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— Si avvicina il Demie. Perché non lo chiedi a lui?

— Lo farò — disse dignitosamente Carcolo.

Ma il Demie, seguito da quattro sacerdoti più giovani, camminando come se fosse perduto in un sogno, passò oltre senza parlare.

Joaz si sollevò sulle ginocchia e lo seguì con lo sguardo. Il Demie, a quanto pareva, intendeva salire la rampa ed entrare nella nave. Joaz balzò in piedi, lo seguì e gli sbarrò la strada.

Educatamente chiese: — Cosa cerchi, Demie?

— Cerco di salire a bordo della nave.

— A che scopo? Lo chiedo, naturalmente, per pura curiosità.

Il Demie lo squadrò senza rispondere. Il suo volto era teso e sconvolto, e i suoi occhi brillavano come stelle di ghiaccio. Finalmente rispose, con voce resa rauca dall’emozione. — Vorrei accertare se la nave può venire riparata.

Joaz rifletté un momento, poi parlò in tono gentile, ragionevole. — L’informazione può avere scarso interesse per voi. I sacerdoti si metterebbero completamente ai miei ordini?

— Noi non obbediamo a nessuno.

— In tal caso, non potrò prendervi con me quando partirò.

Il Demie si girò di scatto, e per un momento parve che intendesse allontanarsi. Il suo sguardo si posò sull’apertura sventrata in fondo alla valle, e si voltò di nuovo.

Parlò, non con la voce misurata di un sacerdote, ma in uno scoppio d’angoscia e di furore. — È opera tua! Ti pavoneggi, ti ritieni intelligente e astuto. Ci hai forzati ad agire, a profanare noi stessi e il nostro voto!

Joaz annuì, con un sorriso fiacco e fosco. — Sapevo che l’apertura doveva trovarsi dietro il Labirinto. Mi sono chiesto se stavate costruendo un’astronave; ho sperato che vi sareste difesi contro i Basici, servendo così ai miei scopi. Riconosco la validità delle tue accuse. Mi sono servito di voi e della vostra creazione come di un’arma, per salvare me stesso e la mia gente. Ho fatto male?

— Male o bene… chi può valutarlo? Hai sprecato il nostro lavoro, che continuava da più di ottocento anni di Aerlith! Hai distrutto qualcosa che non potrai mai surrogare.

— Io non ho distrutto nulla, Demie. Sono stati i Basici a distruggere la tua nave. Se aveste collaborato con noi a difendere la Valle dei Banbeck, questo disastro non sarebbe mai accaduto. Voi avete scelto la neutralità. Vi ritenevate immuni dalla nostra angoscia e dalla nostra sofferenza. Come vedi, non è così.

— E intanto le nostre fatiche di ottocentododici anni sono finite in nulla — disse il Demie.

Joaz chiese, con simulata ingenuità: — Perché avevate bisogno di un’astronave? Dove intendete andare?

Gli occhi del Demie bruciavano di fiamme intense come quelle di Skene. — Quando la razza degli uomini si è estinta, allora noi andiamo altrove. Ci spostiamo attraverso la galassia. Ripopoliamo i terribili, vecchi mondi, e la nuova storia universale comincia da quel giorno, dopo che il passato è cancellato, come se non fosse mai esistito. Se i greph vi annientano, cosa conta, per noi? Noi attendiamo solo la morte dell’ultimo uomo dell’universo.

— Non vi considerate uomini?

— Noi siamo quali voi ci conoscete… superuomini.

Alle spalle di Joaz qualcuno rise volgarmente. Joaz girò la testa e vide Ervis Carcolo. — Superuomini? — fece questi, beffardo. — Poveri derelitti nudi delle grotte! Cosa potete mostrare per provare la vostra superiorità?

La bocca del Demie si piegò, le rughe incise sul suo volto divennero più profonde. — Abbiamo i nostri tand. Abbiamo la nostra sapienza. Abbiamo la nostra forza.

Carcolo gli voltò le spalle con un’altra risata volgare. Joaz disse, sottovoce: — Provo più pietà per voi di quanta voi ne abbiate mai avuta per noi.

Carcolo si voltò di nuovo. — E dove avete imparato a costruire un’astronave? Da soli? Oppure dall’opera degli uomini vissuti prima di voi, gli uomini dei vecchi tempi?

— Noi siamo gli uomini supremi — disse il Demie. — Noi sappiamo tutto ciò che gli uomini hanno mai pensato, detto o ideato. Noi siamo gli ultimi e i primi. E quando le sottorazze saranno estinte, rinnoveremo il cosmo, innocente e puro come la pioggia.

— Ma gli uomini non si sono estinti e non si estingueranno mai — disse Joaz. — Qualche insuccesso, sì. Ma l’universo non è vastissimo? Chissà dove, vi sono i mondi degli uomini. Con l’aiuto dei Basici e dei loro Meccanici, riparerò la nave e partirò alla ricerca di quei mondi.

— Cercherai invano — disse il Demie.

— Quei mondi non esistono?

— L’Impero Umano si è dissolto. Gli uomini esistono solo in deboli comunità.

— E l’Eden, il vecchio Eden?

— Un mito, null’altro.

— E il mio globo di marmo?

— Un ninnolo. Un’invenzione.

— Come puoi esserne sicuro? — chiese Joaz, turbato nonostante tutto.

— Non ti ho detto che noi conosciamo tutta la storia? Noi possiamo guardare i nostri tand e vedere nelle profondità del passato, fin quando i ricordi non diventano bui e nebulosi, e non ricordiamo mai il pianeta Eden.

Joaz scosse ostinatamente il capo. — Deve esserci un mondo da cui vennero gli uomini. Chiamalo Terra o Tempe o Eden: da qualche parte esiste.

Il Demie fece per parlare, poi, con una rara dimostrazione d’indecisione, si trattenne. — Forse hai ragione tu. Forse noi siamo gli ultimi uomini. Ma io andrò a cercare.

— Verrò con te — disse Ervis Carcolo.

— Sarai fortunato se sarai ancora vivo domani — disse Joaz.

Carcolo si raddrizzò. — Non liquiderai con tanta disinvoltura le mie rivendicazioni sull’astronave!

Joaz cercò di rispondere, ma non trovò le parole. Cosa poteva fare con quell’individuo indisciplinato? Non riusciva a trovare in se stesso la durezza necessaria per fare ciò che sapeva di dover fare. Temporeggiò, voltando le spalle a Carcolo.

— Ora conosci i miei piani — disse al Demie. — Se voi non mi ostacolerete, io non ostacolerò voi.

Il Demie indietreggiò lentamente. — Allora vai. Noi siamo una razza passiva. Ci disprezziamo per la nostra attività di oggi. Forse è stato il nostro errore più grave… Ma va’, cerca il tuo mondo dimenticato. Riuscirai soltanto a perire chissà dove, tra le stelle. Noi attenderemo, come abbiamo già atteso. — Si voltò e si allontanò, seguito dai quattro sacerdoti più giovani, che durante il colloquio si erano tenuti in disparte con aria grave.

Joaz lo richiamò: — E se i Basici torneranno? Combatterete con noi? O contro di noi?

Il Demie non rispose: proseguì verso nord, mentre la lunga chioma canuta gli ondeggiava sulle scapole scarne.

Joaz lo seguì per un attimo con lo sguardo, scrutò la valle devastata, scosse il capo stordito e perplesso, e si volse a studiare la grande nave nera.

Skene toccò la sommità dei precipizi occidentali. La luce si affievolì istantaneamente, e venne un freddo improvviso.

Carcolo gli si avvicinò. — Questa notte terrò la mia gente qui nella Valle dei Banbeck, e domattina la rimanderò a casa. Intanto, propongo che tu salga con me a bordo dell’astronave per compiere un’ispezione preliminare.

Joaz trasse un profondo respiro. Perché non poteva essere più facile, per lui. Carcolo aveva cercato per due volte di togliergli la vita, e se le posizioni fossero state invertite, non gli avrebbe usato misericordia. S’impose di agire. Il suo dovere verso se stesso, la sua gente, la sua meta suprema, era evidente.

Chiamò i cavalieri che portavano le pistole termiche catturate ai nemici. Quelli si avvicinarono.

Joaz disse: — Portate Carcolo nel Crepaccio Clybourne. Giustiziatelo immediatamente.

Protestando e urlando, Carcolo fu trascinato via. Joaz distolse gli occhi, con il cuore stretto, e cercò Bast Givven. — Ti giudico un uomo ragionevole.