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Bevvi un altro sorso di caffè. Accesi un’altra sigaretta.

Poteva esserci un sistema di risolvere le cose in modo che David non entrasse nemmeno in scena. Potevo parlare a Leila Thackery in primo luogo, controllare poi tutti i dati dell’assassinio di Burns, seguire da vicino i nuovi sviluppi, trovare altre notizie sul vascello caduto nel Golfo… Potevo sistemare tutto, anche se sarebbe stata solo una negazione della teoria di Brockden, senza che il mio sentiero dovesse incrociare quello di David.

— Hai tutti i dati sul Boia? — chiesi.

— Sono qui.

Me li porse.

— I rapporti di polizia sull’omicidio di Burns?

— Eccoli.

— Gli alibi di tutti i sospetti, e qualche informazione su di loro?

— Qua.

— Il luogo od i luoghi in cui posso raggiungerti nei prossimi giorni… a qualsiasi ora? Questo caso può richiedere un certo coordinamento.

Sorrise e prese la penna.

— Felice di averti a bordo — disse.

Scossi la testa.

Lo squillo del telefono mi svegliò. Un riflesso condizionato mi spinse ad attraversare la stanza, e ad afferrare il ricevitore.

— Sì?

— Mister Donne? Sono le otto.

— Grazie.

Mi lasciai cadere su una sedia. Sono quello che potrebbe essere definito un partente lento. Stento a ricapitolare la situazione tutte le mattine. I desideri fondamentali si aprono lentamente la strada attraverso la mia materia grigia per chiudere un contatto. Lentamente, allungai una mano ancora addormentata e composi un paio di numeri telefonici. Biascicai un ordine di colazione alla voce che mi rispose. Poi andai a risciacquarmi per prendere contatto con la realtà.

Non avevo dormito molto, la notte prima. Avevo chiuso la nave appena dopo la partenza di Don. Lasciato il Proteus ero andato all’aeroporto per prendere un aereo che mi portasse a St. Louis in piena notte. Non riuscii a dormire durante il volo; pensavo al caso, e decisi che sarei andato subito a parlare con Leila Thackery. All’arrivo, presi una camera al motel dell’aeroporto, chiedendo di svegliarmi ad un’ora irragionevole, e quindi crollai.

Mentre mangiavo, riconsiderai i fogli che Don mi aveva lasciato.

Al momento Leila Thackery era sola, avendo appena divorziato dal secondo marito; aveva quarantasei anni, e viveva in un appartamento nei pressi dell’ospedale in cui lavorava. C’era pure una foto che poteva avere forse dieci anni. Aveva pubblicato un certo numero di libri ed articoli con titoli pieni di alienazione, ruoli, transazioni, contesti sociali, ed altre alienazioni ancora.

Non avevo avuto il tempo di seguire la solita prassi, di diventare un nuovo individuo con una storia controllabile. Solo un nome ed una storia, ecco tutto. In ogni modo, in quell’occasione non sembrava necessario niente di più. Per una volta, un approccio ragionevolmente onesto sembrava il più adatto.

Presi un mezzo pubblico per giungere al suo appartamento. Non telefonai prima di andare, perché è più facile dire «No!» ad una voce che ad una persona.

Secondo le registrazioni, quello era uno dei giorni in cui visitava i pazienti a casa. La sua idea evidentemente; distruggere l’immagine alienante delle istituzioni, rimuovere ogni risentimento trasformando le riunioni in qualcosa di maggiormente simile alle occasioni sociali, eccetera. Io non avevo bisogno di molto del suo tempo — avevo deciso che se era il caso ci avrebbe pensato Don — anche perché ero sicuro che le sue visite erano programmate in modo da lasciare pochissimo tempo libero.

Avevo appena rintracciato il suo nome e il numero dell’appartamento sul citofono quando una donna mi sorpassò ed aprì il portone. Mi guardò e tenne aperta la porta, così che potei entrare senza suonare. L’elemento presenza, ancora una volta.

Presi l’ascensore fino al piano di Leila, il secondo, trovai la porta e bussai. Ero quasi pronto a bussare una seconda volta quando si aprì uno spiraglio.

— Sì? — chiese, ed io riconsiderai la stima fatta sull’età della foto. Sembrava praticamente la stessa.

— Dottoressa Thackery — dissi — il mio nome è Donne. Potrebbe essermi di grande aiuto per un mio problema.

— Che tipo di problema?

— Implica uno strumento noto come il Boia.

Sospirò e sorrise. Le sue dita tamburellarono sulla porta.

— Ho percorso molta strada, ma ci vorrà pochissimo tempo. Ci sono solo poche domande che vorrei porle.

— Lavora per il governo?

— No.

— Lavora per Brockden?

— No, è qualcosa di diverso.

— Benissimo — disse. — In questo momento ho una riunione di gruppo. Probabilmente durerà per un’altra mezz’ora. Se non le dispiace attendere nell’ingresso, la chiamerò appena sarà finita. Poi potremo parlare.

— Abbastanza soddisfacente — dissi. — Grazie.

Lei annuì e chiuse la porta. Trovai la scala e ridiscesi.

Una sigaretta dopo, decisi che il diavolo trova lavoro per le mani pigre e lo ringraziai per il suggerimento. Uscii. Sul citofono, lessi il nome di alcuni inquilini del quinto piano. Salii e bussai ad una delle porte. Prima che si aprisse tirai fuori visìbilmente la biro e il blocchetto per gli appunti.

— Sì? — Sulla cinquantina, curiosa.

— Mi chiamo Stephen Foster, Mrs. Gluntz. Sto facendo un’inchiesta per la Lega Nordamericana dei Consumatori. Vorrei pagarle un paio di minuti del suo tempo, per porre alcune domande sui prodotti di cui si serve.

— Perché… pagarmi.

— Sì, signora. Dieci dollari. Per una dozzina di domande. Ci vorranno al massimo un paio di minuti.

— Benissimo. — Spalancò la porta. — Vuole entrare?

— No, grazie. La cosa è talmente breve che non ce n’è bisogno. La prima domanda riguarda i detersivi…

Dieci minuti dopo ero tornato nell’atrio ed avevo terminato tre liste di spese medie. Quando una situazione è piena di elementi imponderabili e faccio un gioco che non consoco, mi piace premunirmi il più possibile.

Ancora un quarto d’ora, e rientrai nell’ascensore da cui erano appena usciti tre ragazzi, vestiti sportivamente, che ridacchiavano allegri.

Il più grosso mi indicò ed annuì.

— È lei che deve parlare con la Dottoressa Thackery.

— Esatto.

— Dice che può salire.

— Grazie.

Tornai su, alla sua porta. Lei aprì, mi fece entrare, mi indicò una sedia molto comoda e si sedette con me.

— Vuole una tazza di caffè? — chiese. — È fresco. Ne ho fatto più del necessario.

— Splendido. Grazie.

Pochi istanti dopo, portò un paio di tazze, me ne diede una, e si risedette. Ignorai latte e zucchero e bevvi un sorso.

— Mi ha interessata — disse. — Dica tutto.

— D’accordo. Mi è stato riferito che lo strumento telefattore noto come il Boia, probabilmente dotato di un’intelligenza artificiale, è ritornato sulla Terra…

— Per ipotesi — disse lei. — A meno che non sappia qualcosa più di me. Mi è stato detto che il velivolo del Boia è rientrato, e che si è schiantato nel Golfo. Non ci sono prove del fatto che fosse occupato.

— Sembra anche altrettanto ragionevole che il Boia abbia inviato il velivolo in un punto di rendez-vous molti anni fa e che esso l’abbia raggiunto solo adesso, dopo di che è entrato in azione il programma di rientro facendolo scendere.

— Perché avrebbe dovuto far rientrare il veicolo e rimanersene lassù?

— Prima che le risponda — disse, — vorrei conoscere il motivo del suo interessamento. Giornali?

— No — dissi. — Sono uno scrittore di argomenti scientifici… tecnica, su un livello abbastanza divulgativo. Ma non sto cercando l’argomento per un articolo. Sto cercando le implicazioni psicologiche della cosa.