L’uso del congegno è ristretto agli elfi, agli umani ed agli orchi... non è richiesto nessun incantesimo... Crysania giunse alla fine e sollevò lo sguardo su Raistlin, incerta. Lui la stava guardando con una strana espressione ansiosa. Là, c’era qualcosa che Raistlin aspettava che lei trovasse. E, nel profondo del suo intimo, avvertiva un’inquietudine, una paura, un torpore, come se il suo cuore comprendesse il testo con più rapidità del suo cervello.
«Di nuovo,» disse Raistlin.
Cercando di concentrarsi, malgrado una volta ancora fosse disturbata dalla tempesta che infuriava all’esterno, aumentando ulteriormente d’intensità, Crysania esaminò di nuovo il testo.
Ed eccolo là. Le parole le balzarono addosso, afferrandola alla gola, soffocandola.
Trasporterà soltanto una persona...
Trasporterà soltanto una persona!
Crysania sentì che le gambe le cedevano. Per fortuna Raistlin spostò una sedia dietro di lei, altrimenti sarebbe stramazzata sul pavimento.
Rimase immobile per lunghi istanti, a fissare la stanza. Malgrado fosse illuminata dalla luce dei lampi e dalla magica radiosità del bastone, per lei era diventata d’un tratto un antro tenebroso.
«E lui... lo sa?» chiese infine, attraverso le labbra intorpidite.
«Caramon?» sbuffò Raistlin. «Certo che no. Se gliel’avessero rivelato, Caramon si sarebbe rotto il suo collo da imbecille per cercare di fartelo avere, e ti avrebbe supplicato in ginocchio di adoperarlo e di concedergli il privilegio di morire al tuo posto. Riesco a immaginare ben poco d’altro che potrebbe farlo più felice.
«No, Dama Crysania, lo avrebbe usato fiduciosamente, con te accanto a lui oltre al kender, senza alcun dubbio. E sarebbe rimasto sconvolto quando gli avessero spiegato per quale motivo era ritornato solo. Mi chiedo come Par-Salian sperasse di riuscirci,» aggiunse Raistlin, con un truce sorriso. «Caramon è capacissimo di fargli crollare la Torre addosso. Ma ciò che abbiamo qui non appartiene né a questo né a quello.»
Lo sguardo di Raistlin si fissò su quello di Crysania, anche se lei avrebbe voluto evitarlo. La costrinse, con la sua forza di volontà, a guardarlo negli occhi. E, ancora una volta, lei vide se stessa, sola e terribilmente spaventata.
«Ti hanno mandato qui indietro nel tempo per farti morire, Crysania,» disse Raistlin, con una voce che era poco più di un sospiro, pur penetrando fin nell’animo di Crysania, echeggiando nella sua mente con maggior forza del tuono. «È questo il Bene di cui mi parlavi? Bah! Anche loro vivono nella paura come il Gran Sacerdote! Temono te come temono me. L’unico sentiero che porta al bene, Crysania, è il mio sentiero! Aiutami a sconfiggere il Male. Ho bisogno di te...»
Crysania chiuse gli occhi. Poteva vedere di nuovo, vividamente, la calligrafia di Par-Salian sul biglietto che aveva trovato. La tua vita o la tua anima- conquista l’una e perderai l’altra! Ci sono molti modi per tornare indietro, e uno di questi è tramite Caramon. Par-Salian l’aveva fuorviata di proposito! Che altra maniera esisteva, oltre a quella di Raistlin? Era questo che il mago aveva inteso dire? Chi mai avrebbe potuto risponderle, qui? C’era qualcuno, chiunque potesse essere, in quel mondo tetro e desolato di cui potesse fidarsi?
Con i muscoli che le si contraevano, che le si contorcevano, Crysania si alzò dalla sedia. Non guardò Raistlin, tenne gli occhi fissi davanti a sé, sul nulla. «Devo andare...» mormorò con voce rotta. «Devo pensare...»
Raistlin non cercò di fermarla e non accennò ad alzarsi. Non disse una parola, fino a quando lei non ebbe raggiunto la porta.
«Domani...» allora bisbigliò. «Domani...».
Capitolo quindicesimo
Ci volle tutta la forza di Caramon, più quella di altre due guardie, per aprire le grandi porte del Tempio e farlo uscire in mezzo alla tempesta. Il vento lo colpì con tutta la sua violenza, respingendo l’omone contro la parete di pietra e tenendovelo inchiodato per un istante, come se non fosse più grande e massiccio di Tas. Caramon lottò contro il vento e alla fine vinse, la forza delle raffiche si attenuò quel tanto che bastava a permettergli di scendere la scalinata.
La furia della tempesta era un po’ meno intensa quando s’inoltrò in mezzo agli alti edifici della città, ma era pur sempre difficile procedere. In alcuni punti l’acqua era profonda un piede e gli vorticava intorno alle gambe, minacciando più di una volta di travolgerlo. I lampi quasi lo accecavano, i tuoni erano assordanti. Superfluo dire che vide pochissima gente. Gli abitanti di Istar si erano rifugiati in casa in preda alla paura, maledicendo o invocando gli dei a seconda degli stati d’animo e delle convinzioni personali. L’occasionale passante che incrociava, spinto in mezzo alla tempesta da chissà quale disperata ragione, si schiacciava contro le facciate degli edifici oppure rimaneva pietosamente rannicchiato nei vani delle porte.
Ma Caramon continuò ad avanzare, seppure a fatica, desideroso di ritornare all’arena. Il suo cuore era pieno di speranza, il suo morale era alto malgrado la tempesta. O, forse, a causa della tempesta.
Era certo che adesso Pheragas e Kiiri l’avrebbero ascoltato, invece di rivolgergli delle strane, gelide occhiate, quando cercava di convincerli a fuggire da Istar.
«Non posso dirvi come lo so... lo so, e basta!» li implorava. «E imminente un disastro. Ne sento l’odore!»
«Per perdere il torneo finale!» esclamava Kiiri con freddezza.
«Non ci sarà nessun torneo finale, con questo tempo!» Caramon agitava le braccia.
«Nessuna tempesta così violenta è mai durata a lungo!» ribatteva Pheragas. «Si esaurirà, e avremo una bellissima giornata. Inoltre,» socchiudeva gli occhi, «cosa faresti senza di noi, nell’arena?»
«Diamine, se necessario combatterò da solo,» replicava Caramon, un po’ turbato. Quando fosse giunto il momento di combattere, lui aveva in mente di esser già partito da un bel pezzo, lui e Tas e Crysania, e forse... forse...
«Se necessario...» aveva ripetuto Kiiri con un tono di voce strano a aspro, scambiando un’occhiata con Pheragas. «Grazie per aver pensato a noi, amico,» aveva detto con un’occhiata sarcastica al collare di ferro di Caramon, un collare uguale al suo, «ma no, grazie. La nostra vita sarebbe finita, schiavi fuggiaschi! Quanto tempo pensi che potremmo vivere la fuori?»
«Non avrà importanza, non dopo... non dopo...» Caramon aveva sospirato scrollando la testa, infelice. Cosa poteva dire? Come poteva farsi capire? Ma non gli avevano dato nessuna possibilità.
Si erano allontanati senza dire un’altra parola, lasciandolo solo nella mensa.
Ma adesso l’avrebbero di sicuro ascoltato! Avrebbero capito che quella non era una comune tempesta. Avrebbero avuto il tempo per riuscire a mettersi in salvo? Caramon corrugò la fronte e per la prima volta desiderò di aver prestato maggior attenzione ai libri. Non aveva nessuna idea di quanto sarebbe stata grande l’area entro la quale si sarebbero visti gli effetti devastanti della montagna di fuoco. Scosse la testa. Forse era già troppo tardi.
Be’, lui aveva tentato, si disse, mentre procedeva a fatica sguazzando nell’acqua. Distogliendo con uno sforzo i propri pensieri dalla situazione dei suoi amici, si costrinse a pensare a cose più allegre.
Ben presto se ne sarebbe andato da quel luogo terribile. Ben presto tutto gli sarebbe parso come un brutto sogno.
Sarebbe tornato a casa da Tika. Forse con Raistlin! «Terminerò di costruire la nuova casa,» disse, pensando con rincrescimento a tutto il tempo che aveva sprecato. Un’immagine gli venne alla mente. Poteva vedere se stesso accanto al fuoco, nella loro nuova casa, la testa di Tika appoggiata alle sue ginocchia. Le avrebbe raccontato le avventure che avevano vissuto. Raistlin avrebbe passato le serate con loro, a leggere, a studiare, abbigliato di bianco...
«Tika non crederà a una sola parola su tutto questo,» disse Caramon fra sé. «Ma non avrà importanza. Avrà di nuovo a casa l’uomo del quale si è innamorata. E questa volta non la lascerò mai più, per nessun motivo!». Sospirò, quasi sentendo i suoi crespi riccioli rossi che gli si attorcigliavano intorno alle dita, vedendoli risplendere al riflesso del fuoco del camino.