— Penso che preferirei allontanarmi da questo luogo.
Una volta in giardino, il suo viso riprese colore; ma si guardò alle spalle, in direzione delle mura del palazzo, con odio. — Perché il vostro popolo si tiene stretto alle proprie vergogne? — disse.
— Ma è soltanto storia. Quelle cose non potrebbero più succedere, oggi!
Ella lo condusse a uno spettacolo pomeridiano a teatro, una commedia su giovani persone sposate, piena di battute sulla copulazione in cui la copulazione non veniva mai espressamente citata. Shevek si sforzò di ridere quando rideva Vea. Dopo di questo si recarono in un ristorante del centro, un luogo di incredibile opulenza. Costo del pranzo cento unità. Shevek ne toccò ben poco, avendo mangiato a mezzogiorno, ma cedette alle insistenze di Vea e bevve due o tre bicchieri di vino, che risultò più piacevole di quanto non si fosse aspettato, e che non parve avere effetti deleteri sul suo ragionamento. Non aveva denaro sufficiente a pagare il pranzo, ma Vea non fece alcuna offerta di condividere la spesa, e si limitò a suggerirgli di compilare un assegno, cosa che egli fece. Quindi presero una vettura a nolo per recarsi all’appartamento di Vea; ella gli lasciò anche pagare l’autista. Che Vea, si domandò lui, fosse in realtà una prostituta, quella entità misteriosa? Ma le prostitute, nella descrizione di Odo, erano donne povere, e certo Vea non era povera; il «suo» ricevimento, gli aveva detto, era in corso di allestimento da parte del «suo» cuoco, della «sua» cameriera e del «suo» maggiordomo. Inoltre, gli uomini dell’Università parlavano delle prostitute con disprezzo, dicendo che erano creature oscene, mentre Vea, nonostante il suo continuo adescamento, mostrava una tale sensibilità nei riguardi del linguaggio schietto, sulle questioni relative al sesso, che Shevek controllava le proprie parole, come avrebbe potuto fare, a casa, con un bambino timido di dieci anni. Nel complesso, non sapeva che cosa esattamente fosse Vea.
Le stanze di Vea erano grandi e lussuose, con bellissime viste delle luci di Nio, e arredate completamente di bianco, perfino i tappeti. Ma Shevek stava diventando insensibile al lusso, e inoltre aveva sonno. Gli ospiti non sarebbero giunti ancora per un’ora. Mentre Vea si cambiava gli abiti, egli cadde addormentato in un’ampia, bianca poltrona del soggiorno. La cameriera, posando rumorosamente qualcosa sul tavolo, lo svegliò in tempo per vedere Vea di ritorno, vestita, ora, nell’abito ufficiale che le donne iotiche indossavano la sera, una gonna pieghettata che partiva dalle anche e scendeva fino a terra, lasciando nudo tutto il torso. Nel suo ombelico luccicava un piccolo gioiello, proprio come nelle riprese che egli aveva visto, insieme con Tirin e Bedap, un quarto di secolo prima, all’Istituto Regionale delle Scienze dell’Insediamento del Nord, identico… Semidesto e pienamente eccitato, egli la fissò ad occhi spalancati.
Lei gli restituì lo sguardo, con un debole sorriso.
Si sedette su un basso sgabello imbottito, accanto a lui, in modo da poterlo guardare in faccia. Si aggiustò la bianca gonna sulle caviglie e disse: — Ora, mi dica come è veramente tra uomini e donne, su Anarres.
Era incredibile. La cameriera e l’uomo maggiordomo erano nella stessa stanza; Vea sapeva che egli aveva una compagna, ed egli sapeva che l’aveva anche lei; e non una parola che riguardasse la copulazione era passata tra loro. Eppure il suo vestito, i movimenti, il tono… che cos’erano se non l’invito più aperto?
— Tra un uomo e una donna c’è quello che vogliono ci sia tra loro — disse, piuttosto bruscamente. — Entrambi e insieme.
— Allora è vero, davvero non avete moralità? — chiese lei, come se fosse stata scossa, ma anche compiaciuta.
— Non capisco cosa voglia dire. Ferire una persona laggiù è esattamente come ferire una persona qui.
— Vuole dire che avete tutte le identiche vecchie regole? Deve sapere, io credo che la moralità sia soltanto un’altra superstizione, come la religione. Finirà col venire ripudiata.
— Ma la mia società — egli disse, completamente frastornato, — è un tentativo di raggiungerla. Ripudiare il moralismo, sì… le regole, le leggi, le punizioni… in modo che le persone possano vedere il bene e il male e scegliere tra i due.
— Dunque avete gettato via tutti i «devi fare così» e «non devi fare cosà». Ma, sa, penso che voi Odoniani non abbiate capito tutta la faccenda. Avete ripudiato sacerdoti e giudici e leggi sul divorzio e tutto il resto, ma avete conservato tutti i guai che stanno loro dietro. Vi siete limitati a cacciarli nell’interno, nelle vostre coscienze. Ma sono ancora lì. Siete altrettanto schiavi quanto lo eravate prima! Voi non siete veramente liberi!
— Come può dirlo?
— Ho letto l’articolo di una rivista, sull’Odonianesimo — disse lei. — E siamo stati insieme tutto il giorno. Io non la conosco, ma conosco alcune cose di lei. So che lei ha una… una Regina Teaea dentro di lei, proprio dentro quella sua testa chiomata. E le dà ordini tutto il giorno, proprio come li dava ai suoi servi la vecchia tiranna. Dice: «Fai questo!», e lei lo fa, e «Non fare questo!» e lei non lo fa.
— Ed è quello il posto che le compete — disse lui, sorridendo. — Nella mia testa.
— No. Meglio averla in un palazzo. Così potreste ribellarvi contro di lei. Lei si sarebbe ribellato! Il nonno del suo trisavolo l’ha fatto; almeno egli è corso sulla luna per sfuggire. Ma ha portato con sé la Regina Teaea, e voi l’avete ancora!
— Forse. Ma ella ha imparato, su Anarres, che se mi ordina di far male a un’altra persona, io faccio male a me stesso.
— La solita vecchia ipocrisia. La vita è lotta, e vince il più forte. Tutto ciò che la civiltà fa, è nascondere il sangue e mascherare l’odio dietro le belle parole!
— La vostra civiltà, forse. La nostra non nasconde nulla. È tutto in piena luce. La Regina Teaea indossa la propria pelle, laggiù. Noi seguiamo una sola legge, soltanto una, la legge dell’evoluzione umana.
— La legge dell’evoluzione è quella della sopravvivenza del più forte!
— Sì, e il più forte, nell’esistenza di ogni specie sociale, è colui che è più sociale. In termini umani, più morale. Vede, non abbiamo né prede né nemici, su Anarres. Abbiamo solo l’un l’altro. Non si può guadagnare forza dal ferimento reciproco. Solo debolezza.
— Non m’importa di ferire o non ferire. Non m’importa dell’altra gente, e non importa neppure a nessun altro. Gli altri fingono che a loro importi. Io non voglio fingere. Io voglio essere libera!
— Ma Vea… — egli cominciò, con tenerezza, poiché le perorazioni sulla libertà lo commuovevano sempre, ma in quel momento il campanello suonò. Vea si alzò, stirò la gonna con la mano e si fece avanti sorridendo per dare il benvenuto agli ospiti.
Nel corso dell’ora seguente giunsero trenta o quaranta persone. Dapprima Shevek si sentì indispettito, insoddisfatto e annoiato. Era semplicemente uno dei soliti ricevimenti in cui tutti se ne stavano tra i piedi con un bicchiere in mano a parlare forte e a sorridere. Ma presto divenne più interessante. Cominciarono a nascere discussioni e polemiche, la gente si sedette a parlare, cominciò a sembrare una festa a casa. Delicati piccoli pasticcini con pezzetti di carne e pesce cominciarono a circolare, i bicchieri venivano continuamente riempiti dall’attento cameriere. Shevek accettò una bevanda. Ormai vedeva da mesi gli urrasiani trangugiare alcool, e non gli pareva che qualcuno di loro si fosse ammalato. Il liquido sapeva di medicina, ma qualcuno gli spiegò che era quasi tutta acqua con acido carbonico, che gli piaceva. Aveva sete, e quindi lo bevve subito.