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— Tanto vale che ti dica, Scuotivento, che esiste un certo contatto tra i Signori del Mare Circolare e l’imperatore dell’Impero Agateo, come è chiamato. Un contatto molto vago. Abbiamo poco in comune: noi non possediamo nulla che loro vogliono e loro non hanno nulla che noi possiamo permetterci. È un impero antico, Scuotivento. Antico, astuto, crudele e molto, molto ricco. Così ci scambiamo saluti fraterni con la posta a mezzo albatro. A intervalli non frequenti.

"Una di queste lettere è arrivata stamattina. Sembra che uno dei soggetti dell’impero si sia messo in testa di visitare la nostra città. Per guardarla. Soltanto un pazzo si sottometterebbe a tutte le privazioni di una traversata dell’oceano Turnwise per il semplice gusto di guardare qualcosa. Comunque… L’uomo è sbarcato stamattina. Avrebbe potuto incontrare un grande eroe o il più astuto dei ladri o un grande saggio. Ha incontrato te. Ti ha assunto come guida. Scuotivento, tu farai da guida a questo spettatore, a questo Duefiori. Baderai a che se ne torni a casa con un buon rapporto sulla nostra piccola patria. Che hai da dire in proposito?"

— Ehm. Grazie, mio signore — rispose Scuotivento avvilito.

— C’è anche un altro punto. Sarebbe una tragedia se al nostro piccolo visitatore accadesse qualcosa di spiacevole. Per esempio, sarebbe spaventoso se dovesse morire. Spaventoso per il paese tutto, perché l’Impero Agateo veglia sui suoi e potrebbe certamente annientarci con un cenno. Un semplice cenno. E questo sarebbe spaventoso per te, Scuotivento. Nelle settimane precedenti l’arrivo dell’imponente flotta mercenaria dell’Impero, certi miei servitori si occuperebbero della tua persona nella speranza che all’arrivo dei capitani assetati di vendetta, la loro collera si mitigasse alla vista del tuo corpo ancora vivo. Ci sono incantesimi che possono impedire alla vita di abbandonare un corpo, per quanto malridotto e… Vedo dalla tua espressione che cominci a capire?

— Yarrg.

— Prego?

— Sì, mio signore. Ci penserò, ehm, voglio dire cercherò di farlo. Voglio dire, be’, veglierò su di lui e baderò che non gli sia fatto del male. — "E dopo mi troverò un lavoro come giocoliere con le palle di neve all’inferno", aggiunse con amarezza nel segreto della sua mente.

— Splendido! So che tu e Duefiori siete già in ottimi termini. Un inizio eccellente. Quando tornerà sano e salvo in patria, non mi troverai ingrato. Probabilmente lascerò perfino cadere le accuse contro di te. Grazie, Scuotivento. Puoi andare.

Scuotivento decise che era preferibile non chiedere la restituzione dei suoi cinque rhinu. Indietreggiò con circospezione.

— Oh, un’altra cosa — esclamò il Patrizio mentre lui cercava a tastoni la maniglia della porta.

— Sì, mio signore? — Il mago si sentì mancare il cuore.

— Sono sicuro che non cercherai di sottrarti ai tuoi obblighi scappando dalla città. A mio giudizio, sei un cittadino nato e cresciuto. Ma puoi stare certo che al cader della notte i signori delle altre città saranno messi al corrente di queste condizioni.

— Vi assicuro, mio signore, che un simile pensiero non mi è mai passato per la mente.

— Davvero? Allora, se fossi in te, denuncerei la mia faccia per calunnia.

Scuotivento raggiunse di corsa il Tamburo Rotto, giusto in tempo per andare a sbattere contro un uomo che ne usciva all’indietro, a precipizio. La fretta dello straniero era in parte giustificata dalla lancia piantata nel suo petto. Con un rantolo cadde stecchito ai piedi del mago.

Scuotivento sbirciò dentro la soglia e si ritirò con un balzo mentre una pesante ascia gli passava accanto ronzando come una pernice. Probabilmente si era trattato di un lancio fortuito, come accertò il nostro amico con un’altra occhiata prudente. Nell’interno buio del Tamburo era in corso una rissa accanita e un bel numero di contendenti giaceva a pezzi in terra, come gli confermò una terza e più lunga occhiata. Scuotivento si tirò indietro mentre uno sgabello lanciato con violenza gli passava accanto per andare a sfasciarsi dall’altra parte della strada. Quindi il mago si tuffò nel locale.

Indossava una tunica scura, resa ancora più scura dal continuo uso e dalle lavature irregolari. Nella semiluce e nel calore della zuffa, nessuno notò l’ombra che si muoveva a fatica da un tavolo all’altro. A un certo punto uno dei combattenti barcollò all’indietro e calpestò quelle che gli sembrarono delle dita. Si sentì mordere la caviglia. Dette in uno strillo acuto e abbassò la guardia quel tanto da permettere a una spada, maneggiata da un avversario sorpreso, d’infilzarlo.

Scuotivento raggiunse la scala. Si succhiava la mano calpestata e correva in modo curioso, piegato in due. La freccia di una balestra si conficcò nella balaustra poco più in alto della sua testa e lui ebbe un gemito. Fece le scale tutte d’un fiato, aspettandosi di ricevere a ogni momento un altro colpo più preciso.

Giunto nel corridoio si fermò a riprendere fiato e vide che il pavimento davanti a lui era seminato di cadaveri. Un uomo grosso, con una barba nera e una spada insanguinata in mano, stava provando la maniglia di una porta.

— Ehi! — gridò Scuotivento. L’uomo si guardò intorno e poi, quasi automaticamente, si sfilò un coltello dalla bandoliera e lo lanciò. Scuotivento si abbassò. Con un urlo, l’uomo della balestra alle sue spalle che stava prendendo la mira, lasciò cadere l’arma e si portò le mani alla gola.

Intanto l’omaccione stava già afferrando un altro coltello. Scuotivento si guardò freneticamente intorno e poi, ricorrendo a un’improvvisazione disperata, assunse una posa da mago e, con la mano sollevata, pronunciò: — Asoniti! Kyorucha! Beazleblor!

L’uomo esitò, girando nervosamente lo sguardo a destra e a sinistra in attesa della magia. La conclusione che non ce ne sarebbe stata nessuna lo colpì nello stesso momento in cui Scuotivento si buttò in avanti e gli sferrò un calcio all’inguine.

Quello si piegò in due urlando e il mago spalancò la porta, balzò dentro, la richiuse e ci si appoggiò contro, con il respiro affannoso.

Dentro regnava la tranquillità. C’era Duefiori che dormiva pacifico sul letto basso. E lì, ai piedi del letto, c’era il Bagaglio.

Scuotivento fece qualche passo in avanti, spinto dalla cupidigia, come se scivolasse sulle rotelle. La cassa era aperta. Dentro c’erano delle borse e in una il mago scorse lo scintillio dell’oro. Per un momento l’avidità ebbe la meglio sulla prudenza e lui allungò la mano guardingo… ma a che scopo? Non sarebbe mai vissuto tanto da goderselo. Ritirò la mano a malincuore e vide esterrefatto un lieve tremore nel coperchio aperto della cassa. Non si era spostato leggermente, come mosso dal vento?

Scuotivento si guardò prima le dita e poi guardò il coperchio. Era pesante e cerchiato di ottone. Adesso non si muoveva.

Quale vento?

— Scuotivento!

Duefiori balzò giù dal letto. Il mago fece un salto indietro e si sforzò di sorridere.

— Mio caro, giusto in tempo! Faremo colazione e poi sono sicuro che avete preparato un magnifico programma per questo pomeriggio!

— Ehm…

— Splendido!

Scuotivento respirò a fondo.

— Sentite — cominciò disperato — andiamo a mangiare da un’altra parte. Dabbasso c’è stata una specie di battaglia.

— Una rissa da taverna? Perché non mi avete svegliato?

— Be’, vedete. Io… cosa?

— Credevo di essermi spiegato stamane. Scuotivento. Io voglio vedere la vera vita morporkiana, il mercato degli schiavi, le Fosse delle Baldracche, il Tempio dei Piccoli Dei, la corporazione dei mendicanti… e un’autentica rissa da taverna. — Nella voce di Duefiori si avvertì un accenno di sospetto. — Voi qui in città le avete queste cose, vero? Sapete, quelli che dondolano dai lampadari, duelli sui tavoli, quel genere di avventure che capitano sempre a Bravd il Barbaro e a Donnola. Sapete… eccitazione.