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«Perché i russi non hanno comunicato nulla?» chiese Hogar.

Joao guardò Hogar, pensando: Parole senza sen­so, parole senza senso.

«I russi stanno silenziosamente estendendo la linea degli Urali nella zona Verde», disse Chen-Lhu. «Stanno infestando di nuovo, capisce? No… avevo dato disposizioni di trovare un nuovo insetto, tipica­mente brasiliano, che avrebbe distrutto gran parte dei raccolti… e di questo fatto avremmo incolpato… chi? Forse qualche bandeirante.»

Incolpare i bandeirantes, pensò Joao. Già, tutti si scagliano contro i bandeirantes.

«La cosa più divertente», riprese Chen-Lhu, «è quello che si vede nelle vostre zone Verdi. Sapete a che cosa alludo?»

«Lei è diabolico», esclamò Vierho con rabbia.

«No, sono soltanto un patriota», ribatté Chen-Lhu. «Non vi interessa sapere che cosa ho visto nelle vo­stre zone Verdi?»

«Parli, maledizione!» scattò Vierho.

«Ho visto i segni della stessa carestia che si è abbattuta sulla mia nazione», disse Chen-Lhu. «Frut­ti più piccoli, raccolti più poveri, foglie secche, pian­te avvizzite. Presto ve ne accorgerete tutti.»

«Allora si fermeranno prima che sia troppo tardi», affermò Vierho.

Che assurdità, pensò Joao. Chi mai si ferma prima che sia troppo tardi?

«Lei è un ingenuo, mio caro», replicò Chen-Lhu. «I vostri governanti non sono diversi dai nostri: ciò che più conta per loro è la conservazione del potere. Non si accorgeranno di nulla finché sarà troppo tardi.»

Joao si chiese come mai l’interno della tenda si fosse improvvisamente oscurato; la pelle gli bruciava e il capo gli girava come se avesse bevuto troppo. Una mano gli toccò la spalla. Abbassò lo sguardo sulla mano, poi risalì su per il braccio fino a… un volto: Rhin. Aveva gli occhi pieni di lacrime.

«Joao… senhor Martinho, sono stata una sciocca», disse.

«Hai ascoltato tutto?» chiese Chen-Lhu.

«Già», rispose lei.

«Che peccato», esclamò Chen-Lhun. «Avevo spe­rato di conservarti qualcuna delle tue illusioni… per un breve lasso di tempo, comunque.»

Che conversazione bizzarra, pensò Joao. E che stra­na persona questa Rhin. Strana anche questa tenda, con la traversa che mi gira attorno e sta per venirmi addosso.

Qualcosa si abbatté sul suo capo.

Sono caduto, pensò. Non è strano?

L’ultima cosa che udì prima di piombare nell’inco­scienza fu la voce spaventata di Vierho che grida­va: «Capo!»

In sogno vide Rhin che volteggiava su di lui di­cendo: «Non è questo il momento di discutere su chi deve dare gli ordini». E ancora in sogno le ri­volse uno sguardo cattivo pensando come fosse odiosa, nonostante la sua bellezza.

Qualcuno disse: «Che differenza fa? Tanto fra poco saremo tutti morti».

E un’altra voce aggiunse: «Guarda, guarda que­sto qui. Rassomiglia a Gabriel Martinho, il prefetto».

Joao si sentì sprofondare in un abisso dove il suo volto, chiuso in una morsa d’acciaio, era costretto a guardare nel monitor della sua cabina di pilotaggio. Lo schermo mostrava un gigantesco cervo volante col volto di suo padre. Udì un ronzio simile al verso della cicala e una voce che diceva: «Non agitarti. Non agitarti…»

Si svegliò col desiderio di urlare, ma si accorse che nessun suono gli usciva dalla gola. Il suo cor­po era bagnato di sudore e Rhin gli sedeva accanto asciugandogli la fronte. Appariva pallida e dimagrita e aveva gli occhi infossati. Per un attimo si chiese se questa Rhin dal volto emaciato fosse parte di un sogno; lo guardava dritto negli occhi, eppure non aveva l’aria di notare il suo risveglio.

Fece per parlare, ma aveva la gola troppo secca.

Quel movimento attirò l’attenzione di Rhin che si curvò su di lui e lo fissò; poi prese una borraccia e gli versò alcune gocce d’acqua in gola.

«Che cosa…» mormorò con voce roca.

«Anche lei, come me, è stato punto da un in­setto il cui veleno contiene una droga», spiegò Rhin. «Adesso cerchi di non sforzarsi.»

«Dove?»

Lei lo guardò intuendo il significato più ampio della domanda.

«Siamo tuttora in trappola», rispose, «ma ades­so pare che ci sia una possibilità di cavarcela».

Dal suo sguardo Rhin capì la domanda che le sue labbra non riuscivano a formulare.

«La sua capsula», disse. «Alcuni circuiti sono sta­ti seriamente danneggiati, ma Vierho sta tentando di sostituirli. Ora deve rimanere calmo.» Gli control­lò il polso, gli infilò un termometro in bocca e dopo poco lo lesse. «La temperatura è normale», dichia­rò. «Ha avuto in passato disturbi cardiaci?»

Istantaneamente pensò a suo padre, ma la doman­da non riguardava lui. «No», mormorò.

«Mi sono rimaste alcune trasfusioni energetiche. Potrei fargliene una, se non è debole di cuore», sug­gerì Rhin.

«La prego», fece lui.

«Introdurrò l’ago in una vena della gamba», dis­se. Quindi si curvò su una cassetta vicino alla branda da cui prese un involucro scuro e piatto, sollevò le lenzuola e cominciò la trasfusione del liquido energe­tico nella vena.

Joao avvertì una trafittura nella gamba sinistra; era ancora assopito e tutto gli sembrava così re­moto.

«Ecco come abbiamo riportato Chen-Lhu in vi­ta», continuò Rhin, tirando giù le lenzuola.

Travis non è morto, pensò. Intuì che si trattava di un fatto estremamente importante, ma gliene sfug­giva il motivo.

«Era qualcosa di più di una droga», spiegò Rhin, «la sostanza che ha avvelenato me e Chen-Lhu. L’ha scoperta Vierho nell’acqua».

«Acqua?»

Rhin credette che volesse bere e gli avvicinò la borraccia alle labbra. «Due giorni dopo il nostro ar­rivo, scavammo un pozzo in una delle tende», rac­contò. «Un’infiltrazione del fiume, naturalmente. L’ac­qua era carica di veleni, in parte nostri. Vierho sen­tì che l’acqua aveva un sapore amaro e, dopo averla analizzata, scoprimmo che conteneva un’altra sostan­za: un allucinogeno capace di produrre una reazione molto simile alla schizofrenia. Escludo che sia sta­ta mescolata all’acqua da esseri umani.»

Joao sentì che il liquido gli infondeva nuove ener­gie. Un crampo simile alla morsa della fame gli atta­nagliava lo stomaco. «Allora sono stati… ‘quelli’», commentò.

«È probabile», rispose Rhin. «Abbiamo allestito un laboratorio rudimentale. La resistenza a questo allucinogeno varia a seconda dell’individuo. Hogar sembra esserne immune, il suo organismo invece è privo di difese contro tale droga.» Gli controllò nuo­vamente il polso. «Si sente più forte?»

«Sì.»

Adesso i crampi gli stringevano i muscoli della co­scia… un dolore ritmico e acuto.

«Abbiamo analizzato lo scheletro nella capsula», riprese Rhin. «Una cosa sconcertante. Assomiglia in modo impressionante allo scheletro umano, a ecce­zione della spina dorsale e di piccoli fori… presu­mibilmente dove si attaccavano gli insetti per artico­larlo. È leggero come una piuma, ma molto resisten­te. L’affinità con la chitina è piuttosto evidente.»

Joao meditò su questo fatto, aspettando che le nuo­ve energie introdotte nel suo corpo si accumulasse­ro. Man mano che i minuti passavano, si sentiva sempre più forte. Ecco che cosa era accaduto nel frattempo: avevano riparato la capsula e analizza­to lo scheletro.

«Quanto tempo sono rimasto qui?» chiese.