Prima di seguirla, Tas arrischiò una rapida occhiata alle sue spalle, attirato da una terribile curiosità.
La luce sfolgorante riempiva ancora il corridoio, illuminando i corpi dei morti e dei morenti. Nelle mura del Tempio le crepe si stavano spalancando sempre più, il soffitto si afflosciava, la polvere rendeva l’aria soffocante. E in mezzo a quella luce, Tas poteva ancora udire la voce, soltanto che adesso la musica incantevole era svanita, diventando aspra, stridula, stonata...
«Gli dei stanno arrivando...»
Fuori della grande arena, correndo attraverso Istar, Caramon lottava per farsi largo attraverso le strade soffocate dalla morte. Proprio come la mente di Crysania, anche la sua udiva la voce di Raistlin. Ma non era lui che stava chiamando. No, Caramon la sentiva così come l’aveva sentita nel grembo della loro madre, udiva la voce del suo gemello, la voce del sangue.
E così Caramon non prestò nessuna attenzione alle urla dei morenti, o alle invocazioni di aiuto che si levavano da coloro che si trovavano intrappolati sotto le rovine. Non prestò nessuna attenzione a ciò che stava accadendo intorno a lui. Gli edifici gli stavano praticamente crollando addosso, le pietre grandinavano sulle strade, sfiorandolo senza colpirlo in pieno. Le sue braccia e la parte superiore del corpo cominciarono ben presto a sanguinare a causa di tanti piccoli tagli frastagliati. Le sue gambe erano ferite in cento e più punti.
Ma non si fermò, non sentì neppure il dolore. Arrampicandosi sopra le macerie, sollevando gigantesche travi di legno e scagliandole lontano dalla propria strada, Caramon avanzò lentamente attraverso le morenti strade di Istar fino al Tempio che scintillava al sole davanti a lui. Nella mano impugnava una spada macchiata di sangue.
Tasslehoff seguì Crysania giù, sempre più giù, nelle viscere stesse del suolo, o perlomeno così parve al kender. Non aveva neppure sospettato che esistessero posti del genere nel Tempio, e si chiese come avesse fatto, durante i suoi molti vagabondaggi, a non accorgersi di tutte quelle scale nascoste. Si chiese anche come Crysania potesse sapere della loro esistenza. Passava attraverso porte segrete che non erano visibili neppure agli acuti occhi da kender di Tas.
Il terremoto cessò, il Tempio tremò ancora per qualche istante, in una sorta di orrendo ricordo, poi fu come percorso da un brivido e ritornò all’immobilità. Fuori c’erano caos e morte, ma all’interno tutto era fermo e silenzioso. A Tas parve che ogni cosa al mondo trattenesse il fiato, in attesa...
Quaggiù, dovunque il quaggiù si trovasse, Tas vide assai pochi danni, forse perché era troppo in profondità nel sottosuolo. La polvere offuscava l’aria, cosicché era assai difficile respirare o vedere, e di tanto in tanto una crepa appariva sulla parete, oppure una torcia cadeva sul pavimento. Ma la maggior parte delle torce era ancora nei supporti sul muro, e continuava ad ardere, proiettando un bagliore arcano sulla polvere che ristagnava nell’aria.
Crysania non si fermò, né diede alcun segno di esitazione, ma proseguì con passo veloce, anche se ben presto Tas perse il senso dell’orientamento e finì per non avere la più pallida idea di dove si trovasse. Era riuscito a rimanere al passo con lei abbastanza facilmente, ma cominciava a sentirsi sempre più stanco e sperò che arrivassero ben presto dovunque stessero andando. Le costole gli facevano maledettamente male. Ogni respiro gli bruciava i polmoni come il fuoco, e gli pareva che le sue gambe appartenessero a un nano con i polpacci enormi e i piedi calzati nel ferro.
Seguì Crysania giù per un’altra rampa di scale marmoree, costringendo i suoi muscoli doloranti a continuare a muoversi. Una volta arrivato in fondo, Tas sollevò stancamente lo sguardo e tanto per cambiare il cuore gli si sollevò. Si trovavano in un corridoio buio e stretto che terminava, grazie al cielo, in una parete, e non proseguiva con un’altra scala!
Qui un’unica torcia ardeva infilata nel suo supporto, sopra una porta buia.
«Ma certo!» si rese conto Tas con gratitudine. «Il laboratorio di Raistlin! Doveva trovarsi qui sotto.»
Correndo in avanti, era arrivato vicinissimo alla porta, quando una grande forma scura gli piombò addosso da dietro,, facendolo cadere. Tas ruzzolò sul pavimento, il dolore nelle costole lo indusse a riprender fiato.
Il kender sollevò lo sguardo e lottando contro il dolore, colse il balenare di un’armatura dorata e il vivido riflesso della torcia sulla lama di una spada. Riconobbe il corpo bronzeo e muscoloso dell’uomo, ma il volto dell’uomo, il volto dell’uomo che avrebbe dovuto essergli così familiare, era il volto di qualcuno che Tas non aveva mai visto prima.
«Caramon?» bisbigliò, mentre l’uomo gli passava accanto come un’ondata. Ma Caramon non lo vide né lo sentì. Freneticamente Tas cercò di alzarsi in piedi.
Poi arrivò la scossa di assestamento e il terreno ondeggiò sotto i piedi di Tas. Barcollando all’indietro e addossandosi a una parete, udì un crepitio sopra di sé, e vide che il soffitto cominciava a cedere.
«Caramon!» gridò, ma la sua voce si smarrì nel fragore delle travi che gli crollarono addosso, colpendolo alla testa. Tas lottò per non perdere i sensi, malgrado il dolore. Ma il suo cervello, come se si rifiutasse cocciutamente di aver qualcosa a che fare con quell’indescrivibile caos, spense le luci, e Tas sprofondò nella tenebra.
Crysania corse senza alcuna esitazione dentro la stanza che stava molto al di sotto del Tempio. Ma nell’entrare i suoi passi zelanti titubarono. Irresoluta, lanciò un’occhiata intorno a sé, con la gola che le pulsava dolorosamente.
Aveva attraversato il Tempio così duramente colpito senza vederne gli orrori, ciecamente. Persino adesso, abbassando lo sguardo sulla propria veste chiazzata di sangue, non riusciva a ricordare come fosse successo. Ma qui, in questa stanza, le cose risaltavano con vivida chiarezza, anche se il laboratorio era illuminato soltanto dalla luce che sgorgava a fiotti da un cristallo posto in cima a un bastone magico. Guardandosi intorno, sopraffatta e sgomenta per la sensazione del male incombente, non riuscì a indursi a varcare la soglia.
D’un tratto sentì un lieve rumore e qualcosa le toccò il braccio. Allarmata, si girò di scatto, e vide creature scure, vive, informi, intrappolate e imprigionate nelle gabbie. Sentendo l’odore del suo sangue caldo, si agitavano alla luce irradiata dal bastone, ed erano state le mani protese di una di queste che aveva sentito su di sé. Rabbrividendo, Crysania si ritrasse da loro e andò a sbattere contro qualcosa di solido.
Era una bara aperta che conteneva il corpo di quello che un tempo avrebbe potuto essere un giovane. Ma la pelle era tesa sulle sue ossa come pergamena, la sua bocca era aperta in un urlo silenzioso e orrendo. Il suolo sobbalzò sotto i suoi piedi, e il corpo nella bara rimbalzò verso l’alto, incontrollato, fissandola dalle occhiaie vuote.
Crysania gemette, ma nessun suono le uscì dalla gola, il suo corpo era raggelato nel sudore freddo.
Stringendosi la testa fra le mani tremanti, strinse le palpebre per non vedere quell’orribile spettacolo. Il mondo cominciò a scivolare via, poi sentì una voce sommessa.
«Vieni, mia cara,» disse la voce che era stata nella sua mente. «Vieni. Con me sei al sicuro, adesso. Le creature create dal Male di Fistandantilus non possono agire contro di te mentre sono qui io.»
Crysania sentì la vita ritornarle nel corpo. La voce di Raistlin le dava conforto. La nausea passò, il suolo smise di tremare, la polvere si depositò. Il mondo piombò in un silenzio di morte.
Grata, Crysania aprì gli occhi. Vide Raistlin a una certa distanza da lei, che la fissava dalle ombre della sua testa incappucciata, con gli occhi che luccicavano del riflesso del bastone magico. Ma mentre lo guardava, Crysania intravide le forme che si contorcevano nelle gabbie. Tremando, tenne lo sguardo fisso sul pallido volto di Raistlin.