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Un paio di persone parevano decise a parlare di fisica con lui. Una di esse era assai cortese, e Shevek riuscì a sfuggirgli per qualche tempo, poiché trovava difficile parlare di fisica con coloro che non fossero fisici. L’altro era asfissiante, e non era possibile sfuggirgli; ma l’irritazione, Shevek scoprì, rendeva assai più facile parlare. L’uomo sapeva tutto, evidentemente perché aveva un mucchio di soldi. — Secondo me — egli informò Shevek, — la sua Teoria della Simultaneità, semplicemente, nega il fatto più ovvio che riguardi il tempo, il fatto che il tempo passa.

— Be’, in fisica una persona sta attenta a quello che chiama «fatti». È diversa dal mondo degli affari — disse Shevek, molto pacatamente e gentilmente, ma c’era qualcosa, nella sua pacatezza, che portò Vea, che chiacchierava con un altro gruppo, a voltarsi per ascoltare. — Entro i termini rigorosi della Teoria della Simultaneità, la successione non è considerata come un fenomeno fisicamente obiettivo, bensì soggettivo.

— Su, cerchi di non spaventare Dearri, e ci dica che cosa significa in parole adatte ai bambini — disse Vea. L’acutezza della donna fece sorridere Shevek.

— Be’, noi pensiamo che il tempo «passi», scorra davanti a noi; ma se invece fossimo noi a muoverci in avanti, dal passato al futuro, scoprendo sempre il nuovo? Sarebbe come leggere un libro, vedete. Il libro è già lì, tutto insieme, tra le copertine. Ma se volete leggere la storia e capirla, dovete cominciare dalla prima pagina, e andare avanti, sempre con ordine. Così l’universo sarebbe un libro grandissimo, e noi saremmo dei lettori piccolissimi.

— Ma il fatto è — disse Dearri, — che noi sperimentiamo l’universo come una successione, un flusso. In tal caso, a che serve la teoria che su qualche piano superiore possa essere già tutto esistente nell’eternità? Per divertire voi teorici, forse, ma non ha applicazioni pratiche, non ha peso nella vita reale. A meno che non ci dica che possiamo costruire una macchina del tempo! — aggiunse con una sorta di dura, falsa giovialità.

— Ma noi non sperimentiamo l’universo soltanto come una successione — disse Shevek. — Lei non sogna mai, signor Dearri? — Era contento di essersi, almeno per una volta, ricordato di chiamare qualcuno «signore».

— E cosa c’entra?

— Soltanto nello stato cosciente, a quanto pare, noi sperimentiamo il tempo. Un bambino neonato non ha tempo; non può distanziarsi dal passato e capire come si collega al presente, o pianificare il modo in cui il suo presente potrebbe collegarsi al suo futuro. Egli non sa che il tempo passa; non comprende la morte. Anche la psiche inconscia dell’adulto è simile, abitualmente. Nel sogno non c’è tempo, e le successioni cambiano, e causa ed effetto sono tutti mescolati tra loro. Nel mito e nella leggenda non c’è tempo. A quale passato si riferisce la fiaba, quando dice: «C’era una volta»? E così, quando il mistico compie la riconnessione della sua ragione e del suo inconscio, egli vede ogni cosa divenire come una singola entità, e comprende l’eterno ritorno.

— Sì, i mistici — disse l’uomo timido, con ansia. — Tebore, nell’Ottavo Millennio. Egli scrisse: La mente inconscia si coestende con l’universo.

— Sì, ma noi non siamo neonati — interruppe Dearri, — noi siamo uomini razionali. La sua Simultaneità è una sorta di regressivismo mistico?

Ci fu una pausa, mentre Shevek si serviva una pasta di cui non aveva voglia, e se la portava alle labbra. Aveva già perso la pazienza una volta, oggi, e si era reso ridicolo. Una volta era sufficiente.

— Forse la potreste vedere — disse, — come un tentativo di raggiungere un punto d’equilibrio. Vede, la Sequenza spiega meravigliosamente il nostro senso del tempo lineare, e i documenti dell’evoluzione. Essa include la creazione, e la mortalità. Ma qui si ferma. Si occupa di tutto ciò che cambia, ma non può spiegare perché le cose, anche, durino. Parla solamente della freccia del tempo… mai del cerchio del tempo.

— Il cerchio? — chiese l’interlocutore più cortese, con una tale evidente sete di conoscenza che Shevek dimenticò Dearri e si tuffò nell’argomento con entusiasmo, gesticolando con le mani e le braccia come per mostrare all’ascoltatore, materialmente, le frecce, i cicli, le oscillazioni di cui parlava. — Il tempo procede a cicli, oltre che su una linea. La rivoluzione di un pianeta: capisce? Un ciclo, un’orbita attorno al sole, e fa un anno, no? E due orbite due anni, e così via. Si possono contare le orbite interminabilmente… un osservatore può farlo. E in realtà un simile sistema è quello che ci permette di computare il tempo. Costituisce il cronometro, l’orologio. Ma all’interno del sistema, del ciclo, dov’è il tempo? Dov’è l’inizio, dov’è la fine? L’infinita ripetizione è un processo atemporale. Deve essere paragonato, riferito a qualche processo ciclico o non ciclico, per poter essere visto come temporale. Bene, questo è molto strano e interessante, vede. Gli atomi, come lei sa, hanno un moto ciclico. I composti stabili sono fatti di costituenti che hanno un moto regolare, periodico, relativo l’uno all’altro. Di fatto, sono i piccoli cicli, reversibili nel tempo, degli atomi a dare alla materia una permanenza sufficiente a rendere possibile l’evoluzione. Le piccole intemporalità sommate insieme compongono il tempo. E anche sulla scala più ampia, il cosmo: ebbene, lei sa che noi pensiamo che l’intero universo sia un processo ciclico, un’oscillazione tra espansione e contrazione, senza un «prima» e un «dopo». Soltanto all’interno di ciascuno dei grandi cicli in cui viviamo, soltanto là c’è il tempo lineare, l’evoluzione, il cambiamento. Così dunque il tempo ha due aspetti. C’è la freccia, il fiume che scorre, senza di cui non c’è cambiamento, non c’è progresso, direzione, creazione. E c’è il cerchio o ciclo, senza di cui è il caos, la successione priva di significato di istanti, un mondo senza orologi, o stagioni, o promesse.

— Non potete asserire due affermazioni contraddittorie sulla stessa cosa — disse Dearri, con la calma conferita da una conoscenza superiore. — In altre parole, uno di questi «aspetti» è reale, e l’altro è semplicemente un’illusione.

— Molti fisici hanno detto la stessa cosa — annuì Shevek.

— Ma lei cosa dice? — chiese colui che voleva sapere.

— Be’, io credo che sia un modo troppo facile per sfuggire alla difficoltà… Si può rifiutare l’essere o il divenire, con la scusa che è un’illusione? Il divenire senza l’essere non ha significato. L’essere senza il divenire è una grande noia… Se la mente è capace di percepire il tempo in entrambi questi modi, allora una vera cronosofia dovrebbe fornire un campo nel quale la relazione tra i due aspetti o processi del tempo possa venire compresa.

— Ma a cosa serve questa specie di «comprensione» — disse Dearri, — se non dà come risultato delle applicazioni pratiche, tecnologiche? Soltanto un gioco di parole, ecco.

— Lei fa domande come un vero speculatore — disse Shevek, e neppure un’anima, lì dentro, seppe che l’aveva insultato con la parola più offensiva del suo vocabolario; anzi, Dearri fece un piccolo cenno d’assenso, accettando il complimento con soddisfazione. Vea tuttavia avvertì la tensione e s’intromise: — Io, realmente, non capisco una parola di quanto lei dice, lo sa, ma mi pare che se ho davvero capito ciò che ha detto a proposito del libro… che ogni cosa, in realtà, esiste già ora… dunque noi potremmo predire il futuro? Se è già qui? …