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— Lasci che esponga la cosa con la massima brutalità — dissi. — Se ha ragione e si tratta di un Angelo Vendicatore, direi che sia blasfemo cercare di ostacolarlo. D’altra parte, se non lo è allora penso che lei danneggi molto gli altri nascondendo informazioni che potrebbero permetter loro di fornirsi di una protezione un po’ migliore di quella che può dargli da solo.

Rise.

— Devo solo imparare a vivere anche con quella colpa, come loro fanno con le proprie — disse. — Quando avrò fatto del mio meglio, essi si meriteranno quello che avranno.

— Se ho ben capito — dissi — anche Dio non giudica le persone fino a quando sono morte… se vuole un altro pezzo di presunzione da aggiungere alla raccolta.

Smise di ridere e osservò la mia espressione.

— C’è qualcosa di familiare nel suo modo di parlare, nel modo di pensare — disse. — Ci siamo mai incontrati prima?

— Ne dubito. Me ne sarei ricordato.

Scosse la testa.

— Il suo modo di fare mi sembra lo stesso in qualche modo familiare — continuò. — Mi incuriosisce, signore.

— Era proprio la mia intenzione.

— Rimarrà qui in città?

— No.

— Mi dia un numero di telefono con cui io possa raggiungerla, vuole? Se mi verrà in mente qualcos’altro sull’argomento, le telefonerò.

— Vorrei che me ne parlasse adesso, se lo ritiene possibile.

— No, devo pensarci un po’. Dove posso trovarla?

Gli diedi il nome del motel in cui ero ancora alloggiato a St. Louis. Potevo telefonare periodicamente per sapere se c’erano messaggi.

— Benissimo — disse, e mi accompagnò verso la porta. Mi alzai e lo seguii, fermandomi sull’uscio.

— Una cosa… — dissi.

— Sì?

— Se compare e lo ferma, mi telefonerà per dirmelo?

— Certo. Lo farò.

— Grazie.

Poi… stavo per aggiungere altre domande, ma mi trattenni.

Non potevo insistere troppo con Dave, e Leila Thackery mi aveva detto tutto quello che poteva. Non c’era alcun motivo ancora per telefonare a Don… non fino a quando non avessi avuto qualcosa di più da riferirgli.

Ci pensai mentre tornavo all’aeroporto. Le ore che precedono la cena sono sempre le migliori per parlare a coloro che ricoprono in qualche modo cariche ufficiali, proprio come la notte è il momento ideale per pratiche illecite. Molto psicologico, ma non di meno vero. Odiavo l’idea di perdere il resto della giornata se c’era qualcun altro con cui valeva la pena di parlare prima di fare rapporto a Don.

Manny Burns aveva un fratello, Phil. Mi chiesi se valeva la pena di andarlo a trovare. Potevo arrivare a New Orleans ad un’ora sufficientemente rispettabile, sentire quello che aveva da dirmi, interpellare Don per i nuovi sviluppi, e poi decidere se c’era qualcosa da fare per quanto riguardava la capsula spaziale.

All’aeroporto, feci rapidamente il biglietto, appena in tempo per una coincidenza.

Mentre mi precipitavo per prendere l’aereo, i miei occhi si imbatterono in una figura abbastanza familiare sulla scala mobile che andava in direzione opposta alla mia. Il riflesso che agisce in tali occasioni sembrò entrare in funzione in entrambi, perché anche lui si voltò, con lo stesso aggrottar pensieroso di sopracciglia. Poi sparì dalla vista. Non riuscii a identificarlo, però. Il volto quasi familiare diventa un fenomeno comune in una società affollata ed in un continuo movimento. Penso talvolta che sia proprio ciò che in ultima analisi rimane di noi: schemi di lineamenti, alcuni un po’ più persistenti degli altri, impressi sullo scorrere dei volti. Un ragazzo di provincia in una grande città. Thomas Wolfe molto tempo fa deve aver sentito le stesse cose quando coniò il termine «calore umano». Poteva trattarsi di qualcuno che avevo conosciuto superficialmente, o più semplicemente di qualcuno che assomigliava a un tizio… che avevo incontrato varie volte in situazioni analoghe.

Mentre mi allontanavo in volo da Memphis, riflettei sulla nozione di intelligenza artificiale, o AI come era stata siglata. Quando si parlava di computer, la nozione AI era sempre sembrata più scottante di quanto pensassi, in parte per motivi semantici. Il termine «intelligenza» possiede moltissime implicazioni di tipo non-fisico. Credo che ciò sia da attribuirsi al latto che le prime discussioni e congetture riguardanti l’argomento avevano dato l’impressione che le potenzialità per l’intelligenza fossero sempre presenti nei dispositivi cibernetici e che le procedure esatte, i programmi corretti, dovevano solo essere identificati. Se si considerava la cosa sotto questo punto di vista, sorgeva un inevitabile déja vu… cioè, il vitalismo. Le battaglie filosofiche del diciannovesimo secolo che avevano toccato questo problema non erano mai state completamente dimenticate, e le dottrine che sostenevano che la vita è provocata e sostenuta da un principio vitale diverso delle forze fisiche e chimiche, e che la vita si autosostiene e si autoevolve, avevano combattuto aspramente prima che Darwin ed i suoi successori fornissero un trionfo dopo l’altro per la visione meccanicistica. Poi il vitalismo aveva ripreso inaspettatamente forza quando era sorta la discussione sull’Ai nella metà del secolo scorso. Sembrava che Dave se ne fosse lasciato trascinare, e che fosse giunto a credere di aver contribuito alla creazione di una capsula non soddisfatta, riempiendola poi di una cosa che si considerava riservata all’interprete della scena del primo capitolo della Genesi…

Con i computer le cose non andavano male come con il Boia, però, perché era sempre possibile sostenere che indipendentemente dall’elaborazione del programma, si trattava fondamentalmente di un’estensione della volontà del programmatore, e che le operazioni delle macchine casuali rappresentavano semplicemente funzioni dell’intelligenza, piuttosto che un’intelligenza autonoma sostenuta da una volontà indipendente. E c’era pur sempre Godel per un cordon sanitaire teorico, con la sua dimostrazione della proposizione vera ma meccanicamente indimostrabile.

Ma il Boia era abbastanza diverso. Era stato progettato secondo le linee generali di un cervello, ed, almeno in parte, educato secondo sistemi umani; e per ingarbugliare ulteriormente la situazione per quanto riguardava il vitalismo, era stato in contatto diretto con menti umane da cui poteva aver acquisito praticamente tutto; compresa la scintilla che l’aveva messo sulla strada di quell’indipendenza che poteva aver conquistato in seguito. Che cosa diventava? Una creazione autonoma? Uno specchio rotto che rifletteva un’umanità frustrata? Entrambe le cose? O nessuna delle due? Certamente non ero in grado di dirlo, ma mi chiedevo fino a che punto la sua personalità appartenesse proprio a lui. Aveva evidentemente acquisito un gran numero di funzioni, ma era in grado di avere veri sentimenti? Poteva, per esempio, provare qualcosa di simile all’amore? In caso contrario, allora, si trattava solo di una sintesi di facoltà complesse, e non di una cosa che possedesse tutti i collegamenti impliciti di tipo nonfisico che rendevano pregnante il termine «intelligenza» nelle discussioni sull’Ai; e se fosse stato capace di provare qualcosa di, diciamo, simile all’amore, e se io fossi stato in Dave, non mi sarei mai sentito in colpa per il fatto di aver contribuito a tale creazione. Me ne sarei sentito orgoglioso, anche se non nel modo che lo preoccupava, come al tempo stesso, anche umile… D’altra parte, però non so fino a che punto mi sarei sentito intelligente, perché non ho ancora capito con precisione cosa diavolo sia l’intelligenza.

Il cielo crepuscolare era limpido quando atterrammo. Giunsi in città prima che il tramonto si fosse spento, ed alla porta di Philip Burns pochi minuti dopo.