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Il matematico allargò sulla tavola le mani lunghe e sottili, e abbassò lo sguardo su di esse. Era sempre stato impacciato nella parola, telegrafico nel parlare; in realtà, balbettava; ma se fosse un balbettio verbale o morale, Shevek non l’aveva mai capito. Come aveva sempre amato Desar senza sapere perché, così c’erano dei momenti in cui Desar gli era stato profondamente antipatico, anche allora senza sapere perché. Questo era uno di tali momenti. C’era doppiezza nell’espressione della bocca di Desar, nei suoi occhi bassi, come negli occhi bassi di Bunub.

— Scossone. Riducono al personale funzionale. Shipeg messo fuori. — Shipeg era un matematico notoriamente stupido che era sempre riuscito, adulando assiduamente gli studenti, a procurarsi un corso su richiesta degli studenti ogni anno. — Mandato via. Qualche istituto regionale.

— Farà meno danni zappando l’holum — disse Shevek. Ora che aveva mangiato, gli pareva che la siccità, in fin dei conti, potesse rendere un servizio all’organismo sociale. Le priorità stavano ritornando nuovamente chiare. Debolezze, punti delicati, punti malati sarebbero stati ripuliti, organi pigri riportati alla loro piena funzione, il grasso sarebbe stato eliminato dalla politica del corpo sociale.

— Ho messo una parola per te, alla riunione di Istituto — disse Desar, alzando lo sguardo, ma senza incontrare, poiché non poteva incontrare, gli occhi di Shevek. E mentre Desar lo diceva, Shevek, anche se non aveva ancora capito cosa intendesse dire, seppe che Desar mentiva. Lo seppe con certezza. Desar non aveva messo una parola per lui, bensì una parola contro di lui.

La spiegazione dei momenti in cui detestava Desar gli apparve chiara, ora: il riconoscimento, mai ammesso in precedenza, dell’elemento di pura malvagità presente nella personalità di Desar. Che Desar lo amasse e cercasse di ottenere potere su di lui era altrettanto chiaro, e, per Shevek, altrettanto detestabile. Le strade trasverse della possessività, i labirinti dell’amore/odio, non avevano significato per lui. Arrogante, intollerante, egli passava direttamente attraverso i loro muri. Non parlò più con il matematico; terminò la colazione e si avviò verso il lato opposto del quadrilatero, nel chiaro mattino del primo autunno, in direzione degli uffici di Fisica.

Si recò nella stanza posteriore che tutti chiamavano «ufficio di Sabul», la stanza dove s’erano incontrati la prima volta, dove Sabul gli aveva dato la grammatica e il dizionario iotici. Sabul guardò con diffidenza da dietro la scrivania, alzando la testa, poi la riabbassò, indaffarato con le sue carte, da scienziato distratto, che lavora duramente; poi permise alla coscienza della presenza di Shevek di filtrare nel suo cervello sovraccarico; infine divenne, per uno come lui, espansivo. Sembrava dimagrito e invecchiato; quando si alzò, zoppicò più del solito: un difetto di andatura che aveva un effetto pacificante. — Brutti tempi — disse. — Brutti tempi!

— E peggioreranno — disse Shevek, in tono leggero. — Come vanno le cose, qui?

— Male, male. — Shevek scosse la testa grigia. — È un brutto momento per la pura scienza, per l’intellettuale.

— Perché, c’è mai stato un momento buono?

Sabul emise una risata innaturale.

— È arrivato qualcosa per noi nelle spedizioni estive da Urras? — chiese Shevek, facendo spazio sulla panca per sedersi. Si sedette e incrociò le gambe. La sua pelle chiara si era abbronzata e la fine peluria che gli copriva la faccia si era schiarita fino a un colore bianco argenteo mentre lavorava nei campi del Sud. Aveva un aspetto frugale, robusto, e giovane, a confronto di quello di Sabul. Entrambi erano coscienti del contrasto.

— Niente d’interessante.

— Nessuna recensione dei Principi?

— No. — Il tono di Sabul era sgarbato, più adatto alla sua normale personalità.

— Nessuna lettera?

— No.

— Strano.

— Perché, che c’è di strano? Cosa ti aspettavi, un invito alla Università di Ieu Eun? il premio Seo Oen?

— Mi aspettavo recensioni e repliche. Il tempo c’è stato. — Disse questo mentre Sabul diceva: — Non è ancora passato abbastanza tempo per le recensioni.

Ci fu una pausa.

— Devi comprendere, Shevek, che la semplice convinzione di essere nel giusto non costituisce la propria giustificazione. Hai lavorato duramente sul libro, lo so. E anch’io ho lavorato duramente per correggerlo, cercando di rendere chiaro che non era soltanto un attacco irresponsabile contro la Sequenza, ma che aveva anche degli aspetti positivi. Ma se altri fisici non vedono alcun valore nel tuo lavoro, allora devi cominciare a esaminare i valori che sostieni, e a vedere dove sta la divergenza. Se non significa nulla per l’altra gente, a che cosa vale? Qual è la sua funzione?

— Io sono un fisico, non un analista di funzioni — disse Shevek, gentilmente.

— Ogni Odoniano deve essere un analista di funzioni. Hai trent’anni, no? Alla tua età un uomo dovrebbe sapere non soltanto la propria funzione cellulare, ma anche la sua funzione organica… quale sia il suo ruolo ottimale nell’organismo sociale. Forse non ti è occorso di pensarci tanto quanto altra gente…

— No. Fin da quando avevo dieci o dodici anni sapevo già il tipo di lavoro che dovevo fare.

— Quel che un ragazzo pensa gli piacerà fare non è sempre la cosa di cui la sua società ha bisogno da lui.

— Ho trent’anni, come hai detto anche tu. Un po’ grandicello, come ragazzo.

— Hai raggiunto questa età in un ambiente particolarmente difeso, protetto. Prima l’Istituto Regionale Settentrionale…

— E un progetto d’imboschimento, e progetti agricoli, e addestramento pratico, e comitati d’isolato, e lavoro volontario dall’inizio della siccità; la solita quota di kleggich necessario. Anzi, in realtà non mi dispiace. Ma faccio anche la fisica. Dove vuoi arrivare?

Poiché Sabul non gli rispondeva e si limitava a guardarlo e ad aggrottare le sopracciglia folte e untuose, Shevek aggiunse: — Potresti anche dirlo chiaro, visto che non ci puoi arrivare facendo appello alla mia coscienza sociale.

— Pensi che il lavoro da te compiuto all’Istituto sia funzionale?

— Sì. «Tanto più grande è l’ambito organizzato, tanto più centrale è l’organismo: la centralità qui implica il campo della funzione reale.» Tomar, Definizioni. Poiché la fisica temporale tenta di organizzare ogni cosa comprensibile alla mente umana, essa è per definizione una attività centralmente funzionale.

— Non mette pane in bocca alla gente.

— Ho appena terminato sei decadi di lavoro per contribuire a farlo. Quando sarò di nuovo chiamato a farlo, andrò di nuovo. Intanto resto fedele al mio lavoro. Se c’è della fisica da fare, rivendico il mio diritto a farla.

— La cosa di cui devi renderti conto, è il fatto che a questo punto non c’è fisica da fare. Non il tipo di fisica che fai tu. Dobbiamo limitarci alla praticità. — Sabul cambiò posizione sulla sedia. Aveva un aspetto scontroso e inquieto. — Abbiamo dovuto lasciare libere cinque persone per una nuova assegnazione. Mi spiace dirti che sei una di loro. Ecco come stanno le cose.

— Proprio come pensavo che stessero — disse Shevek, anche se in realtà non aveva compreso fino a quel momento che Sabul lo cacciava via dall’Istituto. Non appena udite quelle parole, però, gli parve che la notizia gli fosse già nota; e non era disposto a dare a Sabul la soddisfazione di vederlo sconvolto.

— Ciò che ha lavorato contro di te è stata una combinazione di cose. La natura astrusa, irrilevante, della ricerca da te compiuta in questi ultimi anni. Più una certa sensazione, non necessariamente giustificata, ma diffusa tra molti membri, insegnanti e studenti, dell’Istituto, che tanto il tuo insegnamento quanto il tuo comportamento riflettano una certa disaffezione, un grado di privatismo, di non altruismo. Così è stato detto in riunione. Io ho parlato a tuo favore, naturalmente. Ma io sono soltanto un membro tra tanti altri.

— Da quando in qua l’altruismo è una virtù Odoniana? — disse Shevek. — Bene, lasciamo perdere. Capisco cosa intendi dire. — Si alzò. Non riusciva più a stare seduto, ma per tutto il resto era pienamente in controllo di sé, e parlava con perfetta naturalezza. — Devo pensare che non mi hai raccomandato per un posto d’insegnamento altrove.