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Il Boia rallentò, incespicò. L’inerzia non può essere cancellata in un attimo, ma sentivo che le reazioni fisiche si attenuavano. L’avevo agganciato. Dovevo solo tenerlo.

Poi venne l’esplosione… Un’eruzione tonante, che scuoteva il terreno appena fuori, seguita da una pioggia di detriti. La granata, naturalmente.

In quel momento, il Boia si riprese e mi fu addosso. Io azionai il laser spinto da puro istinto di conservazione, prevenendo ogni tentativo di riprendere il controllo dei suoi circuiti. Con la mano sinistra cercai di colpire la sua sezione mediana, dove era alloggiato il gruppo cerebrale.

Lui bloccò la mia mano con il braccio e mi tolse di testa l’elmetto. Poi mi strappò di mano la pistola che era diventata rovente, la fracassò, e la buttò a terra. In quel momento, sobbalzò per l’impatto di due proiettili di grosso calibro. Bert, dopo aver ripreso il fucile, era dietro di lui.

Il Boia fece perno su se stesso e si allontanò prima che riuscissi a colpirlo ancora.

Bert lo colpì ancora una volta prima di finire nelle sue braccia, che lo spinsero a terra. Poi si girò di nuovo e fece diversi passi verso destra, scomparendo di vista.

Giunsi alla porta in tempo per vederlo avvolto dalle fiamme, che lo raggiungevano da un punto angolare della stanza. Lui le attraversò. Sentii il rumore di metallo spezzato mentre distruggeva il lanciafiamme. Uscii in tempo per vedere Larry cadere nella neve.

Poi il Boia mi affrontò di nuovo.

Questa volta non mi si precipitò addosso. Riprese l’elmetto da dove l’aveva posato nella neve. Poi avanzò lentamente verso di me. Mi ritirai, nascondendo un bastone lungo un metro tra i resti della porta. Lui mi seguì, mettendo l’elmetto (quasi distrattamente) sulla porta accanto all’ingressso. Mi spostai nel centro della stanza e rimasi in attesa.

Mi chinai leggermente in avanti, con le braccia tese, puntando il bastone ai fotoricevitori posti nella sua testa. Continuò a muoversi lentamente mentre rimanevo a fissarlo. Con un essere umano normale, una linea perpendicolare a quella che collega le parti interne dei piedi indica il vettore di minor resistenza per squilibrare in qualche modo l’organismo in questione. Sfortunatamente, nonostante la progettazione antropomorfica, le gambe del Boia erano maggiormente distanziate, mancava dei muscoli scheletrici umani, per non parlare dei piedi, e possedeva una massa molto maggiore di qualsiasi altro essere umano. Mentre consideravo le varie mosse di judo che conoscevo, avevo l’intensa sensazione che nessuna di esse si sarebbe rivelata efficace.

Poi lui si avvicinò e puntai decisamente ai fotoricevitori. Rallentò e scostò da un lato il bastone, continuando ad avvicinarsi, ed io mi spostai sulla destra, cercando di girargli attorno. Lo studiai mentre si voltava, tentando di intuire il suo punto di resistenza minima.

Simmetria bilaterale, un centro di gravità evidentemente alto… Un colpo preciso al compartimento cerebrale era quello che faceva al caso mio. Poi, anche se i suoi riflessi gli avessero permesso di colpirmi immediatamente, sarebbe rimasto a lungo a terra. Lo sapeva anche lui. L’avrei detto dal modo in cui teneva il braccio destro nei pressi della zona cerebrale, dal modo in cui cercava di evitare i miei colpi.

L’idea era un accenno in un momento, una sequenza intera in quello successivo…

Continuando il mio arco con movimenti sempre più veloci, feci un altro tentativo verso i suoi fotoricevitori. Il suo colpo mi strappò il bastone di mano e lo scagliò attraverso la stanza, ma andava benissimo. Alzai la mano sinistra e mi preparai a colpirlo. Indietreggiò e lo spinsi evidentemente. La cosa poteva costarmi la vita, ma dovevo correre lo stesso il rischio.

Infilai i piedi tra le gambe del Boia mentre lui si metteva in guardia, e mi spostai a destra, perché in ogni modo non potevo servirmi della mano sinistra per tenerlo in equilibrio. Lo colpii quando gli passai accanto, ignorando il dolore allorché la mia spalla sinistra colpì il pavimento. Tentai immediatamente un assalto posteriore, a gambe larghe.

Le mie gambe lo colsero al centro, da dietro, mi sforzai di allungarle e spinsi con tutta la mia forza. Il Boia scricchiolò e quindi si inclinò. Liberando le braccia lateralmente, continuai il mio movimento in avanti e verso l’alto fino a quando cadde con un rumore sordo che incrinò il pavimento. Mi liberai da lui mentre mi rialzavo, ma mi agganciò la gamba destra, formando, nella presa, un angolo molto doloroso rispetto al mio corpo.

Il mio guanto nero si calò sulla sua spalla sinistra. Si liberò della carica e mi spinse in avanti. La carica si attivò ed il suo braccio sinistro si staccò rotolando sul pavimento. Il sottostante pannello laterale tintinnò un po’, e fu tutto…

La sua mano destra mi lasciò i bicipiti e mi strinse alla gola. Mentre due delle sue dita mi stringevano la carotide, tossii dicendo: — Stai facendo un grosso sbaglio — e poi persi conoscenza.

Dopo un po’, ricomparve il mondo. Ero seduto nella grossa sedia occupata in precedenza dal senatore, con lo sguardo che vagava per la stanza. Un ronzio persistente mi riempiva gli orecchi. Qualcosa ammiccava alla mia testa.

— Sì, sei vivo e porti l’elmetto. Se tenterai di servirtene contro di me, te lo toglierò subito. Sono direttamente dietro di te. La mia mano è sul bordo dell’elmetto.

— Capisco. Cosa vuoi?

— Ben poco, in realtà. Ma so che devo dirti alcune cose prima che tu mi possa credere.

— Hai perfettamente ragione.

— Allora comincerò col dirti che i quattro uomini là fuori non hanno riportato danni rilevanti. Cioè, nessun osso è stato spezzato, nessun organo danneggiato gravemente. Li ho immobilizzati, però, per ovvii motivi.

— È stato molto prudente da parte tua.

— Non ho intenzione di fare del male a nessuno. Sono venuto qui solo per vedere Jesse Brockden.

— Nello stesso modo in cui hai visto David Fentris?

— Sono arrivato a Memphis troppo tardi per vedere David Fentris. Quando l’ho raggiunto era morto.

— Chi l’ha ucciso?

— L’uomo che Leila inviò perché le prendesse l’elmetto. Era uno dei suoi pazienti.

Mi tornò in mente l’incidente, e tutte le tessere del mosaico combaciarono perfettamente. Il volto familiare, stupito all’aeroporto mentre lasciavo Memphis. Mi resi conto dove l’avevo visto, senza notarlo, in precedenza: era stato uno dei tre uomini che avevano partecipato alla sessione terapeutica da Leila quella mattina, e che avevo visto nell’atrio mentre uscivano. L’uomo accanto a cui ero passato a Memphis era il più vicino dei due che rimasero in attesa mentre il terzo venne a dirmi che potevo salire.

— Perché? Perché l’ha fatto?

— So solo che aveva parlato con David poco tempo prima, ed era venuta a sapere dell’elmetto di controllo che lui stava costruendo. Non so cosa si dissero in realtà. Conosco solo i sentimenti di lei, perché glieli lessi nella mente. Ho impiegato molto tempo a scoprire che esiste spesso una grande differenza tra quello che si dice e quello che si intende dire, e cioè fra ciò che si fa e tra ciò che si crede sia stato detto e ciò che è realmente avvenuto. Lei mandò il suo paziente a prendere l’elmetto e lui glielo portò. Probabilmente lo indossò, perché quando ritornò era in una condizione mentale molto agitata, timoroso e spaventato dalle conseguenze. Litigarono. Il mio avvicinarsi a quel punto attivò l’elmetto, e lui la attaccò. So che il primo colpo la uccise, perché quando accadde ero già nella sua mente. Continuai ad avvicinarmi all’edificio, dato che volevo raggiungerla. C’era molto traffico, però, e persi tempo per non farmi scoprire. Nel frattempo, sei entrato tu e ti sei servito dell’elmetto. Mi sono immediatamente allontanato.