al di fuori di quella tua maledetta coscienza pura, una volta tanto! Vengo da te a bisbigliare perché so che di te posso fidarmi, maledizione! A chi altri posso parlare? Credi che voglia fare la fine di Tirin?
— La fine di Tirin? — La sorpresa aveva fatto alzare la voce a Shevek. Bedap gli fece segno di non gridare, indicando la parete. — Che cos’è successo a Tirin? Dov’è?
— Al Manicomio dell’Isola Segvina.
— Al Manicomio?
Bedap, accomodandosi di lato sulla sedia, sollevò le gambe e avvolse le braccia intorno ad esse. Poi parlò tranquillamente, con riluttanza.
— Tirin scrisse un dramma e lo mise in scena, l’anno dopo la tua partenza. Era divertente… un po’ pazzo… conosci il suo tipo di cose. — Bedap si passò una mano sui capelli arruffati e chiari, sciogliendoseli sulla nuca. — Poteva sembrare anti-Odoniano, a uno stupido. E in giro c’è un mucchio di stupidi. Ci fu molto rumore. Ebbe una reprimenda. Pubblica. Io non ne avevo mai viste. Tutti vengono alla riunione della tua federativa e ti esprimono disapprovazione. Era il modo usato per riportare in riga un caposquadra o un amministratore con tendenze a comandare. Ora lo usano soltanto più per dire a un individuo di smettere di pensare con la propria testa. Fu una cosa molto brutta. Tirin non riuscì a superarla. Io credo che l’abbia fatto davvero uscire di senno, un poco. Dopo di allora, ebbe l’impressione che tutti fossero contro di lui. Cominciò a parlare troppo… parole amareggiate. Non discorsi irrazionali, ma sempre critici, sempre amari. E parlava in quel modo a chiunque incontrava. Be’, terminò l’Istituto, si qualificò come insegnante di matematica e chiese un incarico. Ne ebbe uno. In un gruppo per la riparazione delle strade, nell’insediamento del Sud. Protestò, dicendo che si trattava di un errore, ma i calcolatori della Divisione del Lavoro ripeterono quella assegnazione. E così egli vi andò.